Editoriali
(di gianluca camerini)
n. 1 (luglio/agosto 2014)
Venturina Terme è un paese doppiamente giovane, prima di tutto perché è nato e si è sviluppato negli ultimi cento anni, e poi perché ha modificato da pochi mesi il suo nome, aggiungendo quel suffisso “Terme” che ci equipara, almeno nominalmente, a famose località dall’ormai consolidata tradizione turistica. Cittadine del calibro di Montecatini, Chianciano, Abano, Aqui, Salsomaggiore e tante altre, sono da decenni meta di turisti in cerca di benessere fisico e non solo.
Chi sceglie di passare le proprie vacanze alle terme di solito è un viaggiatore attento, in cerca di una rigenerazione psicofisica che, oltre a coinvolgere i sensi, rinfranchi profondamente lo spirito. Un’aspirazione che dovrebbe riguardare non soltanto il turista, ma anche chi ha la fortuna di vivere ogni giorno in un contesto ambientale privilegiato come il nostro.
Venturina Terme è il centro geografico e nevralgico di un comprensorio, la Val di Cornia, che ha un potenziale turistico enorme. Oltre alle terme, abbiamo un mare bello e pulito, una natura ancora selvaggia ma allo stesso tempo facilmente accessibile, una storia plurimillenaria che ha lasciato segni visibili ovunque, una cultura contadina che ci ha insegnato ad apprezzare la genuinità dei prodotti della terra. Come dicevano i nostri vecchi: “di quel che c’è non manca niente” e qui davvero possiamo vantarci di avere tutto ciò di cui l’essere umano ha bisogno per vivere. Chi se ne va, per scelta o per necessità, prima o poi finisce per rimpiangere questo piccolo paradiso perduto.
La straordinaria bellezza della Val di Cornia, incastonata in gioielli altrettanto meravigliosi, come la Maremma e la Toscana, ci investe di una responsabilità grandissima. Sta a tutti noi riuscire a valorizzare questo piccolo angolo d’Italia per farlo conoscere anche al di fuori dei suoi confini naturali.
La valorizzazione di un territorio, anche e soprattutto in funzione della sua promozione turistica, non può che cominciare dalla riscoperta dell’identità culturale locale. Ogni luogo ha una sua anima, unica e preziosa. La crisi culturale che stiamo attraversando ormai da alcuni decenni è dovuta in gran parte al moltiplicarsi di sottoculture, che vorrebbero imporci modelli pseudoculturali artificiali, vuoti e destinati al fallimento.
La cultura originale, quella locale, quella autentica, quella che si sviluppa secondo un processo naturale e stratificato, è l’unica in grado di produrre “valore culturale”, ovvero quel qualcosa che istintivamente ogni essere umano, a prescindere dalle proprie convinzioni personali, è in grado di riconoscere e percepire come “bello”, “interessante”, “coinvolgente”, proprio perché profondamente “vero” e “spontaneo” frutto dell’esperienza umana.
Forse il venturinese, quando si tratta di cultura, non è abituato a prendersi troppo sul serio, la Maremma ci ha reso un po’ ruvidi. Ma se ci ritroviamo a parlare della nostra terra ci scopriamo tutti innamorati e orgogliosi, e allora vengono fuori le cose più belle, quelle che ci accomunano e ci fanno sentire parte di una cittadina orgogliosa e fiduciosa nei propri mezzi.
Questa rivista vuole essere un’occasione in più per riscoprire la nostra dimensione culturale, per parlare del nostro mondo, per conoscerlo meglio, per raccontarlo a chi non c’è mai stato, un modo per riflettere sul nostro passato e interrogarci sul futuro. Una rivista per i venturinesi e per gli amici dei paesi vicini, ma anche per tutti quelli che, pur vivendo lontani, venendoci a trovare, hanno avvertito la curiosità di conoscere la nostra storia, le nostre tradizioni, le nostre abitudini, il nostro carattere, in una parola: la nostra Identità.
Chi sceglie di passare le proprie vacanze alle terme di solito è un viaggiatore attento, in cerca di una rigenerazione psicofisica che, oltre a coinvolgere i sensi, rinfranchi profondamente lo spirito. Un’aspirazione che dovrebbe riguardare non soltanto il turista, ma anche chi ha la fortuna di vivere ogni giorno in un contesto ambientale privilegiato come il nostro.
Venturina Terme è il centro geografico e nevralgico di un comprensorio, la Val di Cornia, che ha un potenziale turistico enorme. Oltre alle terme, abbiamo un mare bello e pulito, una natura ancora selvaggia ma allo stesso tempo facilmente accessibile, una storia plurimillenaria che ha lasciato segni visibili ovunque, una cultura contadina che ci ha insegnato ad apprezzare la genuinità dei prodotti della terra. Come dicevano i nostri vecchi: “di quel che c’è non manca niente” e qui davvero possiamo vantarci di avere tutto ciò di cui l’essere umano ha bisogno per vivere. Chi se ne va, per scelta o per necessità, prima o poi finisce per rimpiangere questo piccolo paradiso perduto.
La straordinaria bellezza della Val di Cornia, incastonata in gioielli altrettanto meravigliosi, come la Maremma e la Toscana, ci investe di una responsabilità grandissima. Sta a tutti noi riuscire a valorizzare questo piccolo angolo d’Italia per farlo conoscere anche al di fuori dei suoi confini naturali.
La valorizzazione di un territorio, anche e soprattutto in funzione della sua promozione turistica, non può che cominciare dalla riscoperta dell’identità culturale locale. Ogni luogo ha una sua anima, unica e preziosa. La crisi culturale che stiamo attraversando ormai da alcuni decenni è dovuta in gran parte al moltiplicarsi di sottoculture, che vorrebbero imporci modelli pseudoculturali artificiali, vuoti e destinati al fallimento.
La cultura originale, quella locale, quella autentica, quella che si sviluppa secondo un processo naturale e stratificato, è l’unica in grado di produrre “valore culturale”, ovvero quel qualcosa che istintivamente ogni essere umano, a prescindere dalle proprie convinzioni personali, è in grado di riconoscere e percepire come “bello”, “interessante”, “coinvolgente”, proprio perché profondamente “vero” e “spontaneo” frutto dell’esperienza umana.
Forse il venturinese, quando si tratta di cultura, non è abituato a prendersi troppo sul serio, la Maremma ci ha reso un po’ ruvidi. Ma se ci ritroviamo a parlare della nostra terra ci scopriamo tutti innamorati e orgogliosi, e allora vengono fuori le cose più belle, quelle che ci accomunano e ci fanno sentire parte di una cittadina orgogliosa e fiduciosa nei propri mezzi.
Questa rivista vuole essere un’occasione in più per riscoprire la nostra dimensione culturale, per parlare del nostro mondo, per conoscerlo meglio, per raccontarlo a chi non c’è mai stato, un modo per riflettere sul nostro passato e interrogarci sul futuro. Una rivista per i venturinesi e per gli amici dei paesi vicini, ma anche per tutti quelli che, pur vivendo lontani, venendoci a trovare, hanno avvertito la curiosità di conoscere la nostra storia, le nostre tradizioni, le nostre abitudini, il nostro carattere, in una parola: la nostra Identità.
n. 2 (settembre-ottobre)
Il primo numero di questa piccola e nuova rivista ha avuto un buon successo di pubblico e di critica. Inizio quindi ringraziando, una ad una, tutte le persone che hanno avuto la curiosità e la pazienza di leggerci e che, spero, continueranno a farlo in futuro. Ringrazio anche tutti i collaboratori di “Venturina Terme” per l’indispensabile ausilio. Tenere in piedi una rivista di storia e cultura locale non è un’impresa facile, per riuscirci c’è bisogno del contributo volontario di tutti gli amici che, in un modo o nell’altro, condividendo le finalità di questa pubblicazione, sentono il desiderio di partecipare, per aiutarci a crescere e a migliorare.
Questo secondo numero inizia con un pezzo che racconta la Venturina del 1821. A quell’epoca il paese non esisteva ancora, ma sul territorio c’erano già tutti i presupposti che, di lì a poco, avrebbero portato alla sua nascita. Primo fra tutti quella posizione “strategica” lungo un sistema viario che, in fin dei conti, non era molto diverso da quello attuale. Mi sono divertito ad immaginare il viaggio di due forestieri che, partendo da Vignale per andare a San Vincenzo, dopo aver attraversato il Cornia, in cerca di qualcosa da mangiare, si ritrovano a fare una deviazione che li porterà casualmente a visitare le sorgenti termali di Caldana, scoprendo un mondo che ignoravano. Il richiamo al turismo odierno non è affatto casuale. La nostra zona infatti, per quanto ricca di attrattività, è ancora in gran parte sconosciuta al “grande pubblico”, per usare un neologismo mediatico molto in voga. Avrete quindi intuito che la storiella racchiude in sé l’auspicio che anche molti turisti contemporanei, arrivando nella nostra terra, per scelta o per caso, possano provare la stessa soddisfazione e lo stesso stupore dei due immaginari viaggiatori ottocenteschi.
Nella rubrica dedicata alle famiglie di pionieri vissuti a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, parliamo di Cecco e Gemma, una coppia che, come tante altre, ha dovuto lottare tutta la vita per garantire il minimo indispensabile ai propri figli, con grandissima dignità e senso di responsabilità. Questi esempi non possono che farci riflettere su quanto sia mutevole e relativo il concetto di benessere. Oggi, sempre più coppie scelgono di fare un figlio in meno per paura di vedere compromesso il proprio tenore di vita, scordandosi di questi nostri coraggiosi antenati che, pur in condizioni di estrema ristrettezza, non rinunciavano alle gioie della famiglia.
Si continua con un ritratto del medico campigliese Isidoro Falchi, archeologo “dilettante” e scopritore di Vetulonia, ma soprattutto, per i campigliesi, autore del celeberrimo libro sulla storia del paese. I suoi “Trattenimenti popolari”, per quanto siano ormai un testo superato, sono stati per gli appassionati nostrani di storia locale una vera e propria bibbia, la prima miniera di informazioni dalla quale prendere spunto per iniziare un proprio percorso di ricerca.
Nella rubrica “Vita di ieri”, proponiamo un altro brano scritto da Coraldo Cavicchi e ripreso dal suo bellissimo libro “La mia terra”, nel quale l’attento autore, attingendo direttamente dai propri ricordi di bambino, elenca con grande precisione tutte le pietanze e i “mangiari” che un tempo si trovavano sulla tavola dei contadini della zona.
A seguire tocca a Piero Cavicchi, che ci spiega che cos’è il dialetto della Val di Cornia, quello che fino a qualche decennio fa tutti parlavano e che oggi sopravvive parzialmente e un po’ “annacquato” anche nel parlare dei più giovani. Proviamo a riproporlo ai nostri piccoli lettori che, con l’aiuto dei più grandi, potranno ascoltare il suono di quella lingua antica, facendosi leggere la novella di Cappuccetto Rosso da babbo o da mamma.
Poi l’articolo che ha ispirato la copertina. Mentre nel mondo impazza la “Beatlemania” e in Italia gruppi come i Rokes e i Pooh scalano le classifiche facendo innamorare le ragazzine, anche a Venturina qualcosa comincia a muoversi. I capelloni sono visti con sospetto, ma questo non impedisce ad un gruppo di ragazzi di formare un complesso e tentare la strada del successo. Non ci riusciranno, ma la loro amicizia sopravviverà alle mode e al tempo.
Nella seconda parte della rivista presentiamo alcuni possibili percorsi turistici e naturalistici. Si comincia con un trekking da Venturina Terme al centro storico di Campiglia, lungo le antiche vie che dal “piano” portano al “colle”, per continuare con un invito a visitare la medievale Torre di San Vincenzo e finendo con la presentazione dell’Oasi WWF degli Orti-Bottagone e di uno dei suoi ospiti principali, il falco di palude.
Concludiamo il numero nel miglior modo possibile, dedicandoci ai piaceri del corpo e della tavola, Shiatsu e marmellata di fichi, un binomio niente male per iniziare l’autunno col piede giusto.
Questo secondo numero inizia con un pezzo che racconta la Venturina del 1821. A quell’epoca il paese non esisteva ancora, ma sul territorio c’erano già tutti i presupposti che, di lì a poco, avrebbero portato alla sua nascita. Primo fra tutti quella posizione “strategica” lungo un sistema viario che, in fin dei conti, non era molto diverso da quello attuale. Mi sono divertito ad immaginare il viaggio di due forestieri che, partendo da Vignale per andare a San Vincenzo, dopo aver attraversato il Cornia, in cerca di qualcosa da mangiare, si ritrovano a fare una deviazione che li porterà casualmente a visitare le sorgenti termali di Caldana, scoprendo un mondo che ignoravano. Il richiamo al turismo odierno non è affatto casuale. La nostra zona infatti, per quanto ricca di attrattività, è ancora in gran parte sconosciuta al “grande pubblico”, per usare un neologismo mediatico molto in voga. Avrete quindi intuito che la storiella racchiude in sé l’auspicio che anche molti turisti contemporanei, arrivando nella nostra terra, per scelta o per caso, possano provare la stessa soddisfazione e lo stesso stupore dei due immaginari viaggiatori ottocenteschi.
Nella rubrica dedicata alle famiglie di pionieri vissuti a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, parliamo di Cecco e Gemma, una coppia che, come tante altre, ha dovuto lottare tutta la vita per garantire il minimo indispensabile ai propri figli, con grandissima dignità e senso di responsabilità. Questi esempi non possono che farci riflettere su quanto sia mutevole e relativo il concetto di benessere. Oggi, sempre più coppie scelgono di fare un figlio in meno per paura di vedere compromesso il proprio tenore di vita, scordandosi di questi nostri coraggiosi antenati che, pur in condizioni di estrema ristrettezza, non rinunciavano alle gioie della famiglia.
Si continua con un ritratto del medico campigliese Isidoro Falchi, archeologo “dilettante” e scopritore di Vetulonia, ma soprattutto, per i campigliesi, autore del celeberrimo libro sulla storia del paese. I suoi “Trattenimenti popolari”, per quanto siano ormai un testo superato, sono stati per gli appassionati nostrani di storia locale una vera e propria bibbia, la prima miniera di informazioni dalla quale prendere spunto per iniziare un proprio percorso di ricerca.
Nella rubrica “Vita di ieri”, proponiamo un altro brano scritto da Coraldo Cavicchi e ripreso dal suo bellissimo libro “La mia terra”, nel quale l’attento autore, attingendo direttamente dai propri ricordi di bambino, elenca con grande precisione tutte le pietanze e i “mangiari” che un tempo si trovavano sulla tavola dei contadini della zona.
A seguire tocca a Piero Cavicchi, che ci spiega che cos’è il dialetto della Val di Cornia, quello che fino a qualche decennio fa tutti parlavano e che oggi sopravvive parzialmente e un po’ “annacquato” anche nel parlare dei più giovani. Proviamo a riproporlo ai nostri piccoli lettori che, con l’aiuto dei più grandi, potranno ascoltare il suono di quella lingua antica, facendosi leggere la novella di Cappuccetto Rosso da babbo o da mamma.
Poi l’articolo che ha ispirato la copertina. Mentre nel mondo impazza la “Beatlemania” e in Italia gruppi come i Rokes e i Pooh scalano le classifiche facendo innamorare le ragazzine, anche a Venturina qualcosa comincia a muoversi. I capelloni sono visti con sospetto, ma questo non impedisce ad un gruppo di ragazzi di formare un complesso e tentare la strada del successo. Non ci riusciranno, ma la loro amicizia sopravviverà alle mode e al tempo.
Nella seconda parte della rivista presentiamo alcuni possibili percorsi turistici e naturalistici. Si comincia con un trekking da Venturina Terme al centro storico di Campiglia, lungo le antiche vie che dal “piano” portano al “colle”, per continuare con un invito a visitare la medievale Torre di San Vincenzo e finendo con la presentazione dell’Oasi WWF degli Orti-Bottagone e di uno dei suoi ospiti principali, il falco di palude.
Concludiamo il numero nel miglior modo possibile, dedicandoci ai piaceri del corpo e della tavola, Shiatsu e marmellata di fichi, un binomio niente male per iniziare l’autunno col piede giusto.
n. 3 (novembre/dicembre 2014)
Cari amici, è un piacere essere di nuovo con voi. L’autunno è già a buon punto e, in men che non si dica, siamo arrivati al terzo numero di questa, ancora giovane, rivista. Siete in tanti a leggerci e questo non può che farci piacere. La redazione è formata da amici che condividono la stessa grande passione per la nostra Storia. L’apprezzamento, che moltissimi di voi ci hanno manifestato, ci spinge a proseguire le ricerche e a migliorarci sempre di più. Avere la possibilità di indagare il nostro passato è davvero un privilegio. Ci divertiamo molto a scartabellare negli archivi storici che custodiscono la memoria scritta delle nostra bellissima Val di Cornia. Prima di iniziare desidero quindi ringraziare per la collaborazione tutti gli enti che, sul territorio, gestiscono questi importanti archivi storici, in particolare il Comune e la Parrocchia di Campiglia Marittima. Un altro sentito ringraziamento va ai nostri lettori, agli abbonati, alle persone che ci permettono di “rufolare” nei cassetti di casa loro alla ricerca di documenti e vecchie foto e a tutti i collaboratori volontari che, con passione, rendono possibile questa rivista.
Il terzo numero si apre con un articolo su Martino di ser Ghino Da Campiglia, un personaggio importante per la storia locale, fino ad oggi conosciuto solo dagli storici e dagli addetti ai lavori. Martino era un mercante-allevatore caldanese, vissuto a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento. Grazie alla sua abilità negli affari, riuscì ad accumulare un enorme patrimonio immobiliare e a raggiungere un livello di ricchezza mai visto prima da queste parti e, probabilmente, mai più eguagliato in seguito da nessun altro. I suoi possedimenti si estendevano su gran parte dell’attuale Comune di Campiglia Marittima, coprendo quasi per intero quello di San Vincenzo. Molti dei terreni di Martino saranno in seguito ereditati dalla famiglia Alliata, andando a costituire la base fondiaria che, nell’Ottocento, porterà allo sviluppo, in area sanvincenzina, di diverse unità poderali a conduzione mezzadrile.
La coppia di sposi della quale ci occupiamo questa volta è quella formata da Giovanni e Palmira. La loro è una storia per certi versi moderna: un bel ragazzo e una bella ragazza che si incontrano in un luogo dove si balla, l’attrazione reciproca è irresistibile e fatale, di quelle che non lasciano scampo. Una giovinezza finita troppo presto e cinquantatré anni trascorsi insieme, nella buona e nella cattiva sorte.
Gianfranco Benedettini ci fa fare un salto indietro di quasi mezzo secolo, ricordando “Panorama Etrusco”, la prima pubblicazione periodica vera ad essersi occupata seriamente di cultura locale nel nostro territorio. Gianfranco ebbe modo di collaborare con la redazione di Panorama Etrusco, insieme a Giorgio Calandra, e dalle sue parole traspare un certo orgoglio, misto ad una punta di nostalgia, nei confronti di un’esperienza che, per quanto breve, rappresentò un primo interessante tentativo di rivista culturale indipendente.
Nella rubrica sulla vita di ieri, esploriamo l’era “pre-lavatrice” per scoprire come si faceva il bucato quando ancora il prezioso elettrodomestico non era stato inventato. A ripensarci oggi sembra impossibile che le nostre nonne utilizzassero un marchingegno simile per lavare i panni sporchi. Se però ci soffermiamo ad analizzare il processo di purificazione nei dettagli, ci accorgiamo che, in fondo, non era così diverso da ciò che avviene all’interno delle nostre lavatrici. Non a caso alcuni detersivi moderni utilizzano principi attivi che sono abbondantemente presenti nella cenere del legno.
La nuova rubrica, intitolata “I nostri posti”, si occuperà di spiegare l’origine di alcuni nomi di luogo presenti in Val di Cornia. Si comincia con Pantalla, oggi “periferia” sud di Venturina Terme, la cui etimologia conferma quanto, da sempre, gli abitanti del luogo sapevano già.
Per la rubrica sul dialetto, una vera e propria chicca di Piero Cavicchi che, prendendo spunto dalle prossime festività natalizie, si cimenta in una graziosa traduzione di due brani del Vangelo, incentrati sulla Natività. Piero non è il primo ad aver tradotto il Vangelo in una lingua locale, ne esistono meravigliose versioni in molti dei bei dialetti italiani, a dimostrazione del fatto che il messaggio evangelico ben si presta ad essere espresso nell’antico linguaggio dei nostri progenitori, perché oltre ad essere universale è anche profondamente popolare.
A seguire, un articolo sul calcio a Campiglia che, proprio quest’anno, compie un secolo. Ripercorriamo, prendendo spunto dal nuovo libro di Gianfranco Benedettini, la storia campigliese dello sport più amato al mondo. Dai pionieri di inizio Novecento fino alla nascita dell’attuale Unione Sportiva, il tutto condito da testimonianze e aneddoti raccontati dai diretti protagonisti.
La nostra guida storica, Davide Aytano, ci accompagna in un interessantissimo trekking urbano nel suggestivo borgo medievale di Suvereto, descrivendoci con grande cura gli edifici storici, uno più affascinante dell’altro, situati lungo il percorso: dalla Rocca alla Chiesa di S. Giusto, dal chiosco del Convento di S. Francesco al Palazzo comunale.
Nella rubrica dedicata allo spettacolo, festeggiamo i quindici anni di attività del gruppo teatrale venturinese “Forza Venite Gente”, per poi concederci un tuffo nel gusto tra benessere e sapori tradizionali, con un unico comune denominatore: la genuinità.
Il terzo numero si apre con un articolo su Martino di ser Ghino Da Campiglia, un personaggio importante per la storia locale, fino ad oggi conosciuto solo dagli storici e dagli addetti ai lavori. Martino era un mercante-allevatore caldanese, vissuto a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento. Grazie alla sua abilità negli affari, riuscì ad accumulare un enorme patrimonio immobiliare e a raggiungere un livello di ricchezza mai visto prima da queste parti e, probabilmente, mai più eguagliato in seguito da nessun altro. I suoi possedimenti si estendevano su gran parte dell’attuale Comune di Campiglia Marittima, coprendo quasi per intero quello di San Vincenzo. Molti dei terreni di Martino saranno in seguito ereditati dalla famiglia Alliata, andando a costituire la base fondiaria che, nell’Ottocento, porterà allo sviluppo, in area sanvincenzina, di diverse unità poderali a conduzione mezzadrile.
La coppia di sposi della quale ci occupiamo questa volta è quella formata da Giovanni e Palmira. La loro è una storia per certi versi moderna: un bel ragazzo e una bella ragazza che si incontrano in un luogo dove si balla, l’attrazione reciproca è irresistibile e fatale, di quelle che non lasciano scampo. Una giovinezza finita troppo presto e cinquantatré anni trascorsi insieme, nella buona e nella cattiva sorte.
Gianfranco Benedettini ci fa fare un salto indietro di quasi mezzo secolo, ricordando “Panorama Etrusco”, la prima pubblicazione periodica vera ad essersi occupata seriamente di cultura locale nel nostro territorio. Gianfranco ebbe modo di collaborare con la redazione di Panorama Etrusco, insieme a Giorgio Calandra, e dalle sue parole traspare un certo orgoglio, misto ad una punta di nostalgia, nei confronti di un’esperienza che, per quanto breve, rappresentò un primo interessante tentativo di rivista culturale indipendente.
Nella rubrica sulla vita di ieri, esploriamo l’era “pre-lavatrice” per scoprire come si faceva il bucato quando ancora il prezioso elettrodomestico non era stato inventato. A ripensarci oggi sembra impossibile che le nostre nonne utilizzassero un marchingegno simile per lavare i panni sporchi. Se però ci soffermiamo ad analizzare il processo di purificazione nei dettagli, ci accorgiamo che, in fondo, non era così diverso da ciò che avviene all’interno delle nostre lavatrici. Non a caso alcuni detersivi moderni utilizzano principi attivi che sono abbondantemente presenti nella cenere del legno.
La nuova rubrica, intitolata “I nostri posti”, si occuperà di spiegare l’origine di alcuni nomi di luogo presenti in Val di Cornia. Si comincia con Pantalla, oggi “periferia” sud di Venturina Terme, la cui etimologia conferma quanto, da sempre, gli abitanti del luogo sapevano già.
Per la rubrica sul dialetto, una vera e propria chicca di Piero Cavicchi che, prendendo spunto dalle prossime festività natalizie, si cimenta in una graziosa traduzione di due brani del Vangelo, incentrati sulla Natività. Piero non è il primo ad aver tradotto il Vangelo in una lingua locale, ne esistono meravigliose versioni in molti dei bei dialetti italiani, a dimostrazione del fatto che il messaggio evangelico ben si presta ad essere espresso nell’antico linguaggio dei nostri progenitori, perché oltre ad essere universale è anche profondamente popolare.
A seguire, un articolo sul calcio a Campiglia che, proprio quest’anno, compie un secolo. Ripercorriamo, prendendo spunto dal nuovo libro di Gianfranco Benedettini, la storia campigliese dello sport più amato al mondo. Dai pionieri di inizio Novecento fino alla nascita dell’attuale Unione Sportiva, il tutto condito da testimonianze e aneddoti raccontati dai diretti protagonisti.
La nostra guida storica, Davide Aytano, ci accompagna in un interessantissimo trekking urbano nel suggestivo borgo medievale di Suvereto, descrivendoci con grande cura gli edifici storici, uno più affascinante dell’altro, situati lungo il percorso: dalla Rocca alla Chiesa di S. Giusto, dal chiosco del Convento di S. Francesco al Palazzo comunale.
Nella rubrica dedicata allo spettacolo, festeggiamo i quindici anni di attività del gruppo teatrale venturinese “Forza Venite Gente”, per poi concederci un tuffo nel gusto tra benessere e sapori tradizionali, con un unico comune denominatore: la genuinità.
n. 4 (gennaio/febbraio 2015)
Il nuovo anno, che auguriamo ricco di soddisfazioni per tutti voi, è iniziato da poco e la nostra rivista è giunta al suo quarto numero. L’affetto con il quale ci seguite ci incoraggia ad andare avanti e ci stimola a scovare storie sempre nuove e interessanti da raccontarvi.
Questa volta cominciamo con un articolo che ripercorre i fatti che portarono alla nascita dello Stato di Piombino. Tutta la vicenda ruota attorno alla figura di Iacopo, capostipite degli Appiani piombinesi, duramente criticato dai contemporanei, per l’uccisione dell’amico e signore Pietro Gambacorti, tanto da ispirare un poemetto in cui l’autore, il fiorentino Manetto Ciaccheri, immagina di assistere in sogno a una strana cerimonia: i più grandi traditori della storia tolgono a Giuda la corona per metterla sul capo proprio di messer Iacopo d’Appiano.
Nella rubrica sulle famiglie, ci occupiamo dei Bettini e in particolare dei discendenti di Ferdinando e Uliva. Lui è un giovane contadino, dall’infanzia difficile, che riesce a fare fortuna grazie ad una grande intelligenza e ad un formidabile fiuto per gli affari. Guadagnerà molti soldi, ma morirà con un cruccio nel cuore.
In “vita di ieri” si parlerà di una delle attività più importanti della famiglia contadina: l’allevamento degli animali da cortile. Polli e conigli, di solito affidati alle cure femminili, rappresentavano spesso, oltre che un’insostituibile fonte di proteine, anche l’unico modo per mettere da parte qualche risparmio extra con la vendita di uova e carne in paese.
La pagina sul dialetto della Val di Cornia è dedicata ad una delle favole tradizionali, che i più grandicelli ricorderanno certamente, sto parlando di “Buchettino”. Forse è in assoluto la novella più nota tra quelle nostrane, diventata ancora più memorabile grazie a frasi indimenticabili, come “ciottoli sopra a ciottoli” o “vai più in là che sento il puzzo”. Piero Cavicchi ci ripropone una versione in lingua “originale”, quella cioè che per secoli è stata usata nel raccontarla ai bimbi della nostra terra.
Nello spazio dedicato al “cibo della memoria”, prendendo spunto dal ricordo di uno dei fornai storici di Venturina, “Pippo” Rocchi, Alberto Benedetti ci presenta i dolcetti tipici del periodo carnevalesco: conosciuti in Toscana col nome di “cenci” o “fiocchi”, le tradizionali e deliziose strisce di pasta all’uovo, fritte e passate nello zucchero, che piaccioni tanto a grandi e piccini.
Tocca poi all’articolo di copertina di questo numero. Nella rubrica “società” si ricostruisce la storia del Gruppo Studentesco “Renato Fucini”, un’associazione di giovani studenti venturinesi che, a partire dal 1961, dette un notevole impulso alla vita culturale del paese, organizzando e promuovendo numerosissime iniziative di vario genere. Ne fecero parte molti ragazzi e ragazze che, ancora oggi, ricordano con piacere quell’esperienza.
Il principale protagonista e guida indiscussa di questa avventura fu Giorgio Calandra, a lungo motore trainante di un gruppo che si riconosceva nei princìpi espressi, nel 1946 al caffè Florian di Venezia, dai colleghi studenti, che definivano la “Goliardia”: «cultura e intelligenza, amore per la libertà e coscienza della propria responsabilità di fronte alla scuola di oggi e alla professione di domani; culto dello spirito, che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di una assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno, di fronte ad uomini ed istituti».
Questo amore per la libertà di pensiero li poneva inevitabilmente su un terreno di scontro con altre associazioni, giovanili e non, che invece si reggevano su un principio di obbedienza cieca e incondizionata a modelli politici e culturali prestabiliti, imposti dall’alto come dogmi. Per questo, in un primo momento, l’attività del Gruppo Studentesco fu vista con sospetto. Col tempo però i giovani del “Fucini” riuscirono a conquistare l’attenzione, il rispetto e, in molti casi, la simpatia delle istituzioni e dei cittadini, che ne riconobbero gli indubbi meriti e la buona fede.
Il trekking di cui parliamo questa volta si svolge tra le strade del borgo di Sassetta, un “castello”, nel senso storico-urbanistico del termine, dove però non esiste più un vero e proprio castello, inteso come edificio signorile. Davide Aytano ci accompagna in una visita guidata che si snoda, attraverso bellissimi sentieri immersi nella natura, fino al “Museo del Bosco”, una mostra didattica all’aperto sulle tracce dei carbonai, antico mestiere oggi quasi del tutto scomparso.
Una nuova rubrica ci invita poi a riflettere sul senso più profondo dell’esistenza umana, rileggendo e interpretando i versi della famosissima poesia di Giosuè Carducci “Davanti San Guido”. L’ambizione e l’insoddisfazione corrodono l’animo umano fino al punto di renderlo insensibile di fronte alle cose veramente importanti della vita, ma prima o poi la Natura lo richiama a sé.
Infine, gli amici del WWF ci raccontano le piccole grandi avventure vissute durante le tante missioni, portate a termine negli ultimi trent’anni, per soccorrere gli animali selvatici in difficoltà. L’ospite dell’Oasi di cui ci occupiano in questo numero invece è l’elegantissimo fenicottero rosa.
Questa volta cominciamo con un articolo che ripercorre i fatti che portarono alla nascita dello Stato di Piombino. Tutta la vicenda ruota attorno alla figura di Iacopo, capostipite degli Appiani piombinesi, duramente criticato dai contemporanei, per l’uccisione dell’amico e signore Pietro Gambacorti, tanto da ispirare un poemetto in cui l’autore, il fiorentino Manetto Ciaccheri, immagina di assistere in sogno a una strana cerimonia: i più grandi traditori della storia tolgono a Giuda la corona per metterla sul capo proprio di messer Iacopo d’Appiano.
Nella rubrica sulle famiglie, ci occupiamo dei Bettini e in particolare dei discendenti di Ferdinando e Uliva. Lui è un giovane contadino, dall’infanzia difficile, che riesce a fare fortuna grazie ad una grande intelligenza e ad un formidabile fiuto per gli affari. Guadagnerà molti soldi, ma morirà con un cruccio nel cuore.
In “vita di ieri” si parlerà di una delle attività più importanti della famiglia contadina: l’allevamento degli animali da cortile. Polli e conigli, di solito affidati alle cure femminili, rappresentavano spesso, oltre che un’insostituibile fonte di proteine, anche l’unico modo per mettere da parte qualche risparmio extra con la vendita di uova e carne in paese.
La pagina sul dialetto della Val di Cornia è dedicata ad una delle favole tradizionali, che i più grandicelli ricorderanno certamente, sto parlando di “Buchettino”. Forse è in assoluto la novella più nota tra quelle nostrane, diventata ancora più memorabile grazie a frasi indimenticabili, come “ciottoli sopra a ciottoli” o “vai più in là che sento il puzzo”. Piero Cavicchi ci ripropone una versione in lingua “originale”, quella cioè che per secoli è stata usata nel raccontarla ai bimbi della nostra terra.
Nello spazio dedicato al “cibo della memoria”, prendendo spunto dal ricordo di uno dei fornai storici di Venturina, “Pippo” Rocchi, Alberto Benedetti ci presenta i dolcetti tipici del periodo carnevalesco: conosciuti in Toscana col nome di “cenci” o “fiocchi”, le tradizionali e deliziose strisce di pasta all’uovo, fritte e passate nello zucchero, che piaccioni tanto a grandi e piccini.
Tocca poi all’articolo di copertina di questo numero. Nella rubrica “società” si ricostruisce la storia del Gruppo Studentesco “Renato Fucini”, un’associazione di giovani studenti venturinesi che, a partire dal 1961, dette un notevole impulso alla vita culturale del paese, organizzando e promuovendo numerosissime iniziative di vario genere. Ne fecero parte molti ragazzi e ragazze che, ancora oggi, ricordano con piacere quell’esperienza.
Il principale protagonista e guida indiscussa di questa avventura fu Giorgio Calandra, a lungo motore trainante di un gruppo che si riconosceva nei princìpi espressi, nel 1946 al caffè Florian di Venezia, dai colleghi studenti, che definivano la “Goliardia”: «cultura e intelligenza, amore per la libertà e coscienza della propria responsabilità di fronte alla scuola di oggi e alla professione di domani; culto dello spirito, che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di una assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno, di fronte ad uomini ed istituti».
Questo amore per la libertà di pensiero li poneva inevitabilmente su un terreno di scontro con altre associazioni, giovanili e non, che invece si reggevano su un principio di obbedienza cieca e incondizionata a modelli politici e culturali prestabiliti, imposti dall’alto come dogmi. Per questo, in un primo momento, l’attività del Gruppo Studentesco fu vista con sospetto. Col tempo però i giovani del “Fucini” riuscirono a conquistare l’attenzione, il rispetto e, in molti casi, la simpatia delle istituzioni e dei cittadini, che ne riconobbero gli indubbi meriti e la buona fede.
Il trekking di cui parliamo questa volta si svolge tra le strade del borgo di Sassetta, un “castello”, nel senso storico-urbanistico del termine, dove però non esiste più un vero e proprio castello, inteso come edificio signorile. Davide Aytano ci accompagna in una visita guidata che si snoda, attraverso bellissimi sentieri immersi nella natura, fino al “Museo del Bosco”, una mostra didattica all’aperto sulle tracce dei carbonai, antico mestiere oggi quasi del tutto scomparso.
Una nuova rubrica ci invita poi a riflettere sul senso più profondo dell’esistenza umana, rileggendo e interpretando i versi della famosissima poesia di Giosuè Carducci “Davanti San Guido”. L’ambizione e l’insoddisfazione corrodono l’animo umano fino al punto di renderlo insensibile di fronte alle cose veramente importanti della vita, ma prima o poi la Natura lo richiama a sé.
Infine, gli amici del WWF ci raccontano le piccole grandi avventure vissute durante le tante missioni, portate a termine negli ultimi trent’anni, per soccorrere gli animali selvatici in difficoltà. L’ospite dell’Oasi di cui ci occupiano in questo numero invece è l’elegantissimo fenicottero rosa.
n. 5 (marzo/aprile 2015)
L’articolo principale di questo numero racconta la più grande emergenza sanitaria avvenuta nel territorio campigliese, della quale sia rimasta una traccia storica. La narrazione prende spunto dalla cronaca manoscritta lasciataci dall’allora medico della comunità, Luca Pro, testimone dell’epidemia di peste che colpì Campiglia nella primavera-estate del 1631. Non siamo riusciti a rintracciare il documento originale nell’archivio storico comunale ma, fortunatamente, la memoria del medico campigliese era stata copiata e inserita da Isidoro Falchi nel suo celebre libro sulla storia di Campiglia. Purtroppo l’archivio comunale di Campiglia è stato depredato per anni da persone senza scrupoli che hanno trafugato documenti storici unici, per il semplice desiderio di possesso o perché convinti che quelle antiche carte avessero un valore economico. Oltre che di un reato, si tratta di un gesto egoistico e irresponsabile: sottrarre un documento da un archivio significa precludere la possibilità ai ricercatori di indagare il passato di tutta la comunità. Chiunque detenga illecitamente materiale appartenente ad archivi storici dovrebbe farsi un esame di coscienza e restituire tutto, anche in forma anonima, prima che sia troppo tardi. Fortunatamente negli ultimi anni l’archivio comunale di Campiglia è stato messo definitivamente in sicurezza, anche e soprattutto per evitare il ripetersi di episodi simili.
Per la rubrica sulla storia delle famiglie locali, questa volta ci occupiamo dei Salvestrini, arrivati a Campiglia agli inizi del Settecento e ancora oggi presenti nella zona.
Gianfranco Benedettini ci racconta Carlo Morelli, uno dei campigliesi più illustri, medico di grande fama e stimato uomo politico, la cui figura è stata recentemente riportata in luce grazie al lavoro di ricerca di Roberto Diddi. Ne è nato un vero e proprio archivio, consultabile on-line, che raccoglie tutti i manoscritti del Morelli, un campigliese poco noto che può essere considerato senza alcun dubbio uno dei padri dell’Italia Unita.
Nella rubrica sul dialetto, Piero Cavicchi ci parla della “dialettofobia”, ovvero dell’imbarazzo che tutti noi, chi più chi meno, proviamo nell’utilizzare, parlando o scrivendo, termini dialettali, temendo di fare brutta figura. Soprattutto nelle occasioni ufficiali e più formali tendiamo a frenare la lingua e la penna per nascondere le nostre origini linguistiche, senza renderci conto che, nella maggior parte dei casi, almeno per noi toscani, si tratta di un timore infondato, dato che molti dei termini che noi riteniamo scorretti, perché dialettali, in realtà sono italianissimi.
Alberto Benedetti nella sua deliziosa (in tutti i sensi) rubrica “il cibo della memoria”, ricorda la figura del venturinese Bruno Lessi, simpatico amante degli indovinelli e delle dirette radio, per poi lanciarsi in un’altra ispiratissima filastrocca culinaria: il pagnone, uno dei piatti più poveri e semplici della nostra tavola.
Sono lieto di presentare una nuova rubrica realizzata in collaborazione con i Parchi della Val di Cornia. Si chiama “parchi di storie” ed è curata da Marta Coccoluto, archeologa classicista e coordinatrice del Parco Archeologico di Baratti e Populonia. Cercheremo di far emergere le storie racchiuse nei resti delle civiltà del passato. Come dice l’articolo: “le pietre parlano”, basta saperle ascoltare e comprendere.
Nei nostri “percorsi” Mattia Fabbri ci accompagna alla torre di Donoratico, dimora del Conte Ugolino Della Gherardesca. Per i castagnetani e non solo è il luogo dove fu imprigionato il conte con la sua progenie e dove si consumò la tragedia dantesca: la torre della fame. La realtà storica è un’altra ma il fascino della leggenda romantica sopravvive agli anni e anche alle verità della ricerca archeologica.
Incontriamo poi un cantautore venturinese che sta portando in giro per tutta Italia il suo album, con meritato successo, grazie soprattutto al bellissimo brano “il migliore dei mondi”. Abbiamo intervistato Fabrizio Pocci per capire meglio il suo ultimo progetto artistico.
Il trekking primaverile che Davide Aytano ci propone in questo numero è da sogno: da Rimigliano a Populonia. Chi conosce i luoghi sa di cosa stiamo parlando, chi invece non ha mai passeggiato lungo quel percorso non sa ancora cosa si è perso.
Silvia Ghignoli, guida turistica ed ambientale del Centro Guide Costa Etrusca, ci porta alla riscoperta delle erbe di campo. Le nostre nonne le conoscevano e le utilizzavano tutte, oggi noi non siamo più in grado di distinguerle, proviamo a riallenare l’occhio e le papille gustative, cominciando dal porro selvatico.
Per concludere, facciamo la conoscenza di un altro simpatico uccello acquatico, ospite dell’oasi WWF, il mestolone, e divertiamoci a risolvere i giochi enigmistici della nostra mascotte Temistocle.
Per la rubrica sulla storia delle famiglie locali, questa volta ci occupiamo dei Salvestrini, arrivati a Campiglia agli inizi del Settecento e ancora oggi presenti nella zona.
Gianfranco Benedettini ci racconta Carlo Morelli, uno dei campigliesi più illustri, medico di grande fama e stimato uomo politico, la cui figura è stata recentemente riportata in luce grazie al lavoro di ricerca di Roberto Diddi. Ne è nato un vero e proprio archivio, consultabile on-line, che raccoglie tutti i manoscritti del Morelli, un campigliese poco noto che può essere considerato senza alcun dubbio uno dei padri dell’Italia Unita.
Nella rubrica sul dialetto, Piero Cavicchi ci parla della “dialettofobia”, ovvero dell’imbarazzo che tutti noi, chi più chi meno, proviamo nell’utilizzare, parlando o scrivendo, termini dialettali, temendo di fare brutta figura. Soprattutto nelle occasioni ufficiali e più formali tendiamo a frenare la lingua e la penna per nascondere le nostre origini linguistiche, senza renderci conto che, nella maggior parte dei casi, almeno per noi toscani, si tratta di un timore infondato, dato che molti dei termini che noi riteniamo scorretti, perché dialettali, in realtà sono italianissimi.
Alberto Benedetti nella sua deliziosa (in tutti i sensi) rubrica “il cibo della memoria”, ricorda la figura del venturinese Bruno Lessi, simpatico amante degli indovinelli e delle dirette radio, per poi lanciarsi in un’altra ispiratissima filastrocca culinaria: il pagnone, uno dei piatti più poveri e semplici della nostra tavola.
Sono lieto di presentare una nuova rubrica realizzata in collaborazione con i Parchi della Val di Cornia. Si chiama “parchi di storie” ed è curata da Marta Coccoluto, archeologa classicista e coordinatrice del Parco Archeologico di Baratti e Populonia. Cercheremo di far emergere le storie racchiuse nei resti delle civiltà del passato. Come dice l’articolo: “le pietre parlano”, basta saperle ascoltare e comprendere.
Nei nostri “percorsi” Mattia Fabbri ci accompagna alla torre di Donoratico, dimora del Conte Ugolino Della Gherardesca. Per i castagnetani e non solo è il luogo dove fu imprigionato il conte con la sua progenie e dove si consumò la tragedia dantesca: la torre della fame. La realtà storica è un’altra ma il fascino della leggenda romantica sopravvive agli anni e anche alle verità della ricerca archeologica.
Incontriamo poi un cantautore venturinese che sta portando in giro per tutta Italia il suo album, con meritato successo, grazie soprattutto al bellissimo brano “il migliore dei mondi”. Abbiamo intervistato Fabrizio Pocci per capire meglio il suo ultimo progetto artistico.
Il trekking primaverile che Davide Aytano ci propone in questo numero è da sogno: da Rimigliano a Populonia. Chi conosce i luoghi sa di cosa stiamo parlando, chi invece non ha mai passeggiato lungo quel percorso non sa ancora cosa si è perso.
Silvia Ghignoli, guida turistica ed ambientale del Centro Guide Costa Etrusca, ci porta alla riscoperta delle erbe di campo. Le nostre nonne le conoscevano e le utilizzavano tutte, oggi noi non siamo più in grado di distinguerle, proviamo a riallenare l’occhio e le papille gustative, cominciando dal porro selvatico.
Per concludere, facciamo la conoscenza di un altro simpatico uccello acquatico, ospite dell’oasi WWF, il mestolone, e divertiamoci a risolvere i giochi enigmistici della nostra mascotte Temistocle.
n. 6 (maggio/giugno 2015)
Il sesto numero della nostra rivista è dedicato quasi interamente ad un unico argomento. Quest’anno ricorre, infatti, il centesimo anniversario dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale e, per questo, abbiamo voluto utilizzare gran parte dello spazio a disposizione per ricordare quei giorni ormai lontani.
Fino a qualche decennio fa, in ogni famiglia si raccontavano storie legate alla Grande guerra. Io stesso ricordo di averne sentito parlare in casa mia più di una volta. Ho conosciuto il mio bisnonno Quinto (è morto quando avevo otto anni) e, ogni volta che andavamo a mangiare a casa sua, mi soffermavo a guardare un quadretto, attaccato alla parete di sala, che incorniciava due medagliette dal nastrino tricolore. Mi raccontavano che quel vecchio, quando era ancora un ragazzino, era stato mandato a combattere in un paese lontanissimo e, per sopravvivere alla fame, aveva dovuto mangiare bucce di patate crude. La mia mente di bambino non riusciva a comprendere fino in fondo il senso di quei racconti così strani ma, vedendo i suoi occhi farsi lucidi ogni volta che si parlava della prigionia nelle fredde e remote pianure dell’Ungheria, un pezzetto della sua sofferenza mi è rimasto dentro.
La prima guerra mondiale è un periodo storico che in molte parti d’Italia è stato studiato a fondo. Mi riferisco in particolare alle zone di confine del Nord dove si svolsero i combattimenti. Lì sono nati bellissimi musei che mostrano al turista come si viveva nelle trincee al fronte e sono stati scritti centinaia di libri, per raccogliere le esperienze dei combattenti e dei civili coinvolti.
In Toscana, così come anche in molte altre parti d’Italia, la memoria di quella guerra è rimasta relegata nella sfera personale e familiare, con una tendenza di fondo a dimenticare. I motivi di questo “oblio” sono diversi. La causa principale è senz’altro la sofferenza: i patimenti non si ricordano volentieri perché le ferite, anche a distanza di anni, bruciano ancora. Per un reduce disposto a raccontare a veglia le sue peripezie sui campi di battaglia, ce ne sono dieci che invece preferiscono tacere o che comunque ne parlano molto raramente. Ma i fattori che più di tutti hanno influito sul ricordo della prima guerra mondiale sono il fascismo e l’antifascismo.
Il mito e la retorica della “Vittoria”, esaltata dal regime fascista durante il ventennio, hanno fatto sì che, nell’immaginario collettivo, la memoria della prima guerra mondiale rimanesse indissolubilmente legata a quella del fascismo. Effettivamente esiste un nesso di causa effetto tra i due eventi storici e molti degli ufficiali che combatterono nella Grande guerra furono poi protagonisti della rivoluzione fascista.
La maggior parte dei soldati però non ebbe mai niente a che fare con il successivo regime, anche perché, nella rossa Maremma, roccaforte anarchica e socialista, la guerra era stata vissuta essenzialmente come un’imposizione disumana da parte di uno stato borghese e capitalista che, per favorire gli affari e i profitti delle lobby degli industriali, aveva mandato al macello milioni di giovani.
I nostri ragazzi non erano preparati a vivere un’esperienza del genere. Non potevano comprendere le ragioni di una guerra che aveva come unico scopo la liberazione di territori “alieni”. Avrebbero combattuto molto più volentieri per rivendicare i propri diritti di lavoratori e per migliorare la loro condizione sociale. E invece dovettero partire, lasciando tutto e tutti, per ritrovarsi catapultati improvvisamente in un girone infernale, dove la vita di un giovane essere umano valeva meno di zero.
Tornarono segnati, nella mente e nel fisico, e la prima sensazione che provarono, una volta rientrati nella società civile, fu un grande senso di inutilità. L’inutilità della guerra, l’inutilità del sacrificio fatto e, talvolta, persino l’inutilità di esistere. Incompresi e abbandonati, in preda ai fantasmi che ancora si agitavano nelle loro menti, un’intera generazione stava vivendo una profonda crisi di identità: il fascismo avrebbe fatto il resto.
Dopo un secolo esatto, abbiamo voluto ricordare questi giovani e sfortunati concittadini ai quali non fu permesso di decidere del loro destino. Lo abbiamo fatto essenzialmente per ribadire l’assurdità della guerra ed affermare con forza il rispetto della vita umana.
Fino a qualche decennio fa, in ogni famiglia si raccontavano storie legate alla Grande guerra. Io stesso ricordo di averne sentito parlare in casa mia più di una volta. Ho conosciuto il mio bisnonno Quinto (è morto quando avevo otto anni) e, ogni volta che andavamo a mangiare a casa sua, mi soffermavo a guardare un quadretto, attaccato alla parete di sala, che incorniciava due medagliette dal nastrino tricolore. Mi raccontavano che quel vecchio, quando era ancora un ragazzino, era stato mandato a combattere in un paese lontanissimo e, per sopravvivere alla fame, aveva dovuto mangiare bucce di patate crude. La mia mente di bambino non riusciva a comprendere fino in fondo il senso di quei racconti così strani ma, vedendo i suoi occhi farsi lucidi ogni volta che si parlava della prigionia nelle fredde e remote pianure dell’Ungheria, un pezzetto della sua sofferenza mi è rimasto dentro.
La prima guerra mondiale è un periodo storico che in molte parti d’Italia è stato studiato a fondo. Mi riferisco in particolare alle zone di confine del Nord dove si svolsero i combattimenti. Lì sono nati bellissimi musei che mostrano al turista come si viveva nelle trincee al fronte e sono stati scritti centinaia di libri, per raccogliere le esperienze dei combattenti e dei civili coinvolti.
In Toscana, così come anche in molte altre parti d’Italia, la memoria di quella guerra è rimasta relegata nella sfera personale e familiare, con una tendenza di fondo a dimenticare. I motivi di questo “oblio” sono diversi. La causa principale è senz’altro la sofferenza: i patimenti non si ricordano volentieri perché le ferite, anche a distanza di anni, bruciano ancora. Per un reduce disposto a raccontare a veglia le sue peripezie sui campi di battaglia, ce ne sono dieci che invece preferiscono tacere o che comunque ne parlano molto raramente. Ma i fattori che più di tutti hanno influito sul ricordo della prima guerra mondiale sono il fascismo e l’antifascismo.
Il mito e la retorica della “Vittoria”, esaltata dal regime fascista durante il ventennio, hanno fatto sì che, nell’immaginario collettivo, la memoria della prima guerra mondiale rimanesse indissolubilmente legata a quella del fascismo. Effettivamente esiste un nesso di causa effetto tra i due eventi storici e molti degli ufficiali che combatterono nella Grande guerra furono poi protagonisti della rivoluzione fascista.
La maggior parte dei soldati però non ebbe mai niente a che fare con il successivo regime, anche perché, nella rossa Maremma, roccaforte anarchica e socialista, la guerra era stata vissuta essenzialmente come un’imposizione disumana da parte di uno stato borghese e capitalista che, per favorire gli affari e i profitti delle lobby degli industriali, aveva mandato al macello milioni di giovani.
I nostri ragazzi non erano preparati a vivere un’esperienza del genere. Non potevano comprendere le ragioni di una guerra che aveva come unico scopo la liberazione di territori “alieni”. Avrebbero combattuto molto più volentieri per rivendicare i propri diritti di lavoratori e per migliorare la loro condizione sociale. E invece dovettero partire, lasciando tutto e tutti, per ritrovarsi catapultati improvvisamente in un girone infernale, dove la vita di un giovane essere umano valeva meno di zero.
Tornarono segnati, nella mente e nel fisico, e la prima sensazione che provarono, una volta rientrati nella società civile, fu un grande senso di inutilità. L’inutilità della guerra, l’inutilità del sacrificio fatto e, talvolta, persino l’inutilità di esistere. Incompresi e abbandonati, in preda ai fantasmi che ancora si agitavano nelle loro menti, un’intera generazione stava vivendo una profonda crisi di identità: il fascismo avrebbe fatto il resto.
Dopo un secolo esatto, abbiamo voluto ricordare questi giovani e sfortunati concittadini ai quali non fu permesso di decidere del loro destino. Lo abbiamo fatto essenzialmente per ribadire l’assurdità della guerra ed affermare con forza il rispetto della vita umana.
n. 7 (luglio/agosto 2015)
Cari amici lettori, è già passato un anno dall’uscita del primo numero di questa rivista. Ve lo ricordate? In copertina c’era la foto di profilo di un uomo, vestito in abiti cinquecenteschi, con cappello e piuma, e sotto un titolone a caratteri cubitali: “VENTURINO”. Quel numero, che spiegava come il nostro paese avesse preso il suo nome proprio dal signorotto campigliese di origini populoniesi, ebbe un successo tale che, ancora oggi, qualcuno, riferendosi alla rivista, invece di “Venturina Terme” la chiama “il Venturino”.
In quel primo editoriale ci proponevamo una riscoperta della nostra identità e, oggi più che mai, questo è ancora lo spirito con il quale affrontiamo il viaggio. Se è vero che l’appetito viene mangiando, i primi sei numeri non possono essere altro che un antipasto di quello che ancora deve essere servito in tavola.
In occasione del nostro primo compleanno, nonostante la giovanissima “età”, ci siamo rinnovati, nella grafica e nei contenuti, nella speranza che questo nuovo “look” renda più gradevole e interessante la lettura. Abbiamo aggiunto quattro pagine per poter ampliare il numero complessivo degli articoli, delle rubriche e dei collaboratori, che ringraziamo davvero di cuore per la disponibilità.
La rubrica di storia comincia con un articolo un po’ anomalo, non propriamente storico, trattandosi di preistoria. Devo dire che non è stato facile mettere insieme i pezzi e scrivere di un epoca così remota, essendo abituato a lavorare sui documenti d’archivio, ma proprio per questo è stata un’esperienza ancora più stimolante e affascinante. Si parla di un insediamento neandertaliano scoperto dalle nostre parti negli anni ‘70 e quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico, speriamo che d’ora in poi lo sia un po’ meno. A seguire, ci occupiamo di un curioso ritrovamento, fatto qualche anno fa, nei pressi dell’Hotel Terme di Caldana, mentre stavo facendo un sopralluogo della parte storica, grazie alla disponibilità e alla gentilezza dei proprietari. Nell’intonaco di un vecchio muro, notai dei graffiti risalenti al Seicento, nell’articolo spiego di cosa si tratta. Poi un altro pezzo di storia, che ricostruisce l’arrivo a Venturina, 85 anni fa, in piena era fascista, di una mostra itinerante voluta dal duce per aggiornare i contadini locali sui progressi tecnici e scientifici raggiunti nel campo dell’agricoltura. Di quella giornata di festa, oltre ad un vecchio articolo di giornale, resta una bellissima foto che la novantacinquenne Leda Campigli, mia amica e vicina di casa – quel giorno in piazza vestita da “piccola italiana” – ha miracolosamente ripescato dai suoi ricordi.
Nella rubrica dedicata alla genealogia, ci occupiamo degli Agostini, una famiglia originaria di Fauglia successivamente trasferitasi a Vada e poi a Donoratico, prima di stabilirsi nel campigliese, dove tuttora vivono diversi nuclei familiari, discendenti di Giuseppe Agostini, un contadino vissuto nella seconda metà del Settecento.
Gianfranco Benedettini ci presenta il cavalier Giuseppe Merciai, insigne professore universitario e scienziato campigliese, colui che per primo si occupò di indagare le sorgenti termali di Caldana, analizzandone chimicamente le acque e classificandole.
Per la nuova rubrica dedicata all’archeologia, Enrico Zanini, responsabile dello scavo della villa romana di Vignale, ci parla di un piccolo grande mistero che da anni ormai fa impazzire gli archeologi: un imponente complesso termale romano, scoperto nell’Ottocento e poi nuovamente scomparso nel nulla. Spostandoci nel parco di San Silvestro, entriamo in un antico cantiere, in compagnia di un giovane archeologo, Alessandro Fichera, che si è messo in testa di ricostruire una casa medievale, dalle fondamenta al tetto, e la cosa bella è che c’è riuscito, grazie all’indispensabile aiuto di un “mastro” muratore d’altri tempi.
E poi tanto altro ancora, tra rubriche vecchie e nuove. Sovrapponendo millimetricamente due foto del “Mulino Cappelli” di Caldana, facciamo un confronto tra come si presentava all’inizio del Novecento e come è ora. Ci spostiamo in cucina per leggere d’un fiato la filastrocca-ricetta di Alberto Benedetti, introdotta da un fiabesco e surreale ricordo infantile di un venturinese del passato. Saliamo virtualmente sulla torretta di avvistamento dell’Oasi, per seguire l’ospite di questo numero: la volpoca. Impariamo a conoscere una nuova disciplina sportiva, nata in montagna ma che sembra fatta apposta per essere praticata nelle nostre meravigliose campagne: il “nordic walking”. Ripercorriamo la carriera musicale di Pietro Sabatini, dagli esordi agli ultimi bellissimi dischi da solista, con una sorpresa in arrivo.
Da questo numero poi, inauguriamo un filo diretto con voi lettori, rispondendo alle domande che, di volta in volta, giungeranno in redazione. Abbiamo allestito anche una pagina dedicata al gruppo “Sei Venturinese se.....”, al quale va il grande merito di aver dato una sferzata di energia a tutto il paese, organizzando iniziative che hanno saputo coniugare egregiamente divertimento e solidarietà, risvegliando nei venturinesi quel senso di orgoglio e di riscoperta della nostra storia del quale, in un certo senso, è figlia anche questa rivista. Buon compleanno “Venturina Terme”.
In quel primo editoriale ci proponevamo una riscoperta della nostra identità e, oggi più che mai, questo è ancora lo spirito con il quale affrontiamo il viaggio. Se è vero che l’appetito viene mangiando, i primi sei numeri non possono essere altro che un antipasto di quello che ancora deve essere servito in tavola.
In occasione del nostro primo compleanno, nonostante la giovanissima “età”, ci siamo rinnovati, nella grafica e nei contenuti, nella speranza che questo nuovo “look” renda più gradevole e interessante la lettura. Abbiamo aggiunto quattro pagine per poter ampliare il numero complessivo degli articoli, delle rubriche e dei collaboratori, che ringraziamo davvero di cuore per la disponibilità.
La rubrica di storia comincia con un articolo un po’ anomalo, non propriamente storico, trattandosi di preistoria. Devo dire che non è stato facile mettere insieme i pezzi e scrivere di un epoca così remota, essendo abituato a lavorare sui documenti d’archivio, ma proprio per questo è stata un’esperienza ancora più stimolante e affascinante. Si parla di un insediamento neandertaliano scoperto dalle nostre parti negli anni ‘70 e quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico, speriamo che d’ora in poi lo sia un po’ meno. A seguire, ci occupiamo di un curioso ritrovamento, fatto qualche anno fa, nei pressi dell’Hotel Terme di Caldana, mentre stavo facendo un sopralluogo della parte storica, grazie alla disponibilità e alla gentilezza dei proprietari. Nell’intonaco di un vecchio muro, notai dei graffiti risalenti al Seicento, nell’articolo spiego di cosa si tratta. Poi un altro pezzo di storia, che ricostruisce l’arrivo a Venturina, 85 anni fa, in piena era fascista, di una mostra itinerante voluta dal duce per aggiornare i contadini locali sui progressi tecnici e scientifici raggiunti nel campo dell’agricoltura. Di quella giornata di festa, oltre ad un vecchio articolo di giornale, resta una bellissima foto che la novantacinquenne Leda Campigli, mia amica e vicina di casa – quel giorno in piazza vestita da “piccola italiana” – ha miracolosamente ripescato dai suoi ricordi.
Nella rubrica dedicata alla genealogia, ci occupiamo degli Agostini, una famiglia originaria di Fauglia successivamente trasferitasi a Vada e poi a Donoratico, prima di stabilirsi nel campigliese, dove tuttora vivono diversi nuclei familiari, discendenti di Giuseppe Agostini, un contadino vissuto nella seconda metà del Settecento.
Gianfranco Benedettini ci presenta il cavalier Giuseppe Merciai, insigne professore universitario e scienziato campigliese, colui che per primo si occupò di indagare le sorgenti termali di Caldana, analizzandone chimicamente le acque e classificandole.
Per la nuova rubrica dedicata all’archeologia, Enrico Zanini, responsabile dello scavo della villa romana di Vignale, ci parla di un piccolo grande mistero che da anni ormai fa impazzire gli archeologi: un imponente complesso termale romano, scoperto nell’Ottocento e poi nuovamente scomparso nel nulla. Spostandoci nel parco di San Silvestro, entriamo in un antico cantiere, in compagnia di un giovane archeologo, Alessandro Fichera, che si è messo in testa di ricostruire una casa medievale, dalle fondamenta al tetto, e la cosa bella è che c’è riuscito, grazie all’indispensabile aiuto di un “mastro” muratore d’altri tempi.
E poi tanto altro ancora, tra rubriche vecchie e nuove. Sovrapponendo millimetricamente due foto del “Mulino Cappelli” di Caldana, facciamo un confronto tra come si presentava all’inizio del Novecento e come è ora. Ci spostiamo in cucina per leggere d’un fiato la filastrocca-ricetta di Alberto Benedetti, introdotta da un fiabesco e surreale ricordo infantile di un venturinese del passato. Saliamo virtualmente sulla torretta di avvistamento dell’Oasi, per seguire l’ospite di questo numero: la volpoca. Impariamo a conoscere una nuova disciplina sportiva, nata in montagna ma che sembra fatta apposta per essere praticata nelle nostre meravigliose campagne: il “nordic walking”. Ripercorriamo la carriera musicale di Pietro Sabatini, dagli esordi agli ultimi bellissimi dischi da solista, con una sorpresa in arrivo.
Da questo numero poi, inauguriamo un filo diretto con voi lettori, rispondendo alle domande che, di volta in volta, giungeranno in redazione. Abbiamo allestito anche una pagina dedicata al gruppo “Sei Venturinese se.....”, al quale va il grande merito di aver dato una sferzata di energia a tutto il paese, organizzando iniziative che hanno saputo coniugare egregiamente divertimento e solidarietà, risvegliando nei venturinesi quel senso di orgoglio e di riscoperta della nostra storia del quale, in un certo senso, è figlia anche questa rivista. Buon compleanno “Venturina Terme”.
n. 8 (settembre/ottobre 2015)
L’autunno è appena cominciato e questo significa che la rivista è arrivata alla sua ottava uscita. L’articolo
principale di questo numero tratta di un argomento non molto conosciuto: i corsari barbareschi. Pochi infatti sono consapevoli del fatto che, per secoli, le nostre coste furono continuamente in pericolo per le incursioni dei pirati musulmani, che devastavano paesi interi e rapivano le popolazioni delle comunità marittime.
Anche i campigliesi non furono immuni a questa calamità, nonostante la terra di Campiglia nel Cinquecento – l’epoca nella quale i corsari colpirono con più violenza dalle nostre parti – fosse costantemente ben difesa dalle guarnigioni fiorentine, soprattutto nei periodi di maggior pericolo. Il borgo era protetto da mura alte e forti e, in caso di necessità, anche la popolazione delle campagne poteva rinchiudersi all’interno della cinta muraria, per sfuggire ai tanti pericoli dell’epoca. Ma i raid dei corsari erano improvvisi e spesso avvenivano nelle ore notturne o al mattino presto, quando la gente era ancora a dormire, seminando terrore e disperazione.
Una storiella locale, ben conosciuta da molti campigliesi, narra di un assedio al paese, fortunatamente andato a vuoto, portato del pirata Barbarossa che, vistosi ormai sconfitto, si sarebbe dato alla fuga dopo aver pronunciato la famosa frase – almeno per i campigliesi – “can che piglia non piglia me”! Vediamo cosa c’è di vero nella leggenda.
Nel secondo articolo di storia, Gianpiero Vaccaro ci riporta indietro di 75 anni, per farci rivivere la cronaca dettagliata dei primi dodici giorni del secondo conflitto mondiale, vissuti nel campo d’aviazione venturinese, dal 10 giugno 1940 – giorno della famosa dichiarazione di guerra di Benito Mussolini – fino al 21 giugno, quando gli aerei italiani lasciarono l’aeoroporto di Venturina per tornare alla loro base di origine.
Per la rubrica sulle famiglie, un bell’articolo di Daniele Biagi, che ha ricostruito la storia dei suoi antenati. La vicenda ha inizio alla metà del Settecento, con l’abbandono di un bambino all’ospedale di Lucca, fatto tutt’altro che raro per l’epoca, se non fosse per tutta una serie di dettagli che rendono intrigante la storia. Nella vita di quel povero trovatello si intravede la mano di qualche potente personaggio che sembra essere in qualche modo interessato alle sorti del giovane Silvestro, la cui vita finirà in circostanze misteriose così come altrettanto misteriosamente era cominciata.
Gianfranco Benedettini ci parla di una delle donne più famose della Venturina di qualche decennio fa, la maestra elementare Renilde Guasconi Guidi, nota anche, oltre che per il suo impegno scolastico, per essere stata la mamma di un altro conosciutissimo venturinese, Guido Guidi, bravissimo fotografo.
Nella sezione dedicata all’archeologia, proponiamo un altro articolo di Enrico Zanini, sulla villa romana di Vignale, che continua a raccontarci la storia di uno dei siti più interessanti, e ancora in gran parte da scoprire, della Val di Cornia. Il secondo articolo riguarda invece un bel progetto sperimentale – portato avanti nel parco della Sterpaia da un gruppo di pionieri – che prevede la riscoperta e la coltivazione dei grani antichi, quelli usati dai nostri antenati, che ci aiutano a mangiare e a vivere meglio.
Nella rubrica del “com’era... come’è...” Stefano Parlanti mette a confronto una vecchia foto del monumento a Giuseppe Garibaldi, che si trova nella piazzetta della chiesa a Campiglia, con una foto di oggi. Non sembrerebbe molto differente da allora, ma in realtà il busto dell’eroe nazionale ha cambiato più volte negli anni la sua collocazione.
Alberto Benedetti prende spunto da un aneddoto della vita di Ferdinando Nencini per parlarci dell’arte di arrangiarsi che i nostri nonni conoscevano bene, specialmente quando avevano la pancia vuota. La focaccia all’uva è la ricetta-filastrocca di questo numero.
C’è un ospite nella nostra oasi che vive di notte e dorme di giorno, un uccello che per molto tempo è stato considerato uno spettrale portatore di sfortuna e di sventure. Stiamo parlando della civetta, prezioso ausilio e richiamo per i cacciatori nostrani e importante anello nella catena alimentare, ce ne parla Silvia Ghignoli.
Nello spazio dedicato ai nostri lettori rispondiamo alla lettera di un’amica che ci chiede come si fa a ricostruire la storia di una famiglia, abbiamo provato a spiegare in breve quali sono i passi da compiere tra archivi e registri polverosi.
Nel secondo appuntamento con la rubrica dedicata al gruppo “Sei Venturinese se.....” riproponiamo i post di due venturinesi doc, Franco Gori e Fiorenzo Bucci, che ci riportano indietro nel tempo, il primo, proponendo un ricordo di don Enrico Sardi, il secondo invece ripescando dal suo archivio personale un articolo relativo all’arrivo di don Gianfranco Cirilli nella nostra comunità. Due grandi parroci che hanno fatto la storia della parrocchia di Venturina.
principale di questo numero tratta di un argomento non molto conosciuto: i corsari barbareschi. Pochi infatti sono consapevoli del fatto che, per secoli, le nostre coste furono continuamente in pericolo per le incursioni dei pirati musulmani, che devastavano paesi interi e rapivano le popolazioni delle comunità marittime.
Anche i campigliesi non furono immuni a questa calamità, nonostante la terra di Campiglia nel Cinquecento – l’epoca nella quale i corsari colpirono con più violenza dalle nostre parti – fosse costantemente ben difesa dalle guarnigioni fiorentine, soprattutto nei periodi di maggior pericolo. Il borgo era protetto da mura alte e forti e, in caso di necessità, anche la popolazione delle campagne poteva rinchiudersi all’interno della cinta muraria, per sfuggire ai tanti pericoli dell’epoca. Ma i raid dei corsari erano improvvisi e spesso avvenivano nelle ore notturne o al mattino presto, quando la gente era ancora a dormire, seminando terrore e disperazione.
Una storiella locale, ben conosciuta da molti campigliesi, narra di un assedio al paese, fortunatamente andato a vuoto, portato del pirata Barbarossa che, vistosi ormai sconfitto, si sarebbe dato alla fuga dopo aver pronunciato la famosa frase – almeno per i campigliesi – “can che piglia non piglia me”! Vediamo cosa c’è di vero nella leggenda.
Nel secondo articolo di storia, Gianpiero Vaccaro ci riporta indietro di 75 anni, per farci rivivere la cronaca dettagliata dei primi dodici giorni del secondo conflitto mondiale, vissuti nel campo d’aviazione venturinese, dal 10 giugno 1940 – giorno della famosa dichiarazione di guerra di Benito Mussolini – fino al 21 giugno, quando gli aerei italiani lasciarono l’aeoroporto di Venturina per tornare alla loro base di origine.
Per la rubrica sulle famiglie, un bell’articolo di Daniele Biagi, che ha ricostruito la storia dei suoi antenati. La vicenda ha inizio alla metà del Settecento, con l’abbandono di un bambino all’ospedale di Lucca, fatto tutt’altro che raro per l’epoca, se non fosse per tutta una serie di dettagli che rendono intrigante la storia. Nella vita di quel povero trovatello si intravede la mano di qualche potente personaggio che sembra essere in qualche modo interessato alle sorti del giovane Silvestro, la cui vita finirà in circostanze misteriose così come altrettanto misteriosamente era cominciata.
Gianfranco Benedettini ci parla di una delle donne più famose della Venturina di qualche decennio fa, la maestra elementare Renilde Guasconi Guidi, nota anche, oltre che per il suo impegno scolastico, per essere stata la mamma di un altro conosciutissimo venturinese, Guido Guidi, bravissimo fotografo.
Nella sezione dedicata all’archeologia, proponiamo un altro articolo di Enrico Zanini, sulla villa romana di Vignale, che continua a raccontarci la storia di uno dei siti più interessanti, e ancora in gran parte da scoprire, della Val di Cornia. Il secondo articolo riguarda invece un bel progetto sperimentale – portato avanti nel parco della Sterpaia da un gruppo di pionieri – che prevede la riscoperta e la coltivazione dei grani antichi, quelli usati dai nostri antenati, che ci aiutano a mangiare e a vivere meglio.
Nella rubrica del “com’era... come’è...” Stefano Parlanti mette a confronto una vecchia foto del monumento a Giuseppe Garibaldi, che si trova nella piazzetta della chiesa a Campiglia, con una foto di oggi. Non sembrerebbe molto differente da allora, ma in realtà il busto dell’eroe nazionale ha cambiato più volte negli anni la sua collocazione.
Alberto Benedetti prende spunto da un aneddoto della vita di Ferdinando Nencini per parlarci dell’arte di arrangiarsi che i nostri nonni conoscevano bene, specialmente quando avevano la pancia vuota. La focaccia all’uva è la ricetta-filastrocca di questo numero.
C’è un ospite nella nostra oasi che vive di notte e dorme di giorno, un uccello che per molto tempo è stato considerato uno spettrale portatore di sfortuna e di sventure. Stiamo parlando della civetta, prezioso ausilio e richiamo per i cacciatori nostrani e importante anello nella catena alimentare, ce ne parla Silvia Ghignoli.
Nello spazio dedicato ai nostri lettori rispondiamo alla lettera di un’amica che ci chiede come si fa a ricostruire la storia di una famiglia, abbiamo provato a spiegare in breve quali sono i passi da compiere tra archivi e registri polverosi.
Nel secondo appuntamento con la rubrica dedicata al gruppo “Sei Venturinese se.....” riproponiamo i post di due venturinesi doc, Franco Gori e Fiorenzo Bucci, che ci riportano indietro nel tempo, il primo, proponendo un ricordo di don Enrico Sardi, il secondo invece ripescando dal suo archivio personale un articolo relativo all’arrivo di don Gianfranco Cirilli nella nostra comunità. Due grandi parroci che hanno fatto la storia della parrocchia di Venturina.
n. 9 (novembre/dicembre 2015)
Cari amici lettori, il nono è un numero insolito e forse, proprio per questo, ancora più prezioso. Gli amanti del “varietà” forse rimarranno delusi dalla brevità del sommario, ma spero che, a lettura ultimata, restino ugualmente soddisfatti. Quando mi è venuto in mente di fare una ricerca sulla storia dell’insegnamento elementare nel Comune di Campiglia Marittima, per scrivere un articolo da pubblicare sulla rivista, non credevo che avrei trovato, in così poco tempo, una tale mole di informazioni.
L’archivio comunale è pieno di documenti sulla scuola ed è normale che sia così, visto che il Comune, per decenni, ha gestito direttamente le scuole elementari: dalla nomina degli insegnanti, al pagamento dei loro stipendi, fino alla manutenzione degli edifici e molto altro ancora.
Grazie al preziosissimo aiuto di Gianfranco Benedettini, sono riuscito poi a mettere insieme altre informazioni, da lui raccolte in passato, che mi hanno permesso di indagare più a fondo la figura del protagonista principale di questa storia: il maestro Michele Amici, un grande campigliese.
Devo dire che Gianfranco ha sempre avuto il potere di farmi appassionare alle cose che racconta, probabilmente perché lui stesso è il primo ad esserne appassionato. Quando mi ha parlato dell’Amici e mi ha fatto leggere la biografia che aveva scritto, mi è subito venuta voglia di approfondire quello che Gianfranco, con grande fiuto, aveva scoperto su di lui, per delineare con ancora più chiarezza la sua figura.
Mi sono buttato a capofitto in archivio e ho cominciato a spulciare i bilanci comunali dall’Unità d’Italia in poi, dove erano registrati tutti i pagamenti degli stipendi dei maestri e le altre spese relative all’Istruzione pubblica. Poi sono passato alle delibere del Consiglio comunale e della Giunta, dove ho trovato notizie più dettagliate e approfondite. Alla fine ho consultato anche i faldoni dei documenti allegati alle delibere, contenenti fascicoli molto interessanti, come quello relativo al progetto di costruzione di una scuola elementare a Venturina, redatto nel 1907 e mai realizzato.
Un’emozione particolare l’ho provata quando è saltato fuori un registro di classe del 1864, con i nomi di tutti gli alunni, le numerosissime assenze di molti di loro e i voti delle interrogazioni, che all’epoca andavano dallo 0 al 5.
C’è voluto un bel po’ di tempo a rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle e, alla fine, più che un articolo ne è venuto fuori quasi un libretto. Ho scritto molto e mi sarebbe dispiaciuto lasciare fuori qualcosa, anche perché non avrei saputo scegliere cosa escludere e cosa lasciare. Quindi, alla fine, ho deciso di pubblicare tutto, sacrificando, per una volta, gran parte delle altre rubriche della rivista, che però torneranno regolarmente dal prossimo numero.
Ho dovuto invece escludere, a malincuore, per mancanza di spazio, alcune delle bellissime immagini – soprattutto foto di classe di inizio Novecento fornitemi, oltre che da Gianfranco Benedettini, anche dagli amici Stefano Parlanti, per Campiglia, e Andrea Raspolli per San Vincenzo – ripromettendomi di utilizzarle in altre occasioni.
Non voglio anticiparvi niente, per non rovinarvi la lettura del lungo articolo dedicato alla storia dell’insegnamento elementare nel nostro comune. Una cosa però voglio dirla. Studiando la storia della nostra scuola dall’epoca granducale fino al secondo dopoguerra, la cosa che mi ha colpito di più è stato l’eroismo dei primi insegnanti, quelli del periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, che nell’articolo ho definito maestri pionieri. Si capisce chiaramente, ricostruendo le loro vicende di vita, che quelli che, più di tutti, hanno lasciato un segno, ci sono riusciti perché hanno amato profondamente il loro mestiere e i loro alunni. Hanno dedicato completamente la loro esistenza ad una missione che ritenevano in qualche modo sacra, sacrificando tutto o quasi. Molte donne hanno rinunciato a costruirsi una propria famiglia, consapevoli del fatto che, all’epoca, non sarebbe stato facile trovare un marito disposto a seguirle e a confrontarsi con la loro cultura. Molti uomini hanno accettato condizioni di lavoro umilianti, vivendo costantemente nell’incertezza e nella precarietà di un impiego che, finché stavi bene, ti permetteva di campare dignitosamente, ma se ti ammalavi, a meno che uno non fosse ricco di famiglia, poteva essere la fine.
Permettetemi di concludere rivolgendomi agli amministratori del futuro, a coloro che avranno l’onore di guidare il nostro bel comune negli anni a venire. Ricordate: se mai si dovessero costruire nuove scuole elementari a Venturina Terme, esiste una sola persona alla quale intitolarle. Quando ci si ritrova a scegliere a chi dedicare un edificio pubblico, la mente vola subito alto, in cerca di un nome importante, famoso e spesso si pensa che, per trovarne uno che abbia la forza di reggere un tale peso, si debba per forza andare lontano. Ecco, io vi dico, non andate lontano, non cercate un benefattore del mondo, qualcuno che abbia immolato la propria esistenza per il bene dell’umanità intera, impariamo a guardarci negli occhi tra di noi, per capire chi ha fatto davvero del bene alla nostra comunità, chi si è sacrificato in silenzio, ogni giorno, con fatica, per 45 anni, per far crescere un paese, per dare un futuro migliore ai nostri figli, insegnando loro, oltre a leggere e scrivere, valori che non hanno tempo e che non hanno confini, come l’onestà, la dignità e il rispetto.
Questa persona è stata una grande donna e una grande educatrice: si chiamava Renilde Guasconi. Non vi sembra un nome perfetto da dare a una scuola?
L’archivio comunale è pieno di documenti sulla scuola ed è normale che sia così, visto che il Comune, per decenni, ha gestito direttamente le scuole elementari: dalla nomina degli insegnanti, al pagamento dei loro stipendi, fino alla manutenzione degli edifici e molto altro ancora.
Grazie al preziosissimo aiuto di Gianfranco Benedettini, sono riuscito poi a mettere insieme altre informazioni, da lui raccolte in passato, che mi hanno permesso di indagare più a fondo la figura del protagonista principale di questa storia: il maestro Michele Amici, un grande campigliese.
Devo dire che Gianfranco ha sempre avuto il potere di farmi appassionare alle cose che racconta, probabilmente perché lui stesso è il primo ad esserne appassionato. Quando mi ha parlato dell’Amici e mi ha fatto leggere la biografia che aveva scritto, mi è subito venuta voglia di approfondire quello che Gianfranco, con grande fiuto, aveva scoperto su di lui, per delineare con ancora più chiarezza la sua figura.
Mi sono buttato a capofitto in archivio e ho cominciato a spulciare i bilanci comunali dall’Unità d’Italia in poi, dove erano registrati tutti i pagamenti degli stipendi dei maestri e le altre spese relative all’Istruzione pubblica. Poi sono passato alle delibere del Consiglio comunale e della Giunta, dove ho trovato notizie più dettagliate e approfondite. Alla fine ho consultato anche i faldoni dei documenti allegati alle delibere, contenenti fascicoli molto interessanti, come quello relativo al progetto di costruzione di una scuola elementare a Venturina, redatto nel 1907 e mai realizzato.
Un’emozione particolare l’ho provata quando è saltato fuori un registro di classe del 1864, con i nomi di tutti gli alunni, le numerosissime assenze di molti di loro e i voti delle interrogazioni, che all’epoca andavano dallo 0 al 5.
C’è voluto un bel po’ di tempo a rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle e, alla fine, più che un articolo ne è venuto fuori quasi un libretto. Ho scritto molto e mi sarebbe dispiaciuto lasciare fuori qualcosa, anche perché non avrei saputo scegliere cosa escludere e cosa lasciare. Quindi, alla fine, ho deciso di pubblicare tutto, sacrificando, per una volta, gran parte delle altre rubriche della rivista, che però torneranno regolarmente dal prossimo numero.
Ho dovuto invece escludere, a malincuore, per mancanza di spazio, alcune delle bellissime immagini – soprattutto foto di classe di inizio Novecento fornitemi, oltre che da Gianfranco Benedettini, anche dagli amici Stefano Parlanti, per Campiglia, e Andrea Raspolli per San Vincenzo – ripromettendomi di utilizzarle in altre occasioni.
Non voglio anticiparvi niente, per non rovinarvi la lettura del lungo articolo dedicato alla storia dell’insegnamento elementare nel nostro comune. Una cosa però voglio dirla. Studiando la storia della nostra scuola dall’epoca granducale fino al secondo dopoguerra, la cosa che mi ha colpito di più è stato l’eroismo dei primi insegnanti, quelli del periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, che nell’articolo ho definito maestri pionieri. Si capisce chiaramente, ricostruendo le loro vicende di vita, che quelli che, più di tutti, hanno lasciato un segno, ci sono riusciti perché hanno amato profondamente il loro mestiere e i loro alunni. Hanno dedicato completamente la loro esistenza ad una missione che ritenevano in qualche modo sacra, sacrificando tutto o quasi. Molte donne hanno rinunciato a costruirsi una propria famiglia, consapevoli del fatto che, all’epoca, non sarebbe stato facile trovare un marito disposto a seguirle e a confrontarsi con la loro cultura. Molti uomini hanno accettato condizioni di lavoro umilianti, vivendo costantemente nell’incertezza e nella precarietà di un impiego che, finché stavi bene, ti permetteva di campare dignitosamente, ma se ti ammalavi, a meno che uno non fosse ricco di famiglia, poteva essere la fine.
Permettetemi di concludere rivolgendomi agli amministratori del futuro, a coloro che avranno l’onore di guidare il nostro bel comune negli anni a venire. Ricordate: se mai si dovessero costruire nuove scuole elementari a Venturina Terme, esiste una sola persona alla quale intitolarle. Quando ci si ritrova a scegliere a chi dedicare un edificio pubblico, la mente vola subito alto, in cerca di un nome importante, famoso e spesso si pensa che, per trovarne uno che abbia la forza di reggere un tale peso, si debba per forza andare lontano. Ecco, io vi dico, non andate lontano, non cercate un benefattore del mondo, qualcuno che abbia immolato la propria esistenza per il bene dell’umanità intera, impariamo a guardarci negli occhi tra di noi, per capire chi ha fatto davvero del bene alla nostra comunità, chi si è sacrificato in silenzio, ogni giorno, con fatica, per 45 anni, per far crescere un paese, per dare un futuro migliore ai nostri figli, insegnando loro, oltre a leggere e scrivere, valori che non hanno tempo e che non hanno confini, come l’onestà, la dignità e il rispetto.
Questa persona è stata una grande donna e una grande educatrice: si chiamava Renilde Guasconi. Non vi sembra un nome perfetto da dare a una scuola?
n. 10 (gennaio/febbraio 2016)
Cari amici lettori, siamo arrivati al numero dieci della nostra rivista, un traguardo importante, un numero tondo a due cifre che ci rende orgogliosi e ci stimola ad andare avanti con sempre maggiore impegno.
Questa volta la copertina è dedicata ad un argomento probabilmente non molto conosciuto, ma che storicamente ha avuto una grande importanza nel nostro comune e in molti altri della Maremma. Parliamo dei cosiddetti “usi civici”, ovvero dei diritti che avevano i campigliesi su alcuni beni demaniali della comunità che, entro certi limiti, potevano essere sfruttati gratuitamente. Poter pascolare le bestie e far legna nei campi e nei boschi comuni rappresentava una voce fondamentale nell’economia delle famiglie campigliesi. Quando, per i motivi che vedremo, questi diritti secolari furono messi in discussione, le ripercussioni negative furono evidenti e le dispute che ne nacquero ebbero un’eco talmente vasta da arrivare fino ai nostri giorni.
L’altro articolo nella rubrica di Storia riguarda una disgrazia accaduta nella Campiglia del 1769. La tragica notizia si diffuse rapidamente oltre i confini del paese, arrivando addirittura ad essere riportata sul “giornale” toscano più importante dell’epoca. Abbiamo indagato per raccontarvi cosa accadde.
Per la rubrica Famiglie, questa volta ci occupiamo di una grandissima casata campigliese, i Maruzzi. Abbiamo svolto questa prima indagine sulla storia familiare dei Maruzzi, per seguirne lo sviluppo genealogico e nell’articolo vi presentiamo i risultati della ricerca. In questa fase ci siamo limitati a consultare i registri storici dei battesimi, dei matrimoni e dei morti della Parrocchia di Campiglia, consapevoli che, se avessimo esteso la ricerca anche ai documenti civili – in particolare i contratti di compravendita – avremmo ottenuto un risultato molto più completo. Avremo certamente modo di tornare a parlare della storia di questa importante famiglia campigliese in altre occasioni, approfondendo, di volta in volta, le vicende dei singoli personaggi.
Ringrazio di cuore, per l’aiuto fornito, la gentilissima dottoressa Francesca Maruzzi, discendente diretta dei nostri protagonisti. Purtroppo la documentazione presente nell’archivio familiare è risultata essere più scarsa rispetto a quello che si sarebbe potuto trovare se la residenza principale dei Maruzzi, situata nel quartiere di S. Antonio a Pisa, non fosse stata distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.
Nell’articolo si parla soprattutto della figura ottocentesca di Giovanni Battista Maruzzi il quale, nonostante la laurea in giurisprudenza conseguita all’Università di Pisa, preferì dedicarsi all’agricoltura, con grande intelligenza e spirito innovativo, ottenendo risultati eccezionali e contribuendo all’ammodernamento delle nostre campagne. Giovanni Battista fu anche Gonfaloniere di Campiglia e Deputato alla Costituente Toscana nel 1859. Sposò in seconde nozze Caterina Tozzi Pini, nipote del famoso medico, illuminista, politico e grande viaggiatore, Filippo Mazzei.
All’intelligenza dei Maruzzi è legato anche un pezzo della storia della mia famiglia. I Camerini furono infatti coloni a Ulceratico per una trentina d’anni, fino a quando, nel 1899, acquistarono un podere con i soldi che erano riusciti a mettere da parte anche grazie alla lungimiranza dei loro padroni. Il mio trisnonno Egisto – nato a Ulceratico nel 1870 e vissuto in quel podere fino all’età di 29 anni – conservò per tutta la vita il pallino per l’innovazione tecnologica, proprio grazie all’insegnamento ricevuto dai Maruzzi che gli permise di fare fortuna.
Per lo spazio dedicato all’Archeologia, come di consueto, apriamo una finestra sulle due realtà archeologiche più importanti del nostro territorio: il sito romano di Vignale e il complesso dei Parchi della Val di Cornia.
Per quanto riguarda Vignale, ripercorriamo le vicende che hanno portato alla scoperta di un fondamentale tassello della storia di quell’antico insediamento: le fornaci. Cercheremo anche di risolvere un piccolo mistero sull’origine di un particolare segno di riconoscimento – un vero e proprio marchio – ritrovato su alcune tegole romane. Vi illustreremo poi un importantissimo progetto, in fase di realizzazione nei siti e nei musei gestiti dai Parchi della Val di Cornia, che amplierà notevolmente l’esperienza cognitiva dei visitatori, rendendola possibile anche a chi, fino ad ora, per problemi fisici, non ha avuto la possibilità di ammirare le bellezze archeologiche del nostro territorio.
In questo numero riprendono poi regolarmente tutte le altre rubriche, curate come al solito con grande bravura e passione dai nostri preziosissimi e validissimi collaboratori. Gli argomenti sono piacevoli e interessanti e quindi non vi rubo altro tempo e vi auguro una buona lettura, ringraziandovi per averci concesso ancora una volta la vostra attenzione e dandovi appuntamento al prossimo numero di “Venturina Terme”.
Questa volta la copertina è dedicata ad un argomento probabilmente non molto conosciuto, ma che storicamente ha avuto una grande importanza nel nostro comune e in molti altri della Maremma. Parliamo dei cosiddetti “usi civici”, ovvero dei diritti che avevano i campigliesi su alcuni beni demaniali della comunità che, entro certi limiti, potevano essere sfruttati gratuitamente. Poter pascolare le bestie e far legna nei campi e nei boschi comuni rappresentava una voce fondamentale nell’economia delle famiglie campigliesi. Quando, per i motivi che vedremo, questi diritti secolari furono messi in discussione, le ripercussioni negative furono evidenti e le dispute che ne nacquero ebbero un’eco talmente vasta da arrivare fino ai nostri giorni.
L’altro articolo nella rubrica di Storia riguarda una disgrazia accaduta nella Campiglia del 1769. La tragica notizia si diffuse rapidamente oltre i confini del paese, arrivando addirittura ad essere riportata sul “giornale” toscano più importante dell’epoca. Abbiamo indagato per raccontarvi cosa accadde.
Per la rubrica Famiglie, questa volta ci occupiamo di una grandissima casata campigliese, i Maruzzi. Abbiamo svolto questa prima indagine sulla storia familiare dei Maruzzi, per seguirne lo sviluppo genealogico e nell’articolo vi presentiamo i risultati della ricerca. In questa fase ci siamo limitati a consultare i registri storici dei battesimi, dei matrimoni e dei morti della Parrocchia di Campiglia, consapevoli che, se avessimo esteso la ricerca anche ai documenti civili – in particolare i contratti di compravendita – avremmo ottenuto un risultato molto più completo. Avremo certamente modo di tornare a parlare della storia di questa importante famiglia campigliese in altre occasioni, approfondendo, di volta in volta, le vicende dei singoli personaggi.
Ringrazio di cuore, per l’aiuto fornito, la gentilissima dottoressa Francesca Maruzzi, discendente diretta dei nostri protagonisti. Purtroppo la documentazione presente nell’archivio familiare è risultata essere più scarsa rispetto a quello che si sarebbe potuto trovare se la residenza principale dei Maruzzi, situata nel quartiere di S. Antonio a Pisa, non fosse stata distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.
Nell’articolo si parla soprattutto della figura ottocentesca di Giovanni Battista Maruzzi il quale, nonostante la laurea in giurisprudenza conseguita all’Università di Pisa, preferì dedicarsi all’agricoltura, con grande intelligenza e spirito innovativo, ottenendo risultati eccezionali e contribuendo all’ammodernamento delle nostre campagne. Giovanni Battista fu anche Gonfaloniere di Campiglia e Deputato alla Costituente Toscana nel 1859. Sposò in seconde nozze Caterina Tozzi Pini, nipote del famoso medico, illuminista, politico e grande viaggiatore, Filippo Mazzei.
All’intelligenza dei Maruzzi è legato anche un pezzo della storia della mia famiglia. I Camerini furono infatti coloni a Ulceratico per una trentina d’anni, fino a quando, nel 1899, acquistarono un podere con i soldi che erano riusciti a mettere da parte anche grazie alla lungimiranza dei loro padroni. Il mio trisnonno Egisto – nato a Ulceratico nel 1870 e vissuto in quel podere fino all’età di 29 anni – conservò per tutta la vita il pallino per l’innovazione tecnologica, proprio grazie all’insegnamento ricevuto dai Maruzzi che gli permise di fare fortuna.
Per lo spazio dedicato all’Archeologia, come di consueto, apriamo una finestra sulle due realtà archeologiche più importanti del nostro territorio: il sito romano di Vignale e il complesso dei Parchi della Val di Cornia.
Per quanto riguarda Vignale, ripercorriamo le vicende che hanno portato alla scoperta di un fondamentale tassello della storia di quell’antico insediamento: le fornaci. Cercheremo anche di risolvere un piccolo mistero sull’origine di un particolare segno di riconoscimento – un vero e proprio marchio – ritrovato su alcune tegole romane. Vi illustreremo poi un importantissimo progetto, in fase di realizzazione nei siti e nei musei gestiti dai Parchi della Val di Cornia, che amplierà notevolmente l’esperienza cognitiva dei visitatori, rendendola possibile anche a chi, fino ad ora, per problemi fisici, non ha avuto la possibilità di ammirare le bellezze archeologiche del nostro territorio.
In questo numero riprendono poi regolarmente tutte le altre rubriche, curate come al solito con grande bravura e passione dai nostri preziosissimi e validissimi collaboratori. Gli argomenti sono piacevoli e interessanti e quindi non vi rubo altro tempo e vi auguro una buona lettura, ringraziandovi per averci concesso ancora una volta la vostra attenzione e dandovi appuntamento al prossimo numero di “Venturina Terme”.
n. 11 (marzo/aprile 2016)
Cari amici lettori che ci seguite con tanto affetto, siamo giunti allíundicesimo numero della nostra rivista, penultimo di questa seconda stagione. A costo di sembrare ripetitivo, non posso fare a meno di ringraziarvi tutti, uno per uno, per líattenzione e líapprezzamento che ci dimostrate ogni volta.
Questo numero si apre con un articolo di storia che ci parla dello stato delle nostre campagne e dellíagricoltura nel 1848, un anno importante per i Toscani di allora e per líEuropa tutta. Ancora oggi, riferendoci inconsapevolmente a quella data, diciamo ìfare un quarantottoî per descrivere un azione dalle conseguenze caotiche, proprio in ricordo delle sommosse e delle rivolte che, in quellíanno, scossero dalle basi i governi dispotici dellíepoca e líordine costituito. Mentre il granduca, ormai con le spalle al muro, si decideva a concedere finalmente ai nostri antenati una costituzione, il campigliese Giovanni Battista Maruzzi, che abbiamo avuto modo di conoscere nel numero scorso, si accingeva a tratteggiare, con grande precisione e intelligenza, la situazione delle campagne della Val di Cornia.
Il quadro che ne esce Ë il ritratto di un mondo che sta attraversando una profonda trasformazione. Con un enorme ritardo rispetto alla gran parte della Toscana, la nostra terra si apprestava finalmente a uscire da un medioevo che aveva visto, per secoli, il prevalere di uníeconomia rurale basata sullo sfruttamento delle risorse che la natura metteva spontaneamente a disposizione. Fino a quel momento infatti, i terreni coltivati erano stati ìisoleî perse in un mare di pascoli: campi di grano per fare il pane, qualche vigna per avere il poco vino che si riusciva a produrre e molti orti, soprattutto intorno al paese, per non dover scendere al piano. Con la bonifica voluta dal governo, la situazione perÚ stava cambiando radicalmente. Per la prima volta il numero dei terreni coltivabili era superiore a quello della forza lavoro. Dopo un periodo di assestamento, durante il quale i proprietari terrieri dovettero organizzarsi, la mezzadria prese piede anche qui da noi. La campagna si trasformÚ in breve in una terra promessa. I Campigliesi, abituati da sempre a lavorare come braccianti salariati, non sembravano disposti a cambiare vita trasferendosi stabilmente con le loro famiglie in campagna, per vivere e lavorare nei nuovi poderi. Qualcuno ci provÚ, ma il mestiere del mezzadro non si improvvisa, bisogna conoscerlo bene, esserci nati, e cosÏ un esercito di coloni arrivÚ in massa, in cerca di fortuna e di prosperit‡: erano i nostri coraggiosi antenati.
Nel secondo articolo, Francesca Peccianti ci racconta la sua nuova fatica, un libro destinato a rimanere nella storia di questo paese. Si intitola ìI nonni dei Venturinesiî ed Ë un collage di ricordi, raccolti dallíautrice, impreziositi da una serie di ritratti molto belli e suggestivi. Il tema del recupero della memoria familiare Ë un argomento sempre molto attuale. I ricordi personali e familiari rappresentano spesso le fondamenta della memoria storica locale. Nelle famiglie si trovano documenti e foto in grado di testimoniare fatti e avvenimenti che, non avendo lasciato traccia negli archivi pubblici, costituiscono un patrimonio da salvare prima che vada perduto per sempre. Il libro comunque, oltre ad essere una testimonianza storica, Ë anche un piccolo esperimento di antropologia familiare dal quale emergono spaccati di vita semplici, divertenti e commoventi, che meritano di essere tramandati alle generazioni future.
La famiglia della quale ci occupiamo questa volta Ë quella dei Micaelli, trasferitisi nel nostro comune da Suvereto, dove alcuni di loro vivono ancora oggi. Le loro origini sono avvolte in una fitta nebbia di mistero che abbiamo provato a diradare, rimettendo insieme i pochi pezzi a nostra disposizione. La storia che ne Ë venuta fuori non dovrebbe discostarsi molto dalla realt‡.
Nella rubrica di archeologia continua il racconto delle scoperte fatte a Vignale da Enrico Zanini e dai suoi collaboratori che, questa volta, ci presentano un personaggio chiave nella ricostruzione storica alla quale lavorano ormai da anni. Antioco era lo schiavo siriano di un noto imprenditore nel campo della produzione dei laterizi che, un giorno di venti secoli fa, ottenne la libert‡ e decise di mettere a frutto líesperienza maturata, continuando in proprio líattivit‡.
Nel secondo articolo si parla del rocambolesco ritrovamento marino di un preziosissimo oggetto antico, divenuto oggi il simbolo del museo archeologico del territorio di Populonia. Stiamo parlando della famosa Anfora di Baratti e del nuovo avveniristico percorso espositivo sensorizzato al centro del quale si trova esposta.
Il numero prosegue con i consueti e interessanti contributi di Stefano Parlanti e Alberto Benedetti che ci portano alla scoperta di una delle antiche porte di accesso al borgo di Campiglia e di un cibo appartenente alla nostra tradizione culinaria, particolarmente gustoso, che ci insegna a non sprecare gli avanzi. In chiusura, come sempre, le rubriche con il meglio di ìSei Venturinese seî e con la caccia ai nomi di ìIndovina chiî. Buona lettura a tutti.
Questo numero si apre con un articolo di storia che ci parla dello stato delle nostre campagne e dellíagricoltura nel 1848, un anno importante per i Toscani di allora e per líEuropa tutta. Ancora oggi, riferendoci inconsapevolmente a quella data, diciamo ìfare un quarantottoî per descrivere un azione dalle conseguenze caotiche, proprio in ricordo delle sommosse e delle rivolte che, in quellíanno, scossero dalle basi i governi dispotici dellíepoca e líordine costituito. Mentre il granduca, ormai con le spalle al muro, si decideva a concedere finalmente ai nostri antenati una costituzione, il campigliese Giovanni Battista Maruzzi, che abbiamo avuto modo di conoscere nel numero scorso, si accingeva a tratteggiare, con grande precisione e intelligenza, la situazione delle campagne della Val di Cornia.
Il quadro che ne esce Ë il ritratto di un mondo che sta attraversando una profonda trasformazione. Con un enorme ritardo rispetto alla gran parte della Toscana, la nostra terra si apprestava finalmente a uscire da un medioevo che aveva visto, per secoli, il prevalere di uníeconomia rurale basata sullo sfruttamento delle risorse che la natura metteva spontaneamente a disposizione. Fino a quel momento infatti, i terreni coltivati erano stati ìisoleî perse in un mare di pascoli: campi di grano per fare il pane, qualche vigna per avere il poco vino che si riusciva a produrre e molti orti, soprattutto intorno al paese, per non dover scendere al piano. Con la bonifica voluta dal governo, la situazione perÚ stava cambiando radicalmente. Per la prima volta il numero dei terreni coltivabili era superiore a quello della forza lavoro. Dopo un periodo di assestamento, durante il quale i proprietari terrieri dovettero organizzarsi, la mezzadria prese piede anche qui da noi. La campagna si trasformÚ in breve in una terra promessa. I Campigliesi, abituati da sempre a lavorare come braccianti salariati, non sembravano disposti a cambiare vita trasferendosi stabilmente con le loro famiglie in campagna, per vivere e lavorare nei nuovi poderi. Qualcuno ci provÚ, ma il mestiere del mezzadro non si improvvisa, bisogna conoscerlo bene, esserci nati, e cosÏ un esercito di coloni arrivÚ in massa, in cerca di fortuna e di prosperit‡: erano i nostri coraggiosi antenati.
Nel secondo articolo, Francesca Peccianti ci racconta la sua nuova fatica, un libro destinato a rimanere nella storia di questo paese. Si intitola ìI nonni dei Venturinesiî ed Ë un collage di ricordi, raccolti dallíautrice, impreziositi da una serie di ritratti molto belli e suggestivi. Il tema del recupero della memoria familiare Ë un argomento sempre molto attuale. I ricordi personali e familiari rappresentano spesso le fondamenta della memoria storica locale. Nelle famiglie si trovano documenti e foto in grado di testimoniare fatti e avvenimenti che, non avendo lasciato traccia negli archivi pubblici, costituiscono un patrimonio da salvare prima che vada perduto per sempre. Il libro comunque, oltre ad essere una testimonianza storica, Ë anche un piccolo esperimento di antropologia familiare dal quale emergono spaccati di vita semplici, divertenti e commoventi, che meritano di essere tramandati alle generazioni future.
La famiglia della quale ci occupiamo questa volta Ë quella dei Micaelli, trasferitisi nel nostro comune da Suvereto, dove alcuni di loro vivono ancora oggi. Le loro origini sono avvolte in una fitta nebbia di mistero che abbiamo provato a diradare, rimettendo insieme i pochi pezzi a nostra disposizione. La storia che ne Ë venuta fuori non dovrebbe discostarsi molto dalla realt‡.
Nella rubrica di archeologia continua il racconto delle scoperte fatte a Vignale da Enrico Zanini e dai suoi collaboratori che, questa volta, ci presentano un personaggio chiave nella ricostruzione storica alla quale lavorano ormai da anni. Antioco era lo schiavo siriano di un noto imprenditore nel campo della produzione dei laterizi che, un giorno di venti secoli fa, ottenne la libert‡ e decise di mettere a frutto líesperienza maturata, continuando in proprio líattivit‡.
Nel secondo articolo si parla del rocambolesco ritrovamento marino di un preziosissimo oggetto antico, divenuto oggi il simbolo del museo archeologico del territorio di Populonia. Stiamo parlando della famosa Anfora di Baratti e del nuovo avveniristico percorso espositivo sensorizzato al centro del quale si trova esposta.
Il numero prosegue con i consueti e interessanti contributi di Stefano Parlanti e Alberto Benedetti che ci portano alla scoperta di una delle antiche porte di accesso al borgo di Campiglia e di un cibo appartenente alla nostra tradizione culinaria, particolarmente gustoso, che ci insegna a non sprecare gli avanzi. In chiusura, come sempre, le rubriche con il meglio di ìSei Venturinese seî e con la caccia ai nomi di ìIndovina chiî. Buona lettura a tutti.
n. 12 (maggio/giugno 2016)
Bentornati cari amici lettori, siamo giunti al dodicesimo numero della nostra rivista, l’ultimo della seconda stagione; con la prossima uscita infatti entreremo nel terzo anno di vita.
In questo numero faremo un tuffo nell’antichità. Siamo abituati a considerare molto giovane il nostro paese, Venturina, e in effetti così è, essendosi sviluppato solo dopo la bonifica delle pianure campigliesi. Nell’immaginario collettivo la storia di questo comune nasce quando, oltre mille anni fa, fu fondato il primo nucleo del castello di Campiglia. In realtà però la storia di questa terra è ben più antica e, molto prima che Campiglia facesse la sua comparsa, le nostre campagne erano già abitate e intensamente coltivate. Pare che la malaria allora non si fosse ancora diffusa, essendo giunta un po’ più tardi, con l’arrivo di zanzare infette sbarcate dalle navi provenienti dall’Africa.
Duemila anni fa, agli albori dell’Impero Romano, Populonia era una città ancora vitale, che amministrava
un territorio ampio, comprendente gran parte dell’attuale Val di Cornia e attraversato da una delle strade
più importanti dell’epoca: la via Aurelia. È proprio lungo questo fondamentale asse viario che, nell’area delle sorgenti termali, si sviluppò l’insediamento di Caldana, composto da diversi edifici, il più grande e importante dei quali fu una bella villa signorile.
Oggi di quel mondo lontano restano pochi frammenti sparsi. Uno dei tasselli rimasti però è ancora ben visibile, anche se forse non tutti i venturinesi ne conoscono la storia. Sto parlando del mausoleo romano di Caldana, noto anche con il nome di “mausoleo di Caio Trebazio” per i motivi illustrati nel primo articolo di questo numero. Quattro anni fa, l’area del mausoleo è stata riqualificata grazie all’intervento del Comune che, in collaborazione con altri soggetti, ha ripulito il giardinetto, dotandolo di panchine, illuminazione e pannelli esplicativi. In quell’occasione, Piero Cavicchi realizzò uno studio approfondito sull’antica tomba venturinese, che riproponiamo ai nostri lettori nel libro allegato a questo numero e nell’articolo di apertura. Per la prima volta, presentiamo anche il frutto delle ricerche sul campo svolte – da Piero e da me – nell’area dell’antica Caldana, per cercare di far luce sul mistero principale che avvolge il mausoleo: chi vi fu sepolto?
Nel secondo articolo, scritto da Littoriano Nencini, facciamo un balzo in avanti di molti secoli nella linea del tempo e parliamo di un argomento chiave nella storia delle nostre campagne: la raccolta del grano. Dai faticosissimi sistemi di mietitura e trebbiatura che prevedevano l’esclusivo utilizzo della forza muscolare dell’uomo e degli animali, a partire dalla fine dell’Ottocento, anche dalle nostre parti, si cercò di utilizzare macchinari agricoli sempre più sofisticati per fare prima e fare meglio. Nel Novecento avvenne la vera rivoluzione e dall’estero arrivarono le prime macchine a motore che garantirono una produttività fino ad allora impensabile. La ditta Nencini-Rossi si pose subito all’avanguardia in questo processo di innovazione tecnologica, ritagliandosi il ruolo di azienda leader nel settore.
Nella rubrica di archeologia, Enrico Zanini ci parla ancora dell’insediamento romano di Vignale e della “stazione di servizio” adiacente alla villa, dove i viaggiatori dell’epoca si fermavano per rinfrancarsi e rilassarsi un po’. Silvia Guideri invece scrive della Rocca di San Silvestro e della sua riscoperta negli anni Settanta, grazie al lavoro di un gruppo di archeologi dell’Università di Siena, guidati dal professor Riccardo Francovich.
Inauguriamo una nuova rubrica, dedicata alle “persone”, che parlerà di gente comune che, con la passione e il lavoro, si è guadagnata un posto nella storia della nostra comunità. Questa volta parliamo di Giovanna Bellatalla, la prima parrucchiera di Venturina, raccontata dalla figlia Maria Giulia Botrini.
Nella seguitissima e apprezzatissima rubrica “Cibo& Memoria”, curata magistralmente da Alberto Benedetti, ricordiamo Evo Grassi, abile artigiano, particolarmente “ghiotto” di panzanella, uno dei tanti meravigliosi cibi poveri, ma gustosi, della nostra terra.
Stefano Parlanti scatta una foto alla piazza del Mercato di Campiglia e, come al solito, la mette a confronto
con una foto d’epoca dello stesso luogo, parlandoci brevemente della sua storia.
Chiudono questo numero le due rubriche con il meglio di “Sei Venturinese se...” – che ripropone un post
di Gianfranco Benedettini sulla Fiera di Venturina – e “Indovina chi” di Francesca Peccianti, che vi farà fare uno sforzo di memoria per riconoscere gli ex alunni ritratti nelle due foto di classe. Buona lettura a tutti.
In questo numero faremo un tuffo nell’antichità. Siamo abituati a considerare molto giovane il nostro paese, Venturina, e in effetti così è, essendosi sviluppato solo dopo la bonifica delle pianure campigliesi. Nell’immaginario collettivo la storia di questo comune nasce quando, oltre mille anni fa, fu fondato il primo nucleo del castello di Campiglia. In realtà però la storia di questa terra è ben più antica e, molto prima che Campiglia facesse la sua comparsa, le nostre campagne erano già abitate e intensamente coltivate. Pare che la malaria allora non si fosse ancora diffusa, essendo giunta un po’ più tardi, con l’arrivo di zanzare infette sbarcate dalle navi provenienti dall’Africa.
Duemila anni fa, agli albori dell’Impero Romano, Populonia era una città ancora vitale, che amministrava
un territorio ampio, comprendente gran parte dell’attuale Val di Cornia e attraversato da una delle strade
più importanti dell’epoca: la via Aurelia. È proprio lungo questo fondamentale asse viario che, nell’area delle sorgenti termali, si sviluppò l’insediamento di Caldana, composto da diversi edifici, il più grande e importante dei quali fu una bella villa signorile.
Oggi di quel mondo lontano restano pochi frammenti sparsi. Uno dei tasselli rimasti però è ancora ben visibile, anche se forse non tutti i venturinesi ne conoscono la storia. Sto parlando del mausoleo romano di Caldana, noto anche con il nome di “mausoleo di Caio Trebazio” per i motivi illustrati nel primo articolo di questo numero. Quattro anni fa, l’area del mausoleo è stata riqualificata grazie all’intervento del Comune che, in collaborazione con altri soggetti, ha ripulito il giardinetto, dotandolo di panchine, illuminazione e pannelli esplicativi. In quell’occasione, Piero Cavicchi realizzò uno studio approfondito sull’antica tomba venturinese, che riproponiamo ai nostri lettori nel libro allegato a questo numero e nell’articolo di apertura. Per la prima volta, presentiamo anche il frutto delle ricerche sul campo svolte – da Piero e da me – nell’area dell’antica Caldana, per cercare di far luce sul mistero principale che avvolge il mausoleo: chi vi fu sepolto?
Nel secondo articolo, scritto da Littoriano Nencini, facciamo un balzo in avanti di molti secoli nella linea del tempo e parliamo di un argomento chiave nella storia delle nostre campagne: la raccolta del grano. Dai faticosissimi sistemi di mietitura e trebbiatura che prevedevano l’esclusivo utilizzo della forza muscolare dell’uomo e degli animali, a partire dalla fine dell’Ottocento, anche dalle nostre parti, si cercò di utilizzare macchinari agricoli sempre più sofisticati per fare prima e fare meglio. Nel Novecento avvenne la vera rivoluzione e dall’estero arrivarono le prime macchine a motore che garantirono una produttività fino ad allora impensabile. La ditta Nencini-Rossi si pose subito all’avanguardia in questo processo di innovazione tecnologica, ritagliandosi il ruolo di azienda leader nel settore.
Nella rubrica di archeologia, Enrico Zanini ci parla ancora dell’insediamento romano di Vignale e della “stazione di servizio” adiacente alla villa, dove i viaggiatori dell’epoca si fermavano per rinfrancarsi e rilassarsi un po’. Silvia Guideri invece scrive della Rocca di San Silvestro e della sua riscoperta negli anni Settanta, grazie al lavoro di un gruppo di archeologi dell’Università di Siena, guidati dal professor Riccardo Francovich.
Inauguriamo una nuova rubrica, dedicata alle “persone”, che parlerà di gente comune che, con la passione e il lavoro, si è guadagnata un posto nella storia della nostra comunità. Questa volta parliamo di Giovanna Bellatalla, la prima parrucchiera di Venturina, raccontata dalla figlia Maria Giulia Botrini.
Nella seguitissima e apprezzatissima rubrica “Cibo& Memoria”, curata magistralmente da Alberto Benedetti, ricordiamo Evo Grassi, abile artigiano, particolarmente “ghiotto” di panzanella, uno dei tanti meravigliosi cibi poveri, ma gustosi, della nostra terra.
Stefano Parlanti scatta una foto alla piazza del Mercato di Campiglia e, come al solito, la mette a confronto
con una foto d’epoca dello stesso luogo, parlandoci brevemente della sua storia.
Chiudono questo numero le due rubriche con il meglio di “Sei Venturinese se...” – che ripropone un post
di Gianfranco Benedettini sulla Fiera di Venturina – e “Indovina chi” di Francesca Peccianti, che vi farà fare uno sforzo di memoria per riconoscere gli ex alunni ritratti nelle due foto di classe. Buona lettura a tutti.
n. 13 (luglio/agosto 2016)
Cari amici lettori, il tredicesimo numero è un traguardo importante perché la rivista festeggia il suo secondo compleanno. Iniziamo questo terzo anno di vita con immutato entusiasmo e, così come facemmo in occasione del primo anniversario, abbiamo deciso di rinnovare la grafica e l’impaginazione, con l’intento di rendere la lettura ancora più piacevole, sperando di esserci riusciti.
La sezione di Storia si apre con un articolo che ci racconta il viaggio compiuto da due “spiriti romantici” nel 1831. Stiamo parlando di un prete toscano, Paolo Pifferi, e del suo amico Charles Wilson, giovane artista inglese. Partendo da Livorno, diretti a Roma, i due percorsero la via Aurelia alla ricerca di luoghi antichi e “pittoreschi” da conoscere, descrivere e ritrarre. Visitarono anche Campiglia, un posto spaventoso ma al tempo stesso incantevole, abitato da gente ingenua e “primitiva”, un paese dove gli uomini sono deboli e indolenti e le donne comandano. Si tratta di una descrizione evidentemente grottesca e caricaturale – confezionata ad arte per stupire i lettori e rendere il resoconto del viaggio ancora più stravagante e avventuroso – che però contiene senza dubbio un fondo di verità.
Nel secondo articolo riassumiamo la storia delle cave di allume di Campiglia, le “lumiere”, delle quali è rimasta una traccia indelebile nel nome di una delle frazioni del nostro comune. Scoperti nel Quattrocento, i giacimenti di alunite furono sfruttati fino alla seconda metà del Cinquecento, quando furono abbandonati definitivamente perché non rendevano abbastanza. Scopriamo insieme come avveniva la lavorazione e come venivano utilizzati i prodotti di quell’industria mineraria.
Il terzo articolo tenta di far luce sulle vicende che portarono all’abbandono della chiesina di S. Lucia, oratorio del forno della ferriera di Caldana, costruito nel Seicento. Non esistono studi specifici o pubblicazioni su questo piccolo edificio religioso e di conseguenza non se ne sa molto. Occorrerebbero quindi indagini d’archivio tra le carte della Magona del ferro, che ci riproponiamo di fare non appena se ne presenterà l’occasione. Per il momento offriamo ai lettori il frutto di una ricerca svolta su alcuni documenti inediti conservati nell’archivio vescovile di Massa Marittima.
L’articolo dedicato alle famiglie locali è un ricordo che Littoriano Nencini fa di suo nonno Cireneo, patriarca della stirpe dei Rossi di Venturina, una delle famiglie che, con sudore, determinazione, intelligenza e lungimiranza, hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo del paese. Cireneo e sua moglie Benedetta seppero sfruttare l’opportunità che la “strada per Roma” offriva ai primi del Novecento, abbandonando la campagna per trasformarsi in albergatori e ristoratori di successo.
Per rimanere in tema, nella sezione di archeologia, Enrico Zanini ci racconta di un’altra “azienda turistica” sorta, come quella dei Rossi, sull’Aurelia, con la differenza che la “stazione di servizio” romana di Vignale operò duemila anni fa, offrendo ai viaggiatori di allora comfort molto apprezzati, come le terme.
Di bagni termali ci parla anche Marta Coccoluto nel suo articolo sulla domus romana scoperta sotto le Logge, all’interno dell’acropoli di Populonia: una ricca abitazione signorile dotata di terme private con tanto di mosaici, recentemente riportati alla luce per essere restaurati e resi visitabili.
Nella rubrica dedicata alle persone, Luca Nesti condivide con noi un episodio della vita di mamma Renza e di zia Renata Montomoli, due giovani e promettenti ragazze che sognavano di lavorare nel mondo della moda nella Venturina degli anni Sessanta.
Nella sezione dedicata alle nostre rubriche, Alberto Benedetti ricorda Alfredo Barsotti, storico cameriere del ristorante “Otello”, personaggio simpatico e poliedrico che aveva un debole per il polpo lesso, cucinato con l’immancabile tappo di sughero.
Francesca Peccianti, come al solito, ci invita ad aguzzare la vista e ad esercitare la memoria per riconoscere le persone immortalate in due belle vecchie foto nel suo “Indovina chi”.
Chiude Gianfranco Benedettini, che tira fuori dal cassetto due articoli d’epoca sulla tratta ferroviaria Campiglia-Piombino, il primo sull’inaugurazione del tracciato, nel 1892, il secondo su un tragico incidente avvenuto sul binario unico nel 1934.
Buona lettura a tutti.
La sezione di Storia si apre con un articolo che ci racconta il viaggio compiuto da due “spiriti romantici” nel 1831. Stiamo parlando di un prete toscano, Paolo Pifferi, e del suo amico Charles Wilson, giovane artista inglese. Partendo da Livorno, diretti a Roma, i due percorsero la via Aurelia alla ricerca di luoghi antichi e “pittoreschi” da conoscere, descrivere e ritrarre. Visitarono anche Campiglia, un posto spaventoso ma al tempo stesso incantevole, abitato da gente ingenua e “primitiva”, un paese dove gli uomini sono deboli e indolenti e le donne comandano. Si tratta di una descrizione evidentemente grottesca e caricaturale – confezionata ad arte per stupire i lettori e rendere il resoconto del viaggio ancora più stravagante e avventuroso – che però contiene senza dubbio un fondo di verità.
Nel secondo articolo riassumiamo la storia delle cave di allume di Campiglia, le “lumiere”, delle quali è rimasta una traccia indelebile nel nome di una delle frazioni del nostro comune. Scoperti nel Quattrocento, i giacimenti di alunite furono sfruttati fino alla seconda metà del Cinquecento, quando furono abbandonati definitivamente perché non rendevano abbastanza. Scopriamo insieme come avveniva la lavorazione e come venivano utilizzati i prodotti di quell’industria mineraria.
Il terzo articolo tenta di far luce sulle vicende che portarono all’abbandono della chiesina di S. Lucia, oratorio del forno della ferriera di Caldana, costruito nel Seicento. Non esistono studi specifici o pubblicazioni su questo piccolo edificio religioso e di conseguenza non se ne sa molto. Occorrerebbero quindi indagini d’archivio tra le carte della Magona del ferro, che ci riproponiamo di fare non appena se ne presenterà l’occasione. Per il momento offriamo ai lettori il frutto di una ricerca svolta su alcuni documenti inediti conservati nell’archivio vescovile di Massa Marittima.
L’articolo dedicato alle famiglie locali è un ricordo che Littoriano Nencini fa di suo nonno Cireneo, patriarca della stirpe dei Rossi di Venturina, una delle famiglie che, con sudore, determinazione, intelligenza e lungimiranza, hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo del paese. Cireneo e sua moglie Benedetta seppero sfruttare l’opportunità che la “strada per Roma” offriva ai primi del Novecento, abbandonando la campagna per trasformarsi in albergatori e ristoratori di successo.
Per rimanere in tema, nella sezione di archeologia, Enrico Zanini ci racconta di un’altra “azienda turistica” sorta, come quella dei Rossi, sull’Aurelia, con la differenza che la “stazione di servizio” romana di Vignale operò duemila anni fa, offrendo ai viaggiatori di allora comfort molto apprezzati, come le terme.
Di bagni termali ci parla anche Marta Coccoluto nel suo articolo sulla domus romana scoperta sotto le Logge, all’interno dell’acropoli di Populonia: una ricca abitazione signorile dotata di terme private con tanto di mosaici, recentemente riportati alla luce per essere restaurati e resi visitabili.
Nella rubrica dedicata alle persone, Luca Nesti condivide con noi un episodio della vita di mamma Renza e di zia Renata Montomoli, due giovani e promettenti ragazze che sognavano di lavorare nel mondo della moda nella Venturina degli anni Sessanta.
Nella sezione dedicata alle nostre rubriche, Alberto Benedetti ricorda Alfredo Barsotti, storico cameriere del ristorante “Otello”, personaggio simpatico e poliedrico che aveva un debole per il polpo lesso, cucinato con l’immancabile tappo di sughero.
Francesca Peccianti, come al solito, ci invita ad aguzzare la vista e ad esercitare la memoria per riconoscere le persone immortalate in due belle vecchie foto nel suo “Indovina chi”.
Chiude Gianfranco Benedettini, che tira fuori dal cassetto due articoli d’epoca sulla tratta ferroviaria Campiglia-Piombino, il primo sull’inaugurazione del tracciato, nel 1892, il secondo su un tragico incidente avvenuto sul binario unico nel 1934.
Buona lettura a tutti.
n. 14 (settembre/ottobre 2016)
Cari amici lettori, l’articolo principale di questo quattordicesimo numero ci racconta chi erano e cosa facevano i Capitani di Giustizia di Campiglia. I famosissimi stemmi di Palazzo Pretorio sono ciò che rimane del loro passaggio. Quei pezzi di marmo fanno ormai parte del patrimonio genetico dei Campigliesi. Per questo abbiamo voluto dare il nostro contributo alla loro valorizzazione, pubblicando un libretto, abbinato alla rivista, dedicato a questi simboli del passato, per conoscerli meglio e inquadrarli nel contesto storico che li produsse.
L’attività dei Capitani di Giustizia che esercitarono la loro funzione a Campiglia ha lasciato una traccia indelebile nei registri delle cause civili e criminali che negli anni Sessanta del Novecento, dalla Pretura di Piombino – dove erano confluiti in seguito alla soppressione del tribunale di Campiglia – furono depositati presso l’Archivio di Stato di Livorno. Questa documentazione si trova attualmente a Perugia, in un magazzino del Ministero dove era stata trasferita per mancanza di spazio. Dovrebbe rientrare a Livorno entro i prossimi due anni, è quello che ci auguriamo con tutto il cuore, trattandosi di un patrimonio dall’inestimabile valore storico, il cui studio ci permetterebbe di ricostruire una fetta importante della vita sociale campigliese, dal Quattrocento al Settecento.
Nel secondo articolo, vi proponiamo il resoconto di una lite scoppiata alla fine del Cinquecento tra Campigliesi e Piombinesi sul confine tra i due stati. Siamo alla Sdriscia, ancora oggi frazione del Comune di Piombino, subito sotto la “lavoriera” degli Affitti, ovvero una parte dei terreni che il granduca Cosimo I, alla metà del XVI secolo, aveva preso in locazione dalla Comunità di Campiglia, in nome della moglie Eleonora di Toledo. Un pezzo di campagna posta di là dal Cornia era stato destinato ai contadini campigliesi che, potevano coltivare la terra gratuitamente, consegnando alle guardie del granduca il “terratico”, ovvero un ottavo del raccolto. Una cosa simile avveniva anche sul versante piombinese, dove esistevano terreni agricoli dati in concessione al miglior offerente. Quando una parte della lavoriera campigliese smise di essere coltivata, i Piombinesi la occuparono. Ne nacque una disputa che coinvolse le maggiori autorità del Granducato e del Principato, perché, anche se si trattava di un fazzoletto di terra, un confine internazionale era stato violato. Si decise allora, di comune accordo, di fare una ricognizione congiunta dei confini, per ripristinarli com’erano prima dell’invasione. Furono sentiti molti testimoni, le cui dichiarazioni dipingono un caratteristico quadro della realtà dell’epoca che va oltre alla semplice narrazione dei fatti in questione.
Nella rubrica dedicata alla storia familiare, ci occupiamo dei Peccianti, una famiglia piuttosto numerosa, arrivata in Caldana negli anni Settanta dell’Ottocento e quindi una delle più “antiche” di Venturina. Si tratta di un gruppo familiare che ha dovuto spesso ricominciare da capo, lasciandosi alle spalle il passato, alla ricerca di un futuro migliore in una terra di frontiera, prima la Maremma, poi l’America.
Per l’archeologia, continuano i racconti che il professor Zanini ci regala, rendendoci partecipi del grande lavoro che da anni conduce, insieme ai suoi bravi collaboratori, sul sito della villa romana di Vignale.
Sempre nella sezione dedicata alla ricerca archeologica, una nuova e valida corrispondente, Laura Peruzzi, si cimenta con un periodo poco conosciuto della storia di Populonia, ma proprio per questo ancora più interessante e stimolante: il medioevo. Dalla ricerca d’archivio che Laura sta conducendo su documenti ancora in gran parte inediti, potrebbero arrivare in futuro nuove scoperte per far luce sulle vicende dell’abitato medievale.
Nella rubrica delle “persone”, questa volta si parla di Daniele Toncelli, artista venturinese conosciuto e apprezzato a livello nazionale, che ha mantenuto un forte legame con il suo paese d’origine dove ha iniziato a dipingere quando ancora era un ragazzo, seguendo la orme del padre. Il “pianerottolo” venturinese, dove tutto ha avuto inizio, è oggi una delle gallerie espositive più note agli appassionati d’arte della zona e non solo.
Il consueto e “delizioso” spazio storico-gastronomico di Alberto Benedetti è dedicato a Franco Cappelli, il “mugnaio” delle olive e il pensiero corre veloce alla gustosissima salsa frantoiana.
Chiude questo numero Francesca Peccianti con il suo divertente “Indovina chi...”
Buona lettura a tutti.
L’attività dei Capitani di Giustizia che esercitarono la loro funzione a Campiglia ha lasciato una traccia indelebile nei registri delle cause civili e criminali che negli anni Sessanta del Novecento, dalla Pretura di Piombino – dove erano confluiti in seguito alla soppressione del tribunale di Campiglia – furono depositati presso l’Archivio di Stato di Livorno. Questa documentazione si trova attualmente a Perugia, in un magazzino del Ministero dove era stata trasferita per mancanza di spazio. Dovrebbe rientrare a Livorno entro i prossimi due anni, è quello che ci auguriamo con tutto il cuore, trattandosi di un patrimonio dall’inestimabile valore storico, il cui studio ci permetterebbe di ricostruire una fetta importante della vita sociale campigliese, dal Quattrocento al Settecento.
Nel secondo articolo, vi proponiamo il resoconto di una lite scoppiata alla fine del Cinquecento tra Campigliesi e Piombinesi sul confine tra i due stati. Siamo alla Sdriscia, ancora oggi frazione del Comune di Piombino, subito sotto la “lavoriera” degli Affitti, ovvero una parte dei terreni che il granduca Cosimo I, alla metà del XVI secolo, aveva preso in locazione dalla Comunità di Campiglia, in nome della moglie Eleonora di Toledo. Un pezzo di campagna posta di là dal Cornia era stato destinato ai contadini campigliesi che, potevano coltivare la terra gratuitamente, consegnando alle guardie del granduca il “terratico”, ovvero un ottavo del raccolto. Una cosa simile avveniva anche sul versante piombinese, dove esistevano terreni agricoli dati in concessione al miglior offerente. Quando una parte della lavoriera campigliese smise di essere coltivata, i Piombinesi la occuparono. Ne nacque una disputa che coinvolse le maggiori autorità del Granducato e del Principato, perché, anche se si trattava di un fazzoletto di terra, un confine internazionale era stato violato. Si decise allora, di comune accordo, di fare una ricognizione congiunta dei confini, per ripristinarli com’erano prima dell’invasione. Furono sentiti molti testimoni, le cui dichiarazioni dipingono un caratteristico quadro della realtà dell’epoca che va oltre alla semplice narrazione dei fatti in questione.
Nella rubrica dedicata alla storia familiare, ci occupiamo dei Peccianti, una famiglia piuttosto numerosa, arrivata in Caldana negli anni Settanta dell’Ottocento e quindi una delle più “antiche” di Venturina. Si tratta di un gruppo familiare che ha dovuto spesso ricominciare da capo, lasciandosi alle spalle il passato, alla ricerca di un futuro migliore in una terra di frontiera, prima la Maremma, poi l’America.
Per l’archeologia, continuano i racconti che il professor Zanini ci regala, rendendoci partecipi del grande lavoro che da anni conduce, insieme ai suoi bravi collaboratori, sul sito della villa romana di Vignale.
Sempre nella sezione dedicata alla ricerca archeologica, una nuova e valida corrispondente, Laura Peruzzi, si cimenta con un periodo poco conosciuto della storia di Populonia, ma proprio per questo ancora più interessante e stimolante: il medioevo. Dalla ricerca d’archivio che Laura sta conducendo su documenti ancora in gran parte inediti, potrebbero arrivare in futuro nuove scoperte per far luce sulle vicende dell’abitato medievale.
Nella rubrica delle “persone”, questa volta si parla di Daniele Toncelli, artista venturinese conosciuto e apprezzato a livello nazionale, che ha mantenuto un forte legame con il suo paese d’origine dove ha iniziato a dipingere quando ancora era un ragazzo, seguendo la orme del padre. Il “pianerottolo” venturinese, dove tutto ha avuto inizio, è oggi una delle gallerie espositive più note agli appassionati d’arte della zona e non solo.
Il consueto e “delizioso” spazio storico-gastronomico di Alberto Benedetti è dedicato a Franco Cappelli, il “mugnaio” delle olive e il pensiero corre veloce alla gustosissima salsa frantoiana.
Chiude questo numero Francesca Peccianti con il suo divertente “Indovina chi...”
Buona lettura a tutti.
n. 15 (novembre/dicembre 2016)
Cari amici lettori, questo quindicesimo numero, ultimo del 2016, si apre con un articolo su un periodo poco studiato, almeno per il Comune di Campiglia, quello relativo agli sconvolgimenti epocali che seguirono la rivoluzione francese.
Nella primavera del 1799 l’esercito francese invase la Toscana e anche Piombino e Campiglia furono occupate da un presidio militare. Le continue spese per il mantenimento delle truppe transalpine prosciugarono in pochissimo tempo le casse comunali. Non c’era più grano disponibile e la popolazione fu ridotta alla fame. Ne nacquero disordini che, alla fine, sfociarono in una “controrivoluzione” che cacciò gli invasori. Abbiamo provato a raccontarvi quei centocinque giorni – tanto durò l’occupazione – dal punto di vista dei Campigliesi.
Nel secondo articolo, si parla ancora di Isidoro Falchi, personaggio importante della storia campigliese, che ci era stato presentato in uno dei primi numeri da Gianfranco Benedettini. Ripercorriamo insieme la genesi del suo libro più famoso, almeno per noi, e cioè i “Trattenimenti Popolari”, che segnarono l’inizio della ricerca storica per il nostro territorio. Falchi non era un “professionista” ma la sua grande passione per il passato e il suo amore per questa terra, che lo aveva adottato con tanta simpatia, lo spinsero a raccogliere i suoi appunti in un libro che fu pubblicato a spese del Comune. Falchi si augurava che qualcuno, un giorno, portasse avanti, approfondendoli, gli studi sulla storia di Campiglia che lui aveva iniziato. Quella di Isidoro Falchi è un’eredità che, come altri prima di noi, raccogliamo volentieri. Oggi abbiamo mezzi moderni che ci facilitano nella ricerca, strumenti che Falchi non avrebbe neanche potuto immaginare ma, alla base, i requisiti fondamentali del ricercatore sono sempre gli stessi: intelligenza, curiosità, preparazione, passione e tenacia. Lui forse non aveva una grandissima preparazione in materia ma, in quanto a intelligenza, curiosità, passione e tenacia, Isidoro Falchi è stato un vero campione.
Per celebrare la sua opera, abbiamo deciso di pubblicare una nuova edizione dei “Trattenimenti” – che alleghiamo a questo numero – correggendo i principali errori, traducendo le parti in latino, aggiungendo qualche illustrazione e un indice finale dei nomi.
Il terzo articolo è un ricordo che Littoriano Nencini fa di un personaggio che i più giovani non avranno mai sentito neanche nominare: lo spaccapietre. Si tratta di un mestiere antico, umile e faticosissimo, che veniva intrapreso da chi non aveva un’occupazione, in attesa di trovare qualcosa di meglio, ma che spesso finiva per durare tutta la vita. Un lavoro indispensabile in un’epoca in cui le strade, sterrate e polverose, dovevano essere continuamente rattoppate.
Nella rubrica dedicata alle famiglie, questa volta vi racconto la storia dei Camerini, ovvero dei miei diretti antenati. Non volevo farlo, per il timore di sembrare autocelebrativo ma, visto che nel nostro caso non c’è niente da celebrare – oltre all’operosità e all’onestà comuni a tante altre famiglie di origine contadina – alla fine ho deciso di scrivere di loro. In tanti anni di ricerche genealogiche sono riuscito a risalire indietro nel tempo di settecento anni, mettendo in fila 23 generazioni; quello che vi presento è solo un breve riassunto delle principali vicende.
Per la sezione di archeologia, Enrico Zanini ci racconta di come lui e i suoi collaboratori siano riusciti, finalmente, a ritrovare le perdute terme romane alle quali, in più di un’occasione, aveva fatto riferimento negli articoli precedenti. La scoperta è stata resa ancora più emozionante dal ritrovamento di un particolare tipo di pavimentazione molto rara e quindi preziosa.
Laura Peruzzi poi ci porta a conoscenza di quanto emerso da una serie di indagini archeologiche condotte a Populonia, nell’area di San Cerbone Vecchio, che hanno rivelato la presenza di alcuni edifici misteriosi, definiti dalla nostra corrispondente “le chiese segrete di Populonia”, vediamo perché.
Chiudono questo numero le consuete rubriche. Alberto Benedetti prende spunto dal ricordo di Bianca Cilotti – una ragazza venturinese che, dopo la fine della guerra, sposò un soldato americano in servizio dalle nostre parti seguendolo poi oltreoceano – per comporre la sua solita ricetta in rima: la zuppa inglese.
Francesca Peccianti invece, come sempre, stuzzica la nostra curiosità con una vecchia foto di classe. Riuscirete a indovinare chi sono le persone ritratte?
Buona lettura e buon anno a tutti.
Nella primavera del 1799 l’esercito francese invase la Toscana e anche Piombino e Campiglia furono occupate da un presidio militare. Le continue spese per il mantenimento delle truppe transalpine prosciugarono in pochissimo tempo le casse comunali. Non c’era più grano disponibile e la popolazione fu ridotta alla fame. Ne nacquero disordini che, alla fine, sfociarono in una “controrivoluzione” che cacciò gli invasori. Abbiamo provato a raccontarvi quei centocinque giorni – tanto durò l’occupazione – dal punto di vista dei Campigliesi.
Nel secondo articolo, si parla ancora di Isidoro Falchi, personaggio importante della storia campigliese, che ci era stato presentato in uno dei primi numeri da Gianfranco Benedettini. Ripercorriamo insieme la genesi del suo libro più famoso, almeno per noi, e cioè i “Trattenimenti Popolari”, che segnarono l’inizio della ricerca storica per il nostro territorio. Falchi non era un “professionista” ma la sua grande passione per il passato e il suo amore per questa terra, che lo aveva adottato con tanta simpatia, lo spinsero a raccogliere i suoi appunti in un libro che fu pubblicato a spese del Comune. Falchi si augurava che qualcuno, un giorno, portasse avanti, approfondendoli, gli studi sulla storia di Campiglia che lui aveva iniziato. Quella di Isidoro Falchi è un’eredità che, come altri prima di noi, raccogliamo volentieri. Oggi abbiamo mezzi moderni che ci facilitano nella ricerca, strumenti che Falchi non avrebbe neanche potuto immaginare ma, alla base, i requisiti fondamentali del ricercatore sono sempre gli stessi: intelligenza, curiosità, preparazione, passione e tenacia. Lui forse non aveva una grandissima preparazione in materia ma, in quanto a intelligenza, curiosità, passione e tenacia, Isidoro Falchi è stato un vero campione.
Per celebrare la sua opera, abbiamo deciso di pubblicare una nuova edizione dei “Trattenimenti” – che alleghiamo a questo numero – correggendo i principali errori, traducendo le parti in latino, aggiungendo qualche illustrazione e un indice finale dei nomi.
Il terzo articolo è un ricordo che Littoriano Nencini fa di un personaggio che i più giovani non avranno mai sentito neanche nominare: lo spaccapietre. Si tratta di un mestiere antico, umile e faticosissimo, che veniva intrapreso da chi non aveva un’occupazione, in attesa di trovare qualcosa di meglio, ma che spesso finiva per durare tutta la vita. Un lavoro indispensabile in un’epoca in cui le strade, sterrate e polverose, dovevano essere continuamente rattoppate.
Nella rubrica dedicata alle famiglie, questa volta vi racconto la storia dei Camerini, ovvero dei miei diretti antenati. Non volevo farlo, per il timore di sembrare autocelebrativo ma, visto che nel nostro caso non c’è niente da celebrare – oltre all’operosità e all’onestà comuni a tante altre famiglie di origine contadina – alla fine ho deciso di scrivere di loro. In tanti anni di ricerche genealogiche sono riuscito a risalire indietro nel tempo di settecento anni, mettendo in fila 23 generazioni; quello che vi presento è solo un breve riassunto delle principali vicende.
Per la sezione di archeologia, Enrico Zanini ci racconta di come lui e i suoi collaboratori siano riusciti, finalmente, a ritrovare le perdute terme romane alle quali, in più di un’occasione, aveva fatto riferimento negli articoli precedenti. La scoperta è stata resa ancora più emozionante dal ritrovamento di un particolare tipo di pavimentazione molto rara e quindi preziosa.
Laura Peruzzi poi ci porta a conoscenza di quanto emerso da una serie di indagini archeologiche condotte a Populonia, nell’area di San Cerbone Vecchio, che hanno rivelato la presenza di alcuni edifici misteriosi, definiti dalla nostra corrispondente “le chiese segrete di Populonia”, vediamo perché.
Chiudono questo numero le consuete rubriche. Alberto Benedetti prende spunto dal ricordo di Bianca Cilotti – una ragazza venturinese che, dopo la fine della guerra, sposò un soldato americano in servizio dalle nostre parti seguendolo poi oltreoceano – per comporre la sua solita ricetta in rima: la zuppa inglese.
Francesca Peccianti invece, come sempre, stuzzica la nostra curiosità con una vecchia foto di classe. Riuscirete a indovinare chi sono le persone ritratte?
Buona lettura e buon anno a tutti.
n. 16 (gennaio/febbraio 2017)
Cari amici lettori, apriamo questo nuovo anno insieme, presentandovi un numero, il sedicesimo, particolarmente ricco di articoli “sostanziosi”, frutto di ricerche d’archivio inedite.
In apertura, vi raccontiamo una storia ambientata nella Campiglia dei primi anni del Seicento. Violante è una bella e giovane ragazza, la vita sembra sorriderle ma, quando la felicità è ormai a portata di mano, il destino decide di voltarle le spalle. Da novella sposa a vedova incinta è un attimo e la paura le fa fare una scelta affrettata, che compromette la sua reputazione e segna per sempre il suo futuro. Il fato poi le è di nuovo avverso e, sola per la seconda volta, ha bisogno disperatamente di un uomo che la protegga. Ci pensa Simone a prendersi cura di lei, ma lo fa in modo illecito. Non è un tipo che si piega facilmente alle rigide regole della società di allora e, quando le autorità ecclesiastiche decidono che quella relazione scandalosa deve finire, lui non abbassa la testa. Miseria, ignoranza e bigottismo si fondono in un cocktail micidiale e, come spesso accade, a farne le spese è la protagonista femminile. L’accusa di concubinato non è uno scherzo, si rischia grosso. Nella Campiglia del Seicento non c’è posto per l’adulterio e le beghine del paese non vedono l’ora di lapidare chi non si sottomette alla morale. Una strana morale a dire il vero, pronta a condannare due adulti consenzienti ma che non dice niente di fronte ad un uomo di quasi cinquant’anni che sposa una bambina di undici.
Nel secondo articolo, vi accompagniamo in un viaggio virtuale nella Pulledraia di quattro secoli fa. Per chi non lo sapesse, in Caldana è esistita, per circa trecento anni, una grande tenuta dove – prima dai granduchi e successivamente dalla famiglia Benvenuti – erano allevati i puledri di razza. Il documento che vi presentiamo è una meravigliosa mappa dell’epoca, quasi un’opera d’arte, che ci permette di scoprire come fosse organizzata al suo interno la “Bandita dei Polledri”. La ricerca d’archivio ha fatto emergere un dato che, fino ad oggi, non era mai stato evidenziato: uno degli edifici ancora esistenti potrebbe risalire addirittura ad oltre 1200 anni fa!
Littoriano Nencini, nel terzo articolo, ci riporta all’estate del 1944, quando l’esercito americano arrivò in Val di Cornia per liberarci. Littoriano c’era e quello che racconta non lo ha letto sui libri e nemmeno gli è stato riportato, lo ha vissuto in prima persona. Lo stupore di ritrovarsi improvvisamente di fronte a cose che, fino ad allora, non erano neanche lontanamente immaginabili, faceva apparire quei liberatori quasi come degli esseri onnipotenti. La miseria aguzzava l’ingegno, ma l’intraprendenza dei ragazzetti venturinesi non era paragonabile all’esperienza e alla saggezza dei più anziani.
Nella sezione dedicata alle famiglie locali, questa volta tocca ai Montemerli, la casata più illustre tra quelle originarie di Campiglia. Abituati fin da sempre ad avere a che fare con granduchi e pezzi grossi di ogni genere, mantennero un forte legame con la Maremma, nonostante gli affari li tenessero spesso lontani. Nati come affaristi, nel Settecento divennero conti ma, più che per la nobiltà del sangue, si distinsero per quella dell’animo. In particolare il conte Lorenzo, dopo aver calcato i palcoscenici di tutta Europa, impiegò la sua vita e il suo patrimonio per aiutare gli altri. A Campiglia, oggi nessuno si ricorda più di loro, l’unica cosa che resta in paese è la targa di una strada: “via Monte Merli”, come se quel vicoletto fosse dedicato ad una montagna anziché all’illustre stirpe che un giorno vi abitò. Con questo articolo intendiamo riappropriarci definitivamente di un pezzo della nostra storia, facendo conoscere a tutti le gesta di un grande campigliese, il conte Lorenzo Montemerli, artista di fama internazionale, filantropo instancabile e protagonista del Risorgimento italiano.
Per l’archeologia, in questo numero, Erika Grilli ci parla del famoso e bellissimo “Mosaico dei Pesci”, proveniente da una delle abitazioni signorili dell’acropoli di Populonia. Laura Peruzzi invece, come ormai suo solito, indaga i misteri del borgo medievale populoniese, cercando di rimettere insieme le tessere di un puzzle di non facilissima ricostruzione: la storia della chiesa di Santa Croce.
Chiudono il numero, le nostre due consuete rubriche curate da Alberto Benedetti – che questa volta, ricordando Amerigo Franceschi, ci serve la pasta all’uovo – e da Francesca Peccianti che è riuscita a scovare un’altra vecchia foto di classe di una scuola superiore sperimentale, nella Venturina degli anni Sessanta. Buona lettura.
In apertura, vi raccontiamo una storia ambientata nella Campiglia dei primi anni del Seicento. Violante è una bella e giovane ragazza, la vita sembra sorriderle ma, quando la felicità è ormai a portata di mano, il destino decide di voltarle le spalle. Da novella sposa a vedova incinta è un attimo e la paura le fa fare una scelta affrettata, che compromette la sua reputazione e segna per sempre il suo futuro. Il fato poi le è di nuovo avverso e, sola per la seconda volta, ha bisogno disperatamente di un uomo che la protegga. Ci pensa Simone a prendersi cura di lei, ma lo fa in modo illecito. Non è un tipo che si piega facilmente alle rigide regole della società di allora e, quando le autorità ecclesiastiche decidono che quella relazione scandalosa deve finire, lui non abbassa la testa. Miseria, ignoranza e bigottismo si fondono in un cocktail micidiale e, come spesso accade, a farne le spese è la protagonista femminile. L’accusa di concubinato non è uno scherzo, si rischia grosso. Nella Campiglia del Seicento non c’è posto per l’adulterio e le beghine del paese non vedono l’ora di lapidare chi non si sottomette alla morale. Una strana morale a dire il vero, pronta a condannare due adulti consenzienti ma che non dice niente di fronte ad un uomo di quasi cinquant’anni che sposa una bambina di undici.
Nel secondo articolo, vi accompagniamo in un viaggio virtuale nella Pulledraia di quattro secoli fa. Per chi non lo sapesse, in Caldana è esistita, per circa trecento anni, una grande tenuta dove – prima dai granduchi e successivamente dalla famiglia Benvenuti – erano allevati i puledri di razza. Il documento che vi presentiamo è una meravigliosa mappa dell’epoca, quasi un’opera d’arte, che ci permette di scoprire come fosse organizzata al suo interno la “Bandita dei Polledri”. La ricerca d’archivio ha fatto emergere un dato che, fino ad oggi, non era mai stato evidenziato: uno degli edifici ancora esistenti potrebbe risalire addirittura ad oltre 1200 anni fa!
Littoriano Nencini, nel terzo articolo, ci riporta all’estate del 1944, quando l’esercito americano arrivò in Val di Cornia per liberarci. Littoriano c’era e quello che racconta non lo ha letto sui libri e nemmeno gli è stato riportato, lo ha vissuto in prima persona. Lo stupore di ritrovarsi improvvisamente di fronte a cose che, fino ad allora, non erano neanche lontanamente immaginabili, faceva apparire quei liberatori quasi come degli esseri onnipotenti. La miseria aguzzava l’ingegno, ma l’intraprendenza dei ragazzetti venturinesi non era paragonabile all’esperienza e alla saggezza dei più anziani.
Nella sezione dedicata alle famiglie locali, questa volta tocca ai Montemerli, la casata più illustre tra quelle originarie di Campiglia. Abituati fin da sempre ad avere a che fare con granduchi e pezzi grossi di ogni genere, mantennero un forte legame con la Maremma, nonostante gli affari li tenessero spesso lontani. Nati come affaristi, nel Settecento divennero conti ma, più che per la nobiltà del sangue, si distinsero per quella dell’animo. In particolare il conte Lorenzo, dopo aver calcato i palcoscenici di tutta Europa, impiegò la sua vita e il suo patrimonio per aiutare gli altri. A Campiglia, oggi nessuno si ricorda più di loro, l’unica cosa che resta in paese è la targa di una strada: “via Monte Merli”, come se quel vicoletto fosse dedicato ad una montagna anziché all’illustre stirpe che un giorno vi abitò. Con questo articolo intendiamo riappropriarci definitivamente di un pezzo della nostra storia, facendo conoscere a tutti le gesta di un grande campigliese, il conte Lorenzo Montemerli, artista di fama internazionale, filantropo instancabile e protagonista del Risorgimento italiano.
Per l’archeologia, in questo numero, Erika Grilli ci parla del famoso e bellissimo “Mosaico dei Pesci”, proveniente da una delle abitazioni signorili dell’acropoli di Populonia. Laura Peruzzi invece, come ormai suo solito, indaga i misteri del borgo medievale populoniese, cercando di rimettere insieme le tessere di un puzzle di non facilissima ricostruzione: la storia della chiesa di Santa Croce.
Chiudono il numero, le nostre due consuete rubriche curate da Alberto Benedetti – che questa volta, ricordando Amerigo Franceschi, ci serve la pasta all’uovo – e da Francesca Peccianti che è riuscita a scovare un’altra vecchia foto di classe di una scuola superiore sperimentale, nella Venturina degli anni Sessanta. Buona lettura.
n. 17 (marzo/aprile 2017)
Cari amici lettori, in questo numero ci occupiamo di un periodo molto difficile della nostra storia recente, quello fascista. Le maggiori difficoltà per lo storico che si accinge a studiare quest’epoca derivano dal fatto che l’eco emotiva di quei giorni risuona ancora nella memoria di molti, per averli vissuti direttamente, o anche solo per averne sentito parlare dai più anziani.
Si trattò di un evento di enorme portata storica, amplificato ulteriormente dallo scoppio della seconda guerra mondiale e dai drammatici eventi che si susseguirono nell’Italia occupata dalle truppe della Germania nazista.
Ma quello fu soltanto l’epilogo di una vicenda iniziata oltre vent’anni prima, quando, sul finire del secondo decennio del Novecento, i contadini e gli operai si trovarono di fronte alla possibilità concreta di vincere finalmente una battaglia portata avanti ormai da generazioni.
La prima guerra mondiale aveva prodotto un disastro sociale di dimensioni inimmaginabili e la crisi economica non tardò a farsi sentire. I contrasti tra chi non possedeva nient’altro che la forza del proprio lavoro e chi invece deteneva i capitali, fondiari e industriali, si acuirono a tal punto da sfociare in una lotta aperta, mai vista prima.
La violenza verbale dei comizi si trasformò ben presto in vere e proprie minacce nei confronti dei “padroni” e delle classi sociali dominanti in generale. Si trattava in gran parte di un bluff, dato che in Italia mancavano le condizioni che, nel 1917, avevano portato all’esplosione in Russia della rivoluzione d’ottobre. Non si capì però che questo continuo soffiare sul fuoco avrebbe ingigantito la fiamma al punto da rendere l’incendio inestinguibile, ma soprattutto non si comprese che ad un’azione violenta avrebbe fatto seguito una reazione ancora più spietata da parte delle forze conservatrici. E così fu.
Il fascismo, nato come costola del socialismo, con un repentino cambio di campo, divenne il braccio armato dei conservatori contro i rivoluzionari “rossi”.
Le lotte politiche si trasformarono in una vera e propria guerra civile e, alla fine, furono le “squadracce” fasciste ad avere la meglio. Gli squadristi provenivano in gran parte dalle trincee della grande guerra e questo li rendeva molto più forti e preparati nello scontro armato.
In Val di Cornia, così come nel resto della Toscana, le lotte furono violentissime, proprio perché i sodalizi operai e contadini potevano contare su un gran numero di iscritti. Campiglia fu uno dei luoghi dove si combatté più aspramente.
Nel primo articolo vi raccontiamo la storia di Giuseppe Mussio, sindaco socialista di Campiglia, perseguitato dai fascisti e costretto a dimettersi per proteggere se stesso e la famiglia dalle continue violenze dei suoi avversari politici. Nel secondo invece, cercheremo di far luce su un giallo rimasto irrisolto: la morte di un adolescente venturinese, Libero Turchi, in seguito alle ferite riportate durante una sparatoria tra camicie nere e anarchici, avvenuta al Cafaggio nella terribile estate del 1922.
Nella rubrica dedicata alle famiglie, parleremo dei Gori, una delle casate storiche venturinesi più conosciute e imparentate con quasi tutte le altre, probabilmente la più antica del paese. Abbiamo indagato sulle origini della famiglia scoprendo un’interessantissima storia riguardante uno dei suoi membri, un famoso personaggio del Cinquecento pistoiese, “Capitan Franco Gori”, del quale un nostro carissimo amico e concittadino di oggi ha ereditato, inconsapevolmente, il nome e forse anche il carattere.
Torna la rubrica dedicata alle persone e, questa volta, tocca a Claudio Pistolesi parlarci di suo nonno, Giuseppe Moschini, soprannominato “L’Americano” perché emigrato, come molti altri campigliesi dell’epoca, negli Stati Uniti, in cerca di una vita migliore.
Per la sezione archeologica ci occupiamo nuovamente della villa romana di Vignale. Enrico Zanini ci racconta come sia stato possibile rintracciare un antico mosaico della cui esistenza i più anziani si ricordavano ancora, ma del quale era scomparsa ogni traccia.
Erika Grilli ci conduce alla scoperta dei tesori più preziosi dei meravigliosi Parchi della Val di Cornia, facendoci ammirare alcune delle creazioni artistiche degli orafi etruschi, appartenute alle donne populoniesi.
Chiudono questo numero Alberto Benedetti, che ci presenta un’altra ricetta, prendendo spunto dalla vita di Lamberto Giuntini, e Francesca Peccianti con il suo solito “Indovina chi...” Buona lettura a tutti.
Si trattò di un evento di enorme portata storica, amplificato ulteriormente dallo scoppio della seconda guerra mondiale e dai drammatici eventi che si susseguirono nell’Italia occupata dalle truppe della Germania nazista.
Ma quello fu soltanto l’epilogo di una vicenda iniziata oltre vent’anni prima, quando, sul finire del secondo decennio del Novecento, i contadini e gli operai si trovarono di fronte alla possibilità concreta di vincere finalmente una battaglia portata avanti ormai da generazioni.
La prima guerra mondiale aveva prodotto un disastro sociale di dimensioni inimmaginabili e la crisi economica non tardò a farsi sentire. I contrasti tra chi non possedeva nient’altro che la forza del proprio lavoro e chi invece deteneva i capitali, fondiari e industriali, si acuirono a tal punto da sfociare in una lotta aperta, mai vista prima.
La violenza verbale dei comizi si trasformò ben presto in vere e proprie minacce nei confronti dei “padroni” e delle classi sociali dominanti in generale. Si trattava in gran parte di un bluff, dato che in Italia mancavano le condizioni che, nel 1917, avevano portato all’esplosione in Russia della rivoluzione d’ottobre. Non si capì però che questo continuo soffiare sul fuoco avrebbe ingigantito la fiamma al punto da rendere l’incendio inestinguibile, ma soprattutto non si comprese che ad un’azione violenta avrebbe fatto seguito una reazione ancora più spietata da parte delle forze conservatrici. E così fu.
Il fascismo, nato come costola del socialismo, con un repentino cambio di campo, divenne il braccio armato dei conservatori contro i rivoluzionari “rossi”.
Le lotte politiche si trasformarono in una vera e propria guerra civile e, alla fine, furono le “squadracce” fasciste ad avere la meglio. Gli squadristi provenivano in gran parte dalle trincee della grande guerra e questo li rendeva molto più forti e preparati nello scontro armato.
In Val di Cornia, così come nel resto della Toscana, le lotte furono violentissime, proprio perché i sodalizi operai e contadini potevano contare su un gran numero di iscritti. Campiglia fu uno dei luoghi dove si combatté più aspramente.
Nel primo articolo vi raccontiamo la storia di Giuseppe Mussio, sindaco socialista di Campiglia, perseguitato dai fascisti e costretto a dimettersi per proteggere se stesso e la famiglia dalle continue violenze dei suoi avversari politici. Nel secondo invece, cercheremo di far luce su un giallo rimasto irrisolto: la morte di un adolescente venturinese, Libero Turchi, in seguito alle ferite riportate durante una sparatoria tra camicie nere e anarchici, avvenuta al Cafaggio nella terribile estate del 1922.
Nella rubrica dedicata alle famiglie, parleremo dei Gori, una delle casate storiche venturinesi più conosciute e imparentate con quasi tutte le altre, probabilmente la più antica del paese. Abbiamo indagato sulle origini della famiglia scoprendo un’interessantissima storia riguardante uno dei suoi membri, un famoso personaggio del Cinquecento pistoiese, “Capitan Franco Gori”, del quale un nostro carissimo amico e concittadino di oggi ha ereditato, inconsapevolmente, il nome e forse anche il carattere.
Torna la rubrica dedicata alle persone e, questa volta, tocca a Claudio Pistolesi parlarci di suo nonno, Giuseppe Moschini, soprannominato “L’Americano” perché emigrato, come molti altri campigliesi dell’epoca, negli Stati Uniti, in cerca di una vita migliore.
Per la sezione archeologica ci occupiamo nuovamente della villa romana di Vignale. Enrico Zanini ci racconta come sia stato possibile rintracciare un antico mosaico della cui esistenza i più anziani si ricordavano ancora, ma del quale era scomparsa ogni traccia.
Erika Grilli ci conduce alla scoperta dei tesori più preziosi dei meravigliosi Parchi della Val di Cornia, facendoci ammirare alcune delle creazioni artistiche degli orafi etruschi, appartenute alle donne populoniesi.
Chiudono questo numero Alberto Benedetti, che ci presenta un’altra ricetta, prendendo spunto dalla vita di Lamberto Giuntini, e Francesca Peccianti con il suo solito “Indovina chi...” Buona lettura a tutti.
n. 18 (maggio/giugno 2017)
Cari amici lettori, questo diciottesimo, ultima uscita del terzo anno di vita della nostra rivista, è un numero particolarmente ricco di articoli interessanti.
Ci siamo rifatti ancora una volta il look − lo avrete capito: ci piace cambiare − perché guardiamo sempre avanti.
L’obbiettivo principale è quello di stimolare la vostra curiosità, rendendo godibili e accessibili, ad un pubblico sempre più vasto, gli argomenti storici che, di volta in volta, vi proponiamo.
Il primo articolo affronta un argomento che, in qualche modo, si ricollega a un tema di cui ultimamente si sente spesso parlare: quello della salute pubblica. Si può fare a meno dei farmaci e dei vaccini? L’organismo è in grado di resistere da solo agli attacchi di virus e batteri? Esistono rimedi “naturali” altrettanto efficaci di quelli offerti dalla scienza? Evidentemente no.
Per fortuna, si è persa la memoria di quella che era la dura realtà fino a non molti decenni fa, quando si moriva ancora per malattie che oggi non fanno più paura o di cui addirittura non sentiamo neanche parlare. L’errore che facciamo è pensare che questo benessere sanitario, raggiunto con grandissimi sacrifici, sia definitivo. La verità invece è che non dobbiamo abbassare la guardia. Non esistono motivi razionali per rinunciare ad utilizzare le armi che secoli di progresso scientifico hanno messo a nostra disposizione e che, in molte parti del mondo, non sono ancora alla portata di tutti.
Per ricordarci di quello che eravamo e che potremmo tornare ad essere, vi presentiamo i risultati di un’indagine storica sulla mortalità a Campiglia quando non esistevano ancora gli antibiotici e i vaccini. Ne emerge un quadro estremamente drammatico, con una percentuale altissima di decessi proprio tra i bambini più piccoli.
Nel secondo articolo si parla del viaggio a Campiglia del granduca Pietro Leopoldo, nel 1770. Il giovane sovrano era determinatissimo nel voler risolvere i mali che affliggevano la Toscana e viaggiava molto per verificare di persona i problemi e parlare con i suoi sudditi. La Maremma era uno dei grandi nodi da sciogliere. Il potenziale di questo territorio era enorme, ma le condizioni ambientali frenavano ogni possibilità di sviluppo. Qui non esisteva la mezzadria e gran parte dei terreni coltivabili erano nelle mani della comunità e dello Stato. L’intelligente granduca comprese che queste terre dovevano essere privatizzate per stimolare il cambiamento. Vi presentiamo la relazione che accompagnò la visita a Campiglia di Pietro Leopoldo e una serie di disegni, sconosciuti al grande pubblico, che si trovano conservati a Praga.
Nel terzo articolo affrontiamo un vero e proprio mistero, quello relativo alla chiesa medievale di Santo Stefano, citata in un documento dell’archivio parrocchiale di Campiglia, ma di fatto scomparsa. Abbiamo messo insieme tutti gli indizi che avevamo a disposizione per cercare di capire dove si trovasse esattamente. Vi proponiamo una serie di possibili ipotesi.
Il quarto contributo è firmato da Erika Grilli, che ci racconta il progetto di restauro e consolidamento della bellissima Rocca di San Silvestro, meta turistica sempre più conosciuta e apprezzata all’interno del sistema dei Parchi, fiore all’occhiello del nostro territorio.
Abbiamo ampliato la parte finale della rivista, inserendo, accanto a quelle consuete − come la seguitissima “Cibo&Memoria” di Alberto Benedetti, che questa volta ricorda Orfeo Paladini − tutta una serie di nuove rubriche che speriamo siano di vostro gradimento.
Parleremo dell’archivio storico dell’Ospedale di Campiglia con Agnese Lorenzini, che ne ha curato il recupero e l’inventariazione, e poi andremo a caccia di “termini” lungo gli antichi confini della Comunità di Campiglia, ammireremo la statua funebre del conte Giuseppe Alliata-Campiglia e del figlioletto, ci divertiremo con una poesia dialettale, incontreremo una possibile strega e altro ancora.
Buona lettura a tutti.
Ci siamo rifatti ancora una volta il look − lo avrete capito: ci piace cambiare − perché guardiamo sempre avanti.
L’obbiettivo principale è quello di stimolare la vostra curiosità, rendendo godibili e accessibili, ad un pubblico sempre più vasto, gli argomenti storici che, di volta in volta, vi proponiamo.
Il primo articolo affronta un argomento che, in qualche modo, si ricollega a un tema di cui ultimamente si sente spesso parlare: quello della salute pubblica. Si può fare a meno dei farmaci e dei vaccini? L’organismo è in grado di resistere da solo agli attacchi di virus e batteri? Esistono rimedi “naturali” altrettanto efficaci di quelli offerti dalla scienza? Evidentemente no.
Per fortuna, si è persa la memoria di quella che era la dura realtà fino a non molti decenni fa, quando si moriva ancora per malattie che oggi non fanno più paura o di cui addirittura non sentiamo neanche parlare. L’errore che facciamo è pensare che questo benessere sanitario, raggiunto con grandissimi sacrifici, sia definitivo. La verità invece è che non dobbiamo abbassare la guardia. Non esistono motivi razionali per rinunciare ad utilizzare le armi che secoli di progresso scientifico hanno messo a nostra disposizione e che, in molte parti del mondo, non sono ancora alla portata di tutti.
Per ricordarci di quello che eravamo e che potremmo tornare ad essere, vi presentiamo i risultati di un’indagine storica sulla mortalità a Campiglia quando non esistevano ancora gli antibiotici e i vaccini. Ne emerge un quadro estremamente drammatico, con una percentuale altissima di decessi proprio tra i bambini più piccoli.
Nel secondo articolo si parla del viaggio a Campiglia del granduca Pietro Leopoldo, nel 1770. Il giovane sovrano era determinatissimo nel voler risolvere i mali che affliggevano la Toscana e viaggiava molto per verificare di persona i problemi e parlare con i suoi sudditi. La Maremma era uno dei grandi nodi da sciogliere. Il potenziale di questo territorio era enorme, ma le condizioni ambientali frenavano ogni possibilità di sviluppo. Qui non esisteva la mezzadria e gran parte dei terreni coltivabili erano nelle mani della comunità e dello Stato. L’intelligente granduca comprese che queste terre dovevano essere privatizzate per stimolare il cambiamento. Vi presentiamo la relazione che accompagnò la visita a Campiglia di Pietro Leopoldo e una serie di disegni, sconosciuti al grande pubblico, che si trovano conservati a Praga.
Nel terzo articolo affrontiamo un vero e proprio mistero, quello relativo alla chiesa medievale di Santo Stefano, citata in un documento dell’archivio parrocchiale di Campiglia, ma di fatto scomparsa. Abbiamo messo insieme tutti gli indizi che avevamo a disposizione per cercare di capire dove si trovasse esattamente. Vi proponiamo una serie di possibili ipotesi.
Il quarto contributo è firmato da Erika Grilli, che ci racconta il progetto di restauro e consolidamento della bellissima Rocca di San Silvestro, meta turistica sempre più conosciuta e apprezzata all’interno del sistema dei Parchi, fiore all’occhiello del nostro territorio.
Abbiamo ampliato la parte finale della rivista, inserendo, accanto a quelle consuete − come la seguitissima “Cibo&Memoria” di Alberto Benedetti, che questa volta ricorda Orfeo Paladini − tutta una serie di nuove rubriche che speriamo siano di vostro gradimento.
Parleremo dell’archivio storico dell’Ospedale di Campiglia con Agnese Lorenzini, che ne ha curato il recupero e l’inventariazione, e poi andremo a caccia di “termini” lungo gli antichi confini della Comunità di Campiglia, ammireremo la statua funebre del conte Giuseppe Alliata-Campiglia e del figlioletto, ci divertiremo con una poesia dialettale, incontreremo una possibile strega e altro ancora.
Buona lettura a tutti.
n. 19 (luglio/agosto 2017)
Cari amici lettori, con questo numero, il diciannovesimo, inizia il quarto anno insieme. Ne abbiamo scritte di storie, ma molte altre aspettano ancora di essere raccontate.
Questa volta cominceremo con un articolo che fotografa la società e la popolazione campigliese del 1841. Vi starete chiedendo perché proprio il 1841: perché in quell’anno Leopoldo II − grande protagonista di questo numero della rivista − fece eseguire un censimento della popolazione toscana. Il rilevamento fu effettuato dai parroci delle varie parrocchie del Granducato. Oggi, quei registri rappresentano un’importante fonte storica, che ci permette di conoscere la composizione demografica e sociale delle comunità dell’epoca. Giusto per fare un esempio: siete curiosi di sapere quali erano i mestieri più diffusi a Campiglia? Questo e altro, potrete scoprirlo leggendo.
Nel secondo articolo, ripercorreremo le principali vicende che hanno segnato la storia del Lago di Rimigliano, dalle “origini romane” al Cinquecento − epoca di grandi trasformazioni − fino alla definitiva bonifica, arrivata solo nel Novecento, in ritardo di diversi decenni rispetto al resto della Val di Cornia. Nell’articolo affrontiamo, anche se solo di sfuggita, un piccolo “enigma” storico locale: chi ha costruito la Torraccia? L’edificio, recentemente ristrutturato, esisteva già nel medioevo, come affermano in molti, oppure è stato il granduca Cosimo I a farlo erigere, come alcuni elementi sembrano dimostrare?
La copertina di questo numero è ispirata al terzo articolo. Quando si parla di panorami venturinesi, non si può fare a meno di pensare al “nostro” bel castello. Stiamo parlando di Palazzo Magona o “Castello di Magona”, come è stato più recentemente ribattezzato. La storia di questo maestoso edificio è poco conosciuta. Il suo attuale aspetto turrito e feudale è il frutto di un rifacimento moderno, ma ci fu un tempo, molti secoli fa, in cui quelle mura ospitarono un vero castello. A costruirlo furono gli antenati dei conti Della Gherardesca. Più tardi fu trasformato nella sede di un’abbazia e, dopo ancora, divenne il centro dirigenziale della Magona del Ferro di Caldana. Oggi è una stupenda residenza storica, gestita dalla famiglia Merciai, che ringraziamo di cuore − soprattutto Alberto, che ha sempre assecondato le nostre richieste − per averci supportato e “sopportato” ogni volta che ci siamo recati sul posto, alla ricerca di indizi, per cercare di comprendere meglio le varie fasi della lunghissima storia del castello.
Enrico Zanini ci accompagna, come sempre, alla scoperta di un altro tassello della storia del sito archeologico di Vignale e lo fa raccontandoci come la prima scoperta delle terme romane sia avvenuta per caso. Se il granduca Leopoldo II non avesse deciso di tracciare sulla carta una linea dritta che, di lì a poco sarebbe diventata la nuova strada Regia Emilia, probabilmente quelle rovine non sarebbero riaffiorate.
Nella rubrica “Cibo&Memoria”, Alberto Benedetti ricorda Anita Rossi, venturinese molto nota ai suoi tempi, anche per la sua appartenenza alla celebre famiglia di albergatori locali di inizio Novecento. Laura Peruzzi invece, dopo aver cercato fra le carte dello storico piombinese Romualdo Cardarelli, ci parla delle continue minacce dal mare con le quali, in passato, gli abitanti della Val di Cornia erano costretti a fare i conti quotidianamente.
Per la rubrica delle famiglie, ci occuperemo dei Guidi, casata piuttosto numerosa a Campiglia, della quale seguiremo il susseguirsi delle varie generazioni, fino a ricongiungerci con due celebri personaggi venturinesi: Guido e Aldo, padre e figlio, noti ad un vasto pubblico per le loro doti artistiche nel campo della fotografia.
E poi ancora un ricordo di Paolo Dani: “un venturinese qualunque”; una filastrocca per i più piccoli dedicata a Venturino da Populonia, l’uomo che ha prestato il suo nome al nostro paese; Piero Cavicchi che ci parla di Filica, prostituta sacra nella Populonia romana, e del toponimo Rimigliano; per chiudere con indovinello e foto ricordo consueta.
Buona lettura a tutti.
Questa volta cominceremo con un articolo che fotografa la società e la popolazione campigliese del 1841. Vi starete chiedendo perché proprio il 1841: perché in quell’anno Leopoldo II − grande protagonista di questo numero della rivista − fece eseguire un censimento della popolazione toscana. Il rilevamento fu effettuato dai parroci delle varie parrocchie del Granducato. Oggi, quei registri rappresentano un’importante fonte storica, che ci permette di conoscere la composizione demografica e sociale delle comunità dell’epoca. Giusto per fare un esempio: siete curiosi di sapere quali erano i mestieri più diffusi a Campiglia? Questo e altro, potrete scoprirlo leggendo.
Nel secondo articolo, ripercorreremo le principali vicende che hanno segnato la storia del Lago di Rimigliano, dalle “origini romane” al Cinquecento − epoca di grandi trasformazioni − fino alla definitiva bonifica, arrivata solo nel Novecento, in ritardo di diversi decenni rispetto al resto della Val di Cornia. Nell’articolo affrontiamo, anche se solo di sfuggita, un piccolo “enigma” storico locale: chi ha costruito la Torraccia? L’edificio, recentemente ristrutturato, esisteva già nel medioevo, come affermano in molti, oppure è stato il granduca Cosimo I a farlo erigere, come alcuni elementi sembrano dimostrare?
La copertina di questo numero è ispirata al terzo articolo. Quando si parla di panorami venturinesi, non si può fare a meno di pensare al “nostro” bel castello. Stiamo parlando di Palazzo Magona o “Castello di Magona”, come è stato più recentemente ribattezzato. La storia di questo maestoso edificio è poco conosciuta. Il suo attuale aspetto turrito e feudale è il frutto di un rifacimento moderno, ma ci fu un tempo, molti secoli fa, in cui quelle mura ospitarono un vero castello. A costruirlo furono gli antenati dei conti Della Gherardesca. Più tardi fu trasformato nella sede di un’abbazia e, dopo ancora, divenne il centro dirigenziale della Magona del Ferro di Caldana. Oggi è una stupenda residenza storica, gestita dalla famiglia Merciai, che ringraziamo di cuore − soprattutto Alberto, che ha sempre assecondato le nostre richieste − per averci supportato e “sopportato” ogni volta che ci siamo recati sul posto, alla ricerca di indizi, per cercare di comprendere meglio le varie fasi della lunghissima storia del castello.
Enrico Zanini ci accompagna, come sempre, alla scoperta di un altro tassello della storia del sito archeologico di Vignale e lo fa raccontandoci come la prima scoperta delle terme romane sia avvenuta per caso. Se il granduca Leopoldo II non avesse deciso di tracciare sulla carta una linea dritta che, di lì a poco sarebbe diventata la nuova strada Regia Emilia, probabilmente quelle rovine non sarebbero riaffiorate.
Nella rubrica “Cibo&Memoria”, Alberto Benedetti ricorda Anita Rossi, venturinese molto nota ai suoi tempi, anche per la sua appartenenza alla celebre famiglia di albergatori locali di inizio Novecento. Laura Peruzzi invece, dopo aver cercato fra le carte dello storico piombinese Romualdo Cardarelli, ci parla delle continue minacce dal mare con le quali, in passato, gli abitanti della Val di Cornia erano costretti a fare i conti quotidianamente.
Per la rubrica delle famiglie, ci occuperemo dei Guidi, casata piuttosto numerosa a Campiglia, della quale seguiremo il susseguirsi delle varie generazioni, fino a ricongiungerci con due celebri personaggi venturinesi: Guido e Aldo, padre e figlio, noti ad un vasto pubblico per le loro doti artistiche nel campo della fotografia.
E poi ancora un ricordo di Paolo Dani: “un venturinese qualunque”; una filastrocca per i più piccoli dedicata a Venturino da Populonia, l’uomo che ha prestato il suo nome al nostro paese; Piero Cavicchi che ci parla di Filica, prostituta sacra nella Populonia romana, e del toponimo Rimigliano; per chiudere con indovinello e foto ricordo consueta.
Buona lettura a tutti.
n. 20 (settembre/ottobre 2017)
Cari amici lettori, questo ventesimo è un numero molto importante, non solo perché siamo arrivati ad una cifra di tutto rispetto − 20 uscite non sono poche per un “giornalino” come questo − ma anche e soprattutto perché, questa volta, siamo andati alla ricerca delle radici più profonde della nostra comunità.
Proprio mentre stavamo per mandare in stampa la rivista, abbiamo avuto il piacere di pubblicare un lavoro che, per Campiglia, rappresenta un importante momento di riscoperta delle proprie origini. Non sto parlando di un libro fatto “per leggere” la nostra storia, ma di uno strumento che serve “a scrivere” la nostra storia. L’inventario dell’Archivio Preunitario del Comune di Campiglia, realizzato da Agnese Lorenzini e Graziana Alagna, è una descrizione precisa di tutti i documenti presenti nell’archivio comunale e degli uffici che li hanno prodotti, dal Quattrocento fino all’Unità d’Italia.
Per lo storico, il libro di Agnese e Graziana è una vera e propria mappa del tesoro, una bussola straordinaria che permette di orientarsi con sicurezza tra gli scaffali, laddove, prima, regnava il caos. Questa pubblicazione agevolerà enormemente il lavoro di ricerca, permettendoci di studiare aspetti fino ad oggi poco conosciuti della storia campigliese.
Uno di questi aspetti è la nascita di Venturina, la “nuova Campiglia”, come qualcuno ebbe modo di definirla agli inizi del Novecento.
Il pioniere della ricerca storica, a Venturina e su Venturina, è senza ombra di dubbio l’amico Gianfranco Benedettini che, in decenni di studio e raccolta di documenti e testimonianze, ha ricostruito con grande passione le vicende del nostro paese per il Novecento e parte dell’Ottocento.
Come tutti i pionieri, Gianfranco, agli inizi, si è ritrovato ad esplorare un territorio che, nei primi anni Settanta, era ancora quasi del tutto vergine. I pochi storici locali che lo avevano preceduto si erano infatti concentrati soprattutto su Campiglia e l’unico che davvero aveva fatto ricerche d’archivio in modo sistematico era stato Isidoro Falchi, quasi un secolo prima però.
Uno dei “misteri” che più stimolavano la curiosità di Gianfranco riguardava la genesi di Venturina. Come era nato il nostro paese? Quando? Perché proprio in quel punto? Per cercare di dare una risposta a queste domande, le strade da seguire erano sostanzialmente tre. La prima consisteva nello spulciare i registri conservati nell’archivio storico comunale, impresa non facile a causa del disordine in cui si trovavano. La seconda era quella di raccogliere vecchie fotografie e mappe del paese, per cercare di intuirne l’evoluzione urbanistica. La terza via di indagine prevedeva l’intervista dei più anziani, per farsi raccontare direttamente da chi li aveva vissuti i primordi di Venturina. Il giovane Gianfranco seguì, con entusiasmo, tutte e tre le strade a sua disposizione e, dopo aver raccolto diverso materiale, decise di pubblicarlo.
“Il passato come presente” uscì nel 1972: era nata ufficialmente l’era della ricerca storica sul nostro paese. In quelle pagine c’era già tutto. Pur non essendo uno storico di professione, Gianfranco era riuscito a cogliere gli aspetti fondamentali della società venturinese con grande acume. Riguardo alle primissime fasi del paese diceva: «il locandiere approfitta già della felice ubicazione sull’incrocio, per cui serve agevolmente il viandante, il viaggiatore e il barrocciaio», aggiungendo poi che «nel 1861 in questa zona esisteva una sola locanda conosciuta da tutti come la locanda del Giovannetti». Gianfranco non approfondì oltre, per lui era sufficiente così. Negli anni successivi scrisse altre decine di libri e articoli sulla storia del territorio, e del Giovannetti non si riparlò più fino al 2000, quando uscì un altro suo lavoro sulla storia del paese, che riprendeva e approfondiva gli argomenti trattati nel 1972.
E noi proprio da lì siamo ripartiti, da quella locanda della Venturina che è entrata a far parte del patrimonio genetico del venturinese, ma della quale in realtà si sapeva poco o niente. Chi era davvero questo Giovannetti? Dove si trovava di preciso la locanda? Quando fu aperta? Chi la gestiva? A tutte queste domande abbiamo cercato di dare una risposta. Non è stato facile. Abbiamo dovuto fare un bel po’ di chilometri e visitare diversi archivi, ma alla fine siamo riusciti a riportare alla luce dettagli e circostanze che mai avremmo immaginato. è emerso un quadro preciso del contesto storico nel quale si svolsero i fatti, ma soprattutto è venuto fuori un personaggio, Antonio Giovannetti, che da semplice nome su un pezzo di carta, quale era stato fino ad oggi, si è trasformato nel protagonista assoluto della storia dei primordi di Venturina: il padre fondatore del nostro paese.
Mi perdonerete se per una volta non vi anticiperò il contenuto degli altri articoli presenti in questo numero, ma l’argomento mi appassiona al punto da avermi fatto dilungare troppo; vorrà dire che lo scoprirete da soli!
Buona lettura a tutti.
Proprio mentre stavamo per mandare in stampa la rivista, abbiamo avuto il piacere di pubblicare un lavoro che, per Campiglia, rappresenta un importante momento di riscoperta delle proprie origini. Non sto parlando di un libro fatto “per leggere” la nostra storia, ma di uno strumento che serve “a scrivere” la nostra storia. L’inventario dell’Archivio Preunitario del Comune di Campiglia, realizzato da Agnese Lorenzini e Graziana Alagna, è una descrizione precisa di tutti i documenti presenti nell’archivio comunale e degli uffici che li hanno prodotti, dal Quattrocento fino all’Unità d’Italia.
Per lo storico, il libro di Agnese e Graziana è una vera e propria mappa del tesoro, una bussola straordinaria che permette di orientarsi con sicurezza tra gli scaffali, laddove, prima, regnava il caos. Questa pubblicazione agevolerà enormemente il lavoro di ricerca, permettendoci di studiare aspetti fino ad oggi poco conosciuti della storia campigliese.
Uno di questi aspetti è la nascita di Venturina, la “nuova Campiglia”, come qualcuno ebbe modo di definirla agli inizi del Novecento.
Il pioniere della ricerca storica, a Venturina e su Venturina, è senza ombra di dubbio l’amico Gianfranco Benedettini che, in decenni di studio e raccolta di documenti e testimonianze, ha ricostruito con grande passione le vicende del nostro paese per il Novecento e parte dell’Ottocento.
Come tutti i pionieri, Gianfranco, agli inizi, si è ritrovato ad esplorare un territorio che, nei primi anni Settanta, era ancora quasi del tutto vergine. I pochi storici locali che lo avevano preceduto si erano infatti concentrati soprattutto su Campiglia e l’unico che davvero aveva fatto ricerche d’archivio in modo sistematico era stato Isidoro Falchi, quasi un secolo prima però.
Uno dei “misteri” che più stimolavano la curiosità di Gianfranco riguardava la genesi di Venturina. Come era nato il nostro paese? Quando? Perché proprio in quel punto? Per cercare di dare una risposta a queste domande, le strade da seguire erano sostanzialmente tre. La prima consisteva nello spulciare i registri conservati nell’archivio storico comunale, impresa non facile a causa del disordine in cui si trovavano. La seconda era quella di raccogliere vecchie fotografie e mappe del paese, per cercare di intuirne l’evoluzione urbanistica. La terza via di indagine prevedeva l’intervista dei più anziani, per farsi raccontare direttamente da chi li aveva vissuti i primordi di Venturina. Il giovane Gianfranco seguì, con entusiasmo, tutte e tre le strade a sua disposizione e, dopo aver raccolto diverso materiale, decise di pubblicarlo.
“Il passato come presente” uscì nel 1972: era nata ufficialmente l’era della ricerca storica sul nostro paese. In quelle pagine c’era già tutto. Pur non essendo uno storico di professione, Gianfranco era riuscito a cogliere gli aspetti fondamentali della società venturinese con grande acume. Riguardo alle primissime fasi del paese diceva: «il locandiere approfitta già della felice ubicazione sull’incrocio, per cui serve agevolmente il viandante, il viaggiatore e il barrocciaio», aggiungendo poi che «nel 1861 in questa zona esisteva una sola locanda conosciuta da tutti come la locanda del Giovannetti». Gianfranco non approfondì oltre, per lui era sufficiente così. Negli anni successivi scrisse altre decine di libri e articoli sulla storia del territorio, e del Giovannetti non si riparlò più fino al 2000, quando uscì un altro suo lavoro sulla storia del paese, che riprendeva e approfondiva gli argomenti trattati nel 1972.
E noi proprio da lì siamo ripartiti, da quella locanda della Venturina che è entrata a far parte del patrimonio genetico del venturinese, ma della quale in realtà si sapeva poco o niente. Chi era davvero questo Giovannetti? Dove si trovava di preciso la locanda? Quando fu aperta? Chi la gestiva? A tutte queste domande abbiamo cercato di dare una risposta. Non è stato facile. Abbiamo dovuto fare un bel po’ di chilometri e visitare diversi archivi, ma alla fine siamo riusciti a riportare alla luce dettagli e circostanze che mai avremmo immaginato. è emerso un quadro preciso del contesto storico nel quale si svolsero i fatti, ma soprattutto è venuto fuori un personaggio, Antonio Giovannetti, che da semplice nome su un pezzo di carta, quale era stato fino ad oggi, si è trasformato nel protagonista assoluto della storia dei primordi di Venturina: il padre fondatore del nostro paese.
Mi perdonerete se per una volta non vi anticiperò il contenuto degli altri articoli presenti in questo numero, ma l’argomento mi appassiona al punto da avermi fatto dilungare troppo; vorrà dire che lo scoprirete da soli!
Buona lettura a tutti.
n. 21 (novembre/dicembre 2017)
Cari amici lettori, questo ventunesimo numero, dedicato in gran parte al tema delle strade, è particolarmente ricco di spunti interessanti.Iniziamo con una ricerca condotta nell’archivio comunale. Questa volta ci siamo occupati della denominazione delle antiche vie di Campiglia. Quali erano un tempo i nomi dei vicoli del paese e da che cosa ebbero origine?
Proseguiamo poi con un’altra indagine altrettanto appassionante. Mentre ci stavamo occupando della storia del Castello di Magona, ci siamo imbattuti in una strana mappa di Casalappi che si trova incorniciata nello studio dell’amico Alberto Merciai. Il documento, che dice di raffigurare il castello di Casalappi così com’era nel medioevo, è senz’altro antico ma, su due piedi, non eravamo riusciti a datarlo con precisione. Poi però abbiamo scoperto che, dietro a questo incredibile disegno, c’era la mente di uno stravagante ed erudito abate pisano vissuto nel Settecento.
Nel terzo articolo, ci occupiamo di un argomento non molto “pulito” ma non per questo meno interessante. Che in passato non esistessero i gabinetti nelle case è un fatto noto a tutti, che però a Campiglia pochi anni prima dell’Unità d’Italia ci fossero ancora persone che svuotavano i vasi da notte dalla finestra ci ha un po’ sorpresi. Vi assicuriamo che, dopo aver letto questo articolo, capirete quanto siamo fortunati oggi a poter contare sui nostri meravigliosi bagni domestici.
Il quarto contributo è un po’ diverso dal solito, dato che, per la prima volta, ci occupiamo del futuro del nostro paese. Inserendoci nel dibattito che si è aperto recentemente sulla riqualificazione del centro urbano di Venturina Terme, ci siamo chiesti se, in un paese relativamente giovane come il nostro, fosse possibile cominciare a progettare insieme la creazione di un “centro storico”. La risposta è stata positiva: vi diciamo cosa si potrebbe fare.
Nel consueto spazio dedicato alla ricerca archeologica nel nostro territorio, vi proponiamo due articoli: il primo, scritto da Enrico Zanini, ci riporta al tema delle strade e lo fa, come al solito, in relazione al sito romano di Vignale; il secondo, di Erika Grilli, ci parla delle monete medievali di San Silvestro.
Per la rubrica Cibo&Memoria, Alberto Benedetti ci intrattiene, come suo solito, deliziosamente, ricordando la figura del venturinese Dino Berti e parlandoci di uno dei dolci tipici toscani, il cui nome però rimanda a tutt’altri luoghi: la mantovana.
Partendo da un “santino” di quelli che si usavano in passato per commemorare i defunti, ritrovato da Stefano Parlanti, riscopriremo la figura di un medico campigliese, di origini marchigiane, vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, del quale si era persa la memoria: il dott. Giuseppe Marsili.
Nella rubrica delle famiglie, vi racconteremo la storia genealogica, e non solo, della famiglia Orzalesi che a Campiglia fece fortuna, mettendo insieme un patrimonio notevolissimo, del quale faceva parte una raffinata villa con un meraviglioso giardino che si trovava dove, in seguito, sorgerà il cinema Mannelli.
A seguire, una “pillola” che ci svela il vero motivo per il quale il palazzo del Medicone si chiama così e un interessante articolo sulle tracce lasciate in Val di Cornia dalla gens Cornelia, una delle più prestigiose famiglie romane di duemila anni fa, scritto da Piero Cavicchi che ci spiega anche che cos’era il “treccone”. Il numero si chiude con la storia, o forse sarebbe meglio dire leggenda, dell’albero di Cecchino.
Buona lettura a tutti.
Proseguiamo poi con un’altra indagine altrettanto appassionante. Mentre ci stavamo occupando della storia del Castello di Magona, ci siamo imbattuti in una strana mappa di Casalappi che si trova incorniciata nello studio dell’amico Alberto Merciai. Il documento, che dice di raffigurare il castello di Casalappi così com’era nel medioevo, è senz’altro antico ma, su due piedi, non eravamo riusciti a datarlo con precisione. Poi però abbiamo scoperto che, dietro a questo incredibile disegno, c’era la mente di uno stravagante ed erudito abate pisano vissuto nel Settecento.
Nel terzo articolo, ci occupiamo di un argomento non molto “pulito” ma non per questo meno interessante. Che in passato non esistessero i gabinetti nelle case è un fatto noto a tutti, che però a Campiglia pochi anni prima dell’Unità d’Italia ci fossero ancora persone che svuotavano i vasi da notte dalla finestra ci ha un po’ sorpresi. Vi assicuriamo che, dopo aver letto questo articolo, capirete quanto siamo fortunati oggi a poter contare sui nostri meravigliosi bagni domestici.
Il quarto contributo è un po’ diverso dal solito, dato che, per la prima volta, ci occupiamo del futuro del nostro paese. Inserendoci nel dibattito che si è aperto recentemente sulla riqualificazione del centro urbano di Venturina Terme, ci siamo chiesti se, in un paese relativamente giovane come il nostro, fosse possibile cominciare a progettare insieme la creazione di un “centro storico”. La risposta è stata positiva: vi diciamo cosa si potrebbe fare.
Nel consueto spazio dedicato alla ricerca archeologica nel nostro territorio, vi proponiamo due articoli: il primo, scritto da Enrico Zanini, ci riporta al tema delle strade e lo fa, come al solito, in relazione al sito romano di Vignale; il secondo, di Erika Grilli, ci parla delle monete medievali di San Silvestro.
Per la rubrica Cibo&Memoria, Alberto Benedetti ci intrattiene, come suo solito, deliziosamente, ricordando la figura del venturinese Dino Berti e parlandoci di uno dei dolci tipici toscani, il cui nome però rimanda a tutt’altri luoghi: la mantovana.
Partendo da un “santino” di quelli che si usavano in passato per commemorare i defunti, ritrovato da Stefano Parlanti, riscopriremo la figura di un medico campigliese, di origini marchigiane, vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, del quale si era persa la memoria: il dott. Giuseppe Marsili.
Nella rubrica delle famiglie, vi racconteremo la storia genealogica, e non solo, della famiglia Orzalesi che a Campiglia fece fortuna, mettendo insieme un patrimonio notevolissimo, del quale faceva parte una raffinata villa con un meraviglioso giardino che si trovava dove, in seguito, sorgerà il cinema Mannelli.
A seguire, una “pillola” che ci svela il vero motivo per il quale il palazzo del Medicone si chiama così e un interessante articolo sulle tracce lasciate in Val di Cornia dalla gens Cornelia, una delle più prestigiose famiglie romane di duemila anni fa, scritto da Piero Cavicchi che ci spiega anche che cos’era il “treccone”. Il numero si chiude con la storia, o forse sarebbe meglio dire leggenda, dell’albero di Cecchino.
Buona lettura a tutti.
n. 22 (gennaio/febbraio 2018)
Cari amici lettori, questo ventiduesimo numero inaugura un nuovo anno solare insieme, il quinto, un altro piccolo grande traguardo per una rivista storica a carattere locale come la nostra.
Il 4 marzo gli italiani saranno chiamati a votare per il Governo del Paese. Si tratta di una tornata elettorale particolarmente importante e sentita da tutte le forze politiche in campo.
Nel primo articolo vi presentiamo una ricerca condotta da Gianfranco Benedettini sulla storia delle elezioni nel nostro territorio, dall’Unità d’Italia alla fine della Seconda Repubblica. Gianfranco conosce molto bene l’argomento e lo si capisce dal modo in cui si muove da una legislatura all’altra, snocciolando con sicurezza i dati relativi a voti, affluenze e percentuali.
Il secondo articolo, firmato da Piero Cavicchi, approfondisce una notizia apparsa sulla stampa nazionale qualche mese fa che, per certi versi, ha dell’incredibile. Gli studiosi hanno fatto una scoperta molto importante per la storia del nostro territorio. Le analisi chimiche svolte sull’ascia di Oetzi − la celebre mummia preistorica ritrovata nel 1991 sui ghiacciai del Similaun − hanno permesso di determinare la provenienza geografica del rame del quale è fatto l’attrezzo. Ebbene, il risultato ci dice che il materiale fu estratto proprio dalle nostre parti, nelle colline del Campigliese. Incrociando questi dati con un’altra scoperta archeologica, quella di un villaggio dell’Età del Rame − riemerso nello stesso anno del ritrovamento di Oetzi da uno scavo curato dall’Associazione Archeologica Piombinese − grazie agli studi di Fabio Fedeli, si è arrivati alla conclusione che molto probabilmente l’ascia dell’uomo del Similaun ebbe la sua origine proprio in una delle fucine di San Carlo, dove oltre 5.000 anni fa si trovava uno dei maggiori centri di produzione metallurgica dell’epoca.
Nel terzo articolo parliamo della storia più recente della maggiore delle sorgenti termali di Caldana, quella del Cratere, che per secoli fu utilizzata a scopo igienico, ricreativo e curativo e che, ancora oggi, è il cuore dello stabilimento delle Terme di Venturina. Dopo il crollo delle strutture antiche, risalenti in gran parte al periodo romano, per oltre mille anni, di fatto, la sorgente si ridusse a poco più di una pozza fangosa, circondata da ciò che restava dei muretti antichi, dalla quale scaturiva abbondante acqua termale a 45°C e dove gli abitanti dei dintorni si immergevano direttamente per alleviare i loro acciacchi. Nell’Ottocento si cominciò a pensare ad una ristrutturazione del “Bagno” che prevedesse la costruzione (o ricostruzione) di un edificio sopra la sorgente. Per veder nascere un vero e proprio stabilimento termale si dovette attendere il 1883 quando, grazie alla buona volontà e all’intelligenza di Domenico Danielli, nacquero i “Bagni Caterina”. L’iniziativa imprenditoriale tuttavia non ebbe il successo che avrebbe meritato. Leggendo l’articolo scoprirete perché.
Nel consueto spazio dedicato all’archeologia, vi presentiamo due interessantissimi articoli. Il primo, firmato da Enrico Zanini, ci porta nell’ormai familiare Vignale romana, per cercare di risolvere un piccolo mistero legato al ritrovamento di una rara moneta; il secondo invece, curato dai Parchi della Val di Cornia, ci proietta ancora più indietro nel tempo, all’epoca in cui sull’acropoli di Populonia, i re vivevano in capanne fatte di legno, paglia e fango.
Per la rubrica “Cibo & Memoria”, l’amico Alberto Benedetti ricorda un venturinese molto amato, Sergio Salvestrini il quale, oltre che per la musica, aveva un debole per lo stoccafisso. A seguire, un documento inedito che ci fa capire quanto fosse importante Campiglia nel Rinascimento; poi la storia della famiglia Dell’Omodarme e di “Beppe”, uno di loro, descritto da un amico d’eccezione: Renato Fucini. Piero Cavicchi ci parla di un toponimo ormai scomparso: il Portinaiolo e, per finire, pubblichiamo una delle bellissime foto d’epoca tratte dalla collezione di Stefano Parlanti. Buona lettura a tutti.
Il 4 marzo gli italiani saranno chiamati a votare per il Governo del Paese. Si tratta di una tornata elettorale particolarmente importante e sentita da tutte le forze politiche in campo.
Nel primo articolo vi presentiamo una ricerca condotta da Gianfranco Benedettini sulla storia delle elezioni nel nostro territorio, dall’Unità d’Italia alla fine della Seconda Repubblica. Gianfranco conosce molto bene l’argomento e lo si capisce dal modo in cui si muove da una legislatura all’altra, snocciolando con sicurezza i dati relativi a voti, affluenze e percentuali.
Il secondo articolo, firmato da Piero Cavicchi, approfondisce una notizia apparsa sulla stampa nazionale qualche mese fa che, per certi versi, ha dell’incredibile. Gli studiosi hanno fatto una scoperta molto importante per la storia del nostro territorio. Le analisi chimiche svolte sull’ascia di Oetzi − la celebre mummia preistorica ritrovata nel 1991 sui ghiacciai del Similaun − hanno permesso di determinare la provenienza geografica del rame del quale è fatto l’attrezzo. Ebbene, il risultato ci dice che il materiale fu estratto proprio dalle nostre parti, nelle colline del Campigliese. Incrociando questi dati con un’altra scoperta archeologica, quella di un villaggio dell’Età del Rame − riemerso nello stesso anno del ritrovamento di Oetzi da uno scavo curato dall’Associazione Archeologica Piombinese − grazie agli studi di Fabio Fedeli, si è arrivati alla conclusione che molto probabilmente l’ascia dell’uomo del Similaun ebbe la sua origine proprio in una delle fucine di San Carlo, dove oltre 5.000 anni fa si trovava uno dei maggiori centri di produzione metallurgica dell’epoca.
Nel terzo articolo parliamo della storia più recente della maggiore delle sorgenti termali di Caldana, quella del Cratere, che per secoli fu utilizzata a scopo igienico, ricreativo e curativo e che, ancora oggi, è il cuore dello stabilimento delle Terme di Venturina. Dopo il crollo delle strutture antiche, risalenti in gran parte al periodo romano, per oltre mille anni, di fatto, la sorgente si ridusse a poco più di una pozza fangosa, circondata da ciò che restava dei muretti antichi, dalla quale scaturiva abbondante acqua termale a 45°C e dove gli abitanti dei dintorni si immergevano direttamente per alleviare i loro acciacchi. Nell’Ottocento si cominciò a pensare ad una ristrutturazione del “Bagno” che prevedesse la costruzione (o ricostruzione) di un edificio sopra la sorgente. Per veder nascere un vero e proprio stabilimento termale si dovette attendere il 1883 quando, grazie alla buona volontà e all’intelligenza di Domenico Danielli, nacquero i “Bagni Caterina”. L’iniziativa imprenditoriale tuttavia non ebbe il successo che avrebbe meritato. Leggendo l’articolo scoprirete perché.
Nel consueto spazio dedicato all’archeologia, vi presentiamo due interessantissimi articoli. Il primo, firmato da Enrico Zanini, ci porta nell’ormai familiare Vignale romana, per cercare di risolvere un piccolo mistero legato al ritrovamento di una rara moneta; il secondo invece, curato dai Parchi della Val di Cornia, ci proietta ancora più indietro nel tempo, all’epoca in cui sull’acropoli di Populonia, i re vivevano in capanne fatte di legno, paglia e fango.
Per la rubrica “Cibo & Memoria”, l’amico Alberto Benedetti ricorda un venturinese molto amato, Sergio Salvestrini il quale, oltre che per la musica, aveva un debole per lo stoccafisso. A seguire, un documento inedito che ci fa capire quanto fosse importante Campiglia nel Rinascimento; poi la storia della famiglia Dell’Omodarme e di “Beppe”, uno di loro, descritto da un amico d’eccezione: Renato Fucini. Piero Cavicchi ci parla di un toponimo ormai scomparso: il Portinaiolo e, per finire, pubblichiamo una delle bellissime foto d’epoca tratte dalla collezione di Stefano Parlanti. Buona lettura a tutti.
n. 23 (marzo/aprile 2018)
Cari amici lettori, eccoci di nuovo insieme. Anche questo ventitreesimo numero è ricco di argomenti interessanti.
Iniziamo come al solito presentandovi i risultati di una ricerca svolta tra i documenti dell’archivio storico comunale. Si tratta di un tema noto agli storici e agli addetti ai lavori, ma quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico. Come funzionava il Comune cinque secoli fa? Come avveniva la scelta delle persone deputate a rappresentare e amministrare la Comunità di Campiglia? Quali erano le principali cariche pubbliche? Che tipo di lavoro svolgevano i funzionari comunali dell’epoca? Abbiamo cercato di rispondere per voi a queste e ad altre domande.
Laura Peruzzi, nel secondo articolo, ci porta alla ricerca dell’antico castello del Porto di Baratti, del quale oggi si sono perse le tracce. Analizzando i documenti a nostra disposizione e gli edifici più antichi presenti nella zona, cercheremo di risolvere il mistero, formulando un’ipotesi compatibile con le evidenze archeologiche e storiche.
Nel terzo contributo, conosceremo Osvaldo Benedettelli, un giovane militare originario di Arcidosso che, durante la seconda guerra mondiale, fu mandato di stanza a Venturina. Il ragazzo, che svolgeva la mansione di telefonista, risiedette prima al comando allestito a Palazzo Magona e poi a quello di Villa Mussio. Nella nostra bella terra, Osvaldo trovò l’amore della sua vita e così decise di restare. Oggi, dopo quasi ottant’anni, sua nipote Roberta ha tirato fuori dal cassetto quel che resta di un diario scritto dal nonno in quei giorni difficili ma, al tempo stesso, meravigliosi. Ve lo facciamo leggere.
Piero Cavicchi ci parla, nel quarto articolo, di un tema poco noto e lo fa, come sempre, con grande precisione e chiarezza. Questo prezioso contributo si ricollega in qualche modo alla ricerca che apre questo numero della rivista e di cui abbiamo già detto, poiché si parla di un argomento simile: il funzionamento del municipium di Populonia in età romana. Avete capito bene, duemila anni fa Populonia aveva già una sua amministrazione municipale e i suoi “sindaci”, anche se allora le cose funzionavano in modo un po’ diverso da oggi.
Il quinto articolo riguarda lo sport, un argomento che trattiamo raramente. Questa volta però facciamo volentieri un’eccezione, dato che si tratta di festeggiare una ricorrenza importante: i primi quarant’anni di vita della Pallavolo Libertas Venturina. La storia della società sportiva e le gesta dei tanti atleti ed atlete che hanno calcato i campi di volley con la maglia biancoceleste sono diventati oggetto di un libro, uscito recentemente e curato dal sottoscritto. Colgo l’occasione per rinnovare ancora una volta gli auguri alla Libertas, ai suoi dirigenti e atleti di oggi e di ieri, rivolgendo un saluto particolare a Pietro Bucci e a Rita Lessi, che nell’articolo abbiamo definito, non a caso, i “genitori” della pallavolo venturinese.
Passiamo poi al consueto appuntamento con “Uomini e Cose a Vignale”, il progetto di archeologia pubblica, condivisa e sostenibile, diretto magistralmente da Enrico Zanini, che questa volta ci parla di vino, ma non di un vino qualsiasi, di un prodotto moderno che però, come pochissimi altri al mondo, può vantare una grande storia alle spalle.
Nella rubrica “Cibo&Memoria”, Alberto Benedetti ci porta allo stadio, per seguire un calciatore venturinese del passato che, da vero atleta, amava i piatti gustosi ma leggeri, come la zuppa di verdure. Il documento che vi presentiamo questa volta è davvero interessante e, se vogliamo, anche divertente. La storia è boccaccesca: un prete ha l’amante e quando il marito di lei non c’è va a trovarla a casa per dare sfogo ai propri istinti repressi. Un altro prete però spia i due amanti e così va a finire a legnate. A fare da sfondo alla vicenda, la Campiglia della calda estate del 1610. Pubblichiamo la trascrizione integrale dei verbali con le dichiarazioni dei testimoni chiamati a deporre dal tribunale vescovile.
Per concludere, Piero Cavicchi ci parla della maledizione etrusca di Monte Pitti, poi ci illustra gli “strani” nomi che alcuni animali hanno nel nostro dialetto e infine ci spiega l’origine del toponimo Baratti. Gianfranco Benedettini ci presta una delle sue tante foto per l’amarcord fotografico finale: il mausoleo di Caldana nel 1960. Buona lettura a tutti.
Iniziamo come al solito presentandovi i risultati di una ricerca svolta tra i documenti dell’archivio storico comunale. Si tratta di un tema noto agli storici e agli addetti ai lavori, ma quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico. Come funzionava il Comune cinque secoli fa? Come avveniva la scelta delle persone deputate a rappresentare e amministrare la Comunità di Campiglia? Quali erano le principali cariche pubbliche? Che tipo di lavoro svolgevano i funzionari comunali dell’epoca? Abbiamo cercato di rispondere per voi a queste e ad altre domande.
Laura Peruzzi, nel secondo articolo, ci porta alla ricerca dell’antico castello del Porto di Baratti, del quale oggi si sono perse le tracce. Analizzando i documenti a nostra disposizione e gli edifici più antichi presenti nella zona, cercheremo di risolvere il mistero, formulando un’ipotesi compatibile con le evidenze archeologiche e storiche.
Nel terzo contributo, conosceremo Osvaldo Benedettelli, un giovane militare originario di Arcidosso che, durante la seconda guerra mondiale, fu mandato di stanza a Venturina. Il ragazzo, che svolgeva la mansione di telefonista, risiedette prima al comando allestito a Palazzo Magona e poi a quello di Villa Mussio. Nella nostra bella terra, Osvaldo trovò l’amore della sua vita e così decise di restare. Oggi, dopo quasi ottant’anni, sua nipote Roberta ha tirato fuori dal cassetto quel che resta di un diario scritto dal nonno in quei giorni difficili ma, al tempo stesso, meravigliosi. Ve lo facciamo leggere.
Piero Cavicchi ci parla, nel quarto articolo, di un tema poco noto e lo fa, come sempre, con grande precisione e chiarezza. Questo prezioso contributo si ricollega in qualche modo alla ricerca che apre questo numero della rivista e di cui abbiamo già detto, poiché si parla di un argomento simile: il funzionamento del municipium di Populonia in età romana. Avete capito bene, duemila anni fa Populonia aveva già una sua amministrazione municipale e i suoi “sindaci”, anche se allora le cose funzionavano in modo un po’ diverso da oggi.
Il quinto articolo riguarda lo sport, un argomento che trattiamo raramente. Questa volta però facciamo volentieri un’eccezione, dato che si tratta di festeggiare una ricorrenza importante: i primi quarant’anni di vita della Pallavolo Libertas Venturina. La storia della società sportiva e le gesta dei tanti atleti ed atlete che hanno calcato i campi di volley con la maglia biancoceleste sono diventati oggetto di un libro, uscito recentemente e curato dal sottoscritto. Colgo l’occasione per rinnovare ancora una volta gli auguri alla Libertas, ai suoi dirigenti e atleti di oggi e di ieri, rivolgendo un saluto particolare a Pietro Bucci e a Rita Lessi, che nell’articolo abbiamo definito, non a caso, i “genitori” della pallavolo venturinese.
Passiamo poi al consueto appuntamento con “Uomini e Cose a Vignale”, il progetto di archeologia pubblica, condivisa e sostenibile, diretto magistralmente da Enrico Zanini, che questa volta ci parla di vino, ma non di un vino qualsiasi, di un prodotto moderno che però, come pochissimi altri al mondo, può vantare una grande storia alle spalle.
Nella rubrica “Cibo&Memoria”, Alberto Benedetti ci porta allo stadio, per seguire un calciatore venturinese del passato che, da vero atleta, amava i piatti gustosi ma leggeri, come la zuppa di verdure. Il documento che vi presentiamo questa volta è davvero interessante e, se vogliamo, anche divertente. La storia è boccaccesca: un prete ha l’amante e quando il marito di lei non c’è va a trovarla a casa per dare sfogo ai propri istinti repressi. Un altro prete però spia i due amanti e così va a finire a legnate. A fare da sfondo alla vicenda, la Campiglia della calda estate del 1610. Pubblichiamo la trascrizione integrale dei verbali con le dichiarazioni dei testimoni chiamati a deporre dal tribunale vescovile.
Per concludere, Piero Cavicchi ci parla della maledizione etrusca di Monte Pitti, poi ci illustra gli “strani” nomi che alcuni animali hanno nel nostro dialetto e infine ci spiega l’origine del toponimo Baratti. Gianfranco Benedettini ci presta una delle sue tante foto per l’amarcord fotografico finale: il mausoleo di Caldana nel 1960. Buona lettura a tutti.
n. 24 (maggio/giugno 2018)
Cari amici lettori, questo ventiquattresimo numero è l’ultimo della quarta serie. Un altro anno trascorso insieme volge al termine e, come sempre, vogliamo esprimervi la nostra gratitudine per l’interesse che continuate a dimostrare nei confronti di questa rivista.
Per ringraziare invece concretamente le tante aziende locali che ci sostengono con generosità, da questo numero abbiamo deciso di dare loro maggiore visibilità, certi che i lettori comprenderanno che, senza i proventi della pubblicità, questa piccola rivista non riuscirebbe a sopravvivere.
Il 27 maggio, se ne è andato uno dei personaggi più stimati e amati del nostro paese: Coraldo Cavicchi. Coraldo, per me, era prima di tutto un amico e, come ebbi modo di scrivere nella presentazione al suo ultimo libro, una persona onesta, intelligente, generosa, creativa, instancabile, la più tenace che abbia mai conosciuto. Di lui ho sempre ammirato la grandissima caparbietà, che talvolta sfiorava la testardaggine, e la capacità di portare a termine tutto quello che cominciava.
è stato un impresario di successo che è riuscito a farsi voler bene dalla gente, cosa non sempre scontata. Ci è riuscito grazie al suo grande altruismo e all’immenso amore che ha sempre dimostrato per “la sua terra”.
Coraldo apparteneva a quella ristretta categoria di uomini che sanno “vedere oltre”; quelli che indicano la strada quando tutti gli altri non la trovano; quelli che sanno inventare soluzioni nuove a problemi vecchi; quelli che credono nel futuro perché sanno che con l’intelligenza, lo spirito di sacrificio e la solidarietà si supera ogni ostacolo; quelli che sono destinati a lasciare un segno e a non essere dimenticati.
Abbiamo voluto ricordare Coraldo nel modo che a lui sarebbe piaciuto di più, e cioè riprendendo in mano i suoi libri, che considerava indistruttibili capsule del tempo da riempire di ricordi e immagini, concepite per durare in eterno, per superare l’abisso che separa passato e futuro. Voleva istruire i giovani Coraldo, far conoscere loro un mondo che non esiste più, ma non come una semplice curiosità fine a se stessa. Desiderava che le nuove generazioni “sapessero”, perché era fermamente convinto che a ciò che oggi definiamo “progresso” si possa dare il giusto valore solo conoscendo cosa c’era prima e come si viveva un tempo, quando questo progresso non era ancora stato raggiunto. Il filo invisibile che lega tutti i suoi libri è infatti l’etica del sacrificio: il sacrificio del duro lavoro della terra, il sacrificio di chi lotta per la libertà, il sacrificio di chi vuole migliorare se stesso e la propria comunità.
Oltre ai primi tre articoli, ispirati alla figura di Coraldo Cavicchi, in questo numero troverete i risultati di una ricerca d’archivio compiuta per capire quale fosse la situazione idrogeologica della pianura campigliese nel passato. Da questo studio emerge chiaramente un dato: se la bonifica qui da noi non poté essere portata a termine prima della metà dell’Ottocento è perché mancavano i mezzi tecnici ed economici per realizzarla.
Enrico Zanini ci parla di un inaspettato ritrovamento di bossoli d’ottone all’interno della villa romana di Vignale, offrendoci una possibile soluzione al mistero.
Nelle consuete rubriche, Alberto Benedetti ricorda un erculeo personaggio della Venturina di un tempo, Vasco Marconi, e la sua passione, non a caso, per i “muscoli” ripieni. Vi presentiamo poi la cronaca di un insolito fenomeno metereologico verificatosi a Campiglia nel 1830. Piero Cavicchi ci spiega invece, nella “pillola”, la nascita del Fosso Rocchio, poi ci presenta Apollodoro, un “venturinese” di duemila anni fa e, infine, ci svela le origini del nome del fiume Cornia.
Buona lettura a tutti.
Per ringraziare invece concretamente le tante aziende locali che ci sostengono con generosità, da questo numero abbiamo deciso di dare loro maggiore visibilità, certi che i lettori comprenderanno che, senza i proventi della pubblicità, questa piccola rivista non riuscirebbe a sopravvivere.
Il 27 maggio, se ne è andato uno dei personaggi più stimati e amati del nostro paese: Coraldo Cavicchi. Coraldo, per me, era prima di tutto un amico e, come ebbi modo di scrivere nella presentazione al suo ultimo libro, una persona onesta, intelligente, generosa, creativa, instancabile, la più tenace che abbia mai conosciuto. Di lui ho sempre ammirato la grandissima caparbietà, che talvolta sfiorava la testardaggine, e la capacità di portare a termine tutto quello che cominciava.
è stato un impresario di successo che è riuscito a farsi voler bene dalla gente, cosa non sempre scontata. Ci è riuscito grazie al suo grande altruismo e all’immenso amore che ha sempre dimostrato per “la sua terra”.
Coraldo apparteneva a quella ristretta categoria di uomini che sanno “vedere oltre”; quelli che indicano la strada quando tutti gli altri non la trovano; quelli che sanno inventare soluzioni nuove a problemi vecchi; quelli che credono nel futuro perché sanno che con l’intelligenza, lo spirito di sacrificio e la solidarietà si supera ogni ostacolo; quelli che sono destinati a lasciare un segno e a non essere dimenticati.
Abbiamo voluto ricordare Coraldo nel modo che a lui sarebbe piaciuto di più, e cioè riprendendo in mano i suoi libri, che considerava indistruttibili capsule del tempo da riempire di ricordi e immagini, concepite per durare in eterno, per superare l’abisso che separa passato e futuro. Voleva istruire i giovani Coraldo, far conoscere loro un mondo che non esiste più, ma non come una semplice curiosità fine a se stessa. Desiderava che le nuove generazioni “sapessero”, perché era fermamente convinto che a ciò che oggi definiamo “progresso” si possa dare il giusto valore solo conoscendo cosa c’era prima e come si viveva un tempo, quando questo progresso non era ancora stato raggiunto. Il filo invisibile che lega tutti i suoi libri è infatti l’etica del sacrificio: il sacrificio del duro lavoro della terra, il sacrificio di chi lotta per la libertà, il sacrificio di chi vuole migliorare se stesso e la propria comunità.
Oltre ai primi tre articoli, ispirati alla figura di Coraldo Cavicchi, in questo numero troverete i risultati di una ricerca d’archivio compiuta per capire quale fosse la situazione idrogeologica della pianura campigliese nel passato. Da questo studio emerge chiaramente un dato: se la bonifica qui da noi non poté essere portata a termine prima della metà dell’Ottocento è perché mancavano i mezzi tecnici ed economici per realizzarla.
Enrico Zanini ci parla di un inaspettato ritrovamento di bossoli d’ottone all’interno della villa romana di Vignale, offrendoci una possibile soluzione al mistero.
Nelle consuete rubriche, Alberto Benedetti ricorda un erculeo personaggio della Venturina di un tempo, Vasco Marconi, e la sua passione, non a caso, per i “muscoli” ripieni. Vi presentiamo poi la cronaca di un insolito fenomeno metereologico verificatosi a Campiglia nel 1830. Piero Cavicchi ci spiega invece, nella “pillola”, la nascita del Fosso Rocchio, poi ci presenta Apollodoro, un “venturinese” di duemila anni fa e, infine, ci svela le origini del nome del fiume Cornia.
Buona lettura a tutti.
n. 25 (luglio/agosto 2018)
Cari amici lettori, con questo venticinquesimo numero inizia il quinto anno insieme.
Abbiamo dedicato la copertina ad un nostro “sogno nel cassetto”: riportare in vita un tratto dell’antica Aurelia romana. Non un pezzo qualsiasi, ma il più significativo per noi, quello che passava accanto al mausoleo di Caldana.
Alla fine potrebbe rivelarsi una missione impossibile, ma sarebbe importante provarci comunque. L’operazione archeologica non è certamente proibitiva. Sappiamo esattamente dove passava la strada e fare un saggio di qualche metro non comporterebbe una spesa eccessiva.
Gli archeologi in gamba nella zona non mancano, purtroppo però, come spesso accade in Italia, la parte più difficile è quella che consiste nel riuscire a suscitare interesse per un intervento del genere. La burocrazia poi può essere talmente scoraggiante da far desistere anche i più entusiasti.
Abbiamo voluto lanciare questo sasso e non nasconderemo di certo la mano. Al contrario, faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità per trovare qualcuno disposto a raccogliere l’appello.
Non si tratta di una semplice curiosità da storici: riportare alla luce l’Aurelia romana, proprio in quel punto, per un paese che aspira a sviluppare il turismo termale, sarebbe sicuramente una carta in più da giocare e il possibile inizio di un processo di rivalutazione storica e culturale dell’intera Comunità. Noi ci crediamo.
Nel secondo articolo ci occupiamo di un piccolo mistero, quello delle origini del “Circolo” di Campiglia. Per i Campigliesi il “Circolo” è lo slargo dove oggi si trova piazza della Vittoria, una meravigliosa “terrazza” dalla quale si gode di un panorama mozzafiato. Nessuno però, neanche i più vecchi del paese, sa perché quel luogo sia chiamato così da generazioni.
Abbiamo fatto una breve indagine per scoprirlo e, alla fine, crediamo di essere arrivati ad una soluzione soddisfacente e forse definitiva, anche se continueremo ad indagare in archivio, alla ricerca di documenti in grado di confermare la nostra ipotesi.
Il terzo articolo ci racconta che cos’era la Bandita delle Cavalle, una delle due tenute granducali presenti nelle campagne campigliesi. Dell’altra, quella della Pulledraia, ci eravamo già occupati in uno dei numeri precedenti della rivista. Partendo da una bella e antica mappa della zona, abbiamo provato ad immaginare come fosse organizzata la Bandita, ripercorrendone brevemente la storia.
Per il quarto contributo, riprendiamo un interessante articolo di Marisa Giachi, uscito qualche anno fa, sulla riforma agraria messa in atto nel Principato di Piombino, agli inizi dell’Ottocento, al tempo di Elisa Bonaparte Baciocchi.
Nella rubrica Cibo&Memoria, Alberto Benedetti ci fa fare la conoscenza di Franco Orlandini, servendosi anche di una sua “dolcissima” poesia.
Vi proponiamo poi un documento storico inedito, che ci riporta indietro nel tempo fino all’estate del 1479, quando Campiglia viveva uno dei suoi momenti peggiori, trovandosi stretta fra l’incudine della guerra e il martello di una terribile pestilenza.
Per finire, Piero Cavicchi ci racconta di quando i Campigliesi, per sbarcare il lunario e arrotondare le loro misere entrate, si dedicavano alla raccolta di alcuni “insoliti” frutti che la natura metteva loro a disposizione.
Buona lettura a tutti.
Abbiamo dedicato la copertina ad un nostro “sogno nel cassetto”: riportare in vita un tratto dell’antica Aurelia romana. Non un pezzo qualsiasi, ma il più significativo per noi, quello che passava accanto al mausoleo di Caldana.
Alla fine potrebbe rivelarsi una missione impossibile, ma sarebbe importante provarci comunque. L’operazione archeologica non è certamente proibitiva. Sappiamo esattamente dove passava la strada e fare un saggio di qualche metro non comporterebbe una spesa eccessiva.
Gli archeologi in gamba nella zona non mancano, purtroppo però, come spesso accade in Italia, la parte più difficile è quella che consiste nel riuscire a suscitare interesse per un intervento del genere. La burocrazia poi può essere talmente scoraggiante da far desistere anche i più entusiasti.
Abbiamo voluto lanciare questo sasso e non nasconderemo di certo la mano. Al contrario, faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità per trovare qualcuno disposto a raccogliere l’appello.
Non si tratta di una semplice curiosità da storici: riportare alla luce l’Aurelia romana, proprio in quel punto, per un paese che aspira a sviluppare il turismo termale, sarebbe sicuramente una carta in più da giocare e il possibile inizio di un processo di rivalutazione storica e culturale dell’intera Comunità. Noi ci crediamo.
Nel secondo articolo ci occupiamo di un piccolo mistero, quello delle origini del “Circolo” di Campiglia. Per i Campigliesi il “Circolo” è lo slargo dove oggi si trova piazza della Vittoria, una meravigliosa “terrazza” dalla quale si gode di un panorama mozzafiato. Nessuno però, neanche i più vecchi del paese, sa perché quel luogo sia chiamato così da generazioni.
Abbiamo fatto una breve indagine per scoprirlo e, alla fine, crediamo di essere arrivati ad una soluzione soddisfacente e forse definitiva, anche se continueremo ad indagare in archivio, alla ricerca di documenti in grado di confermare la nostra ipotesi.
Il terzo articolo ci racconta che cos’era la Bandita delle Cavalle, una delle due tenute granducali presenti nelle campagne campigliesi. Dell’altra, quella della Pulledraia, ci eravamo già occupati in uno dei numeri precedenti della rivista. Partendo da una bella e antica mappa della zona, abbiamo provato ad immaginare come fosse organizzata la Bandita, ripercorrendone brevemente la storia.
Per il quarto contributo, riprendiamo un interessante articolo di Marisa Giachi, uscito qualche anno fa, sulla riforma agraria messa in atto nel Principato di Piombino, agli inizi dell’Ottocento, al tempo di Elisa Bonaparte Baciocchi.
Nella rubrica Cibo&Memoria, Alberto Benedetti ci fa fare la conoscenza di Franco Orlandini, servendosi anche di una sua “dolcissima” poesia.
Vi proponiamo poi un documento storico inedito, che ci riporta indietro nel tempo fino all’estate del 1479, quando Campiglia viveva uno dei suoi momenti peggiori, trovandosi stretta fra l’incudine della guerra e il martello di una terribile pestilenza.
Per finire, Piero Cavicchi ci racconta di quando i Campigliesi, per sbarcare il lunario e arrotondare le loro misere entrate, si dedicavano alla raccolta di alcuni “insoliti” frutti che la natura metteva loro a disposizione.
Buona lettura a tutti.
n. 26 (settembre/ottobre 2018)
Cari amici lettori, con questo numero della rivista, il ventiseiesimo, ci siamo rinnovati ancora e, questa volta, abbiamo fatto un bel cambiamento.
Il nuovo formato è stato pensato per dare a “Venturina Terme” un aspetto più maneggevole e compatto, ampliando al tempo stesso i contenuti, e crediamo di esserci riusciti. Speriamo che il nuovo “look” sia di vostro gradimento.
Nel primo articolo, vi presentiamo i risultati di un’indagine che è stata veramente appassionante. Volevamo provare a far luce su uno degli aspetti più misteriosi della storia locale: quello degli strani “omini” di pietra di Campiglia.
In tutto sono tre: il primo si trova sulla facciata di un edificio di via Buozzi, il secondo al cimitero, davanti al portone d’ingresso della pieve di San Giovanni, e il terzo, quello meno noto, su una casa in via Cavour.
Su questi strani esseri è stato detto e scritto di tutto. Amanti dell’esoterismo, da ogni parte d’Italia, si sono riversati in Maremma a vedere con i loro occhi quello che qualcuno non aveva esitato a definire “l’alieno di Campiglia”. Da questi pseudo-ricercatori sono state formulate le ipotesi più assurde e fantasiose a riguardo, ma nessuno storico, fino ad ora, aveva mai approfondito seriamente la questione. Siamo stati i primi a fare una ricerca d’archivio ad ampio raggio, per cercare di dare un nome ai proprietari di quel bizzarro stemma araldico quattrocentesco. Vi diciamo cosa abbiamo scoperto.
Il secondo articolo parla della costruzione della prima casa venturinese sull’Aurelia, avvenuta nel 1833. L’edificio oggi non esiste più, essendo purtroppo stato demolito negli anni Cinquanta del Novecento. Siamo però riusciti a trovare una relazione tecnica dell’epoca che lo descrive nei minimi particolari. Ve la presentiamo in anteprima.
Facciamo poi un salto indietro fino al 1691, anno in cui la siccità mise a dura prova le nostre campagne, tanto da rendere necessaria la richiesta di un aiuto speciale, quello della Madonna di Fucinaia, alla quale i Campigliesi si erano rivolti per far piovere. Nel terzo articolo vi raccontiamo se le preghiere furono accolte.
Laura Peruzzi fa il punto poi, nel quarto contributo, sulle attuali conoscenze storiche e archeologiche relative agli antichi porti marittimi della Val di Cornia.
Enrico Zanini, come al solito, ci porta alla scoperta di interessanti e sempre nuovi aspetti della Vignale romana, parlandoci, questa volta, di due lucerne del quinto secolo, rinvenute durante lo scavo, che testimoniano la presenza del culto cristiano in un periodo in cui non si era ancora del tutto affermato dalle nostre parti.
A seguire, troverete una rinnovata, ampliata e arricchita sezione della rivista, dedicata alle rubriche,
curate magistralmente, come sempre, dai nostri collaboratori, che ci delizieranno con vere e proprie chicche di storia locale, frutto in gran parte di ricerche inedite.
Buona lettura a tutti.
Il nuovo formato è stato pensato per dare a “Venturina Terme” un aspetto più maneggevole e compatto, ampliando al tempo stesso i contenuti, e crediamo di esserci riusciti. Speriamo che il nuovo “look” sia di vostro gradimento.
Nel primo articolo, vi presentiamo i risultati di un’indagine che è stata veramente appassionante. Volevamo provare a far luce su uno degli aspetti più misteriosi della storia locale: quello degli strani “omini” di pietra di Campiglia.
In tutto sono tre: il primo si trova sulla facciata di un edificio di via Buozzi, il secondo al cimitero, davanti al portone d’ingresso della pieve di San Giovanni, e il terzo, quello meno noto, su una casa in via Cavour.
Su questi strani esseri è stato detto e scritto di tutto. Amanti dell’esoterismo, da ogni parte d’Italia, si sono riversati in Maremma a vedere con i loro occhi quello che qualcuno non aveva esitato a definire “l’alieno di Campiglia”. Da questi pseudo-ricercatori sono state formulate le ipotesi più assurde e fantasiose a riguardo, ma nessuno storico, fino ad ora, aveva mai approfondito seriamente la questione. Siamo stati i primi a fare una ricerca d’archivio ad ampio raggio, per cercare di dare un nome ai proprietari di quel bizzarro stemma araldico quattrocentesco. Vi diciamo cosa abbiamo scoperto.
Il secondo articolo parla della costruzione della prima casa venturinese sull’Aurelia, avvenuta nel 1833. L’edificio oggi non esiste più, essendo purtroppo stato demolito negli anni Cinquanta del Novecento. Siamo però riusciti a trovare una relazione tecnica dell’epoca che lo descrive nei minimi particolari. Ve la presentiamo in anteprima.
Facciamo poi un salto indietro fino al 1691, anno in cui la siccità mise a dura prova le nostre campagne, tanto da rendere necessaria la richiesta di un aiuto speciale, quello della Madonna di Fucinaia, alla quale i Campigliesi si erano rivolti per far piovere. Nel terzo articolo vi raccontiamo se le preghiere furono accolte.
Laura Peruzzi fa il punto poi, nel quarto contributo, sulle attuali conoscenze storiche e archeologiche relative agli antichi porti marittimi della Val di Cornia.
Enrico Zanini, come al solito, ci porta alla scoperta di interessanti e sempre nuovi aspetti della Vignale romana, parlandoci, questa volta, di due lucerne del quinto secolo, rinvenute durante lo scavo, che testimoniano la presenza del culto cristiano in un periodo in cui non si era ancora del tutto affermato dalle nostre parti.
A seguire, troverete una rinnovata, ampliata e arricchita sezione della rivista, dedicata alle rubriche,
curate magistralmente, come sempre, dai nostri collaboratori, che ci delizieranno con vere e proprie chicche di storia locale, frutto in gran parte di ricerche inedite.
Buona lettura a tutti.
n. 27 (novembre/dicembre 2018)
Cari amici lettori, la copertina di questo ventisettesimo numero è dedicata a quello che, a detta di molti, è stato il più grande artista campigliese di sempre: Carlo Guarnieri. Nel 2013, il Comune di Campiglia Marittima, grazie ad una generosa donazione di opere fatta dalla famiglia Guarnieri, ha allestito nelle sale del Palazzo Pretorio un museo mostra permanente a lui dedicato. Si tratta di un’iniziativa culturale molto importante, per il nostro territorio e non solo.
Nel primo articolo di questo numero vi raccontiamo la vita dell’uomo Guarnieri, legata indissolubilmente al suo percorso artistico e alle vicende storiche della sua epoca, soprattutto quelle della giovinezza, segnata dalla guerra e dal fascismo.
Una vita per certi versi bohémienne ma, al tempo stesso molto parca. Un uomo che seppe rimanere umile, nonostante le frequentazioni illustri e la notorietà raggiunta.
Nel secondo articolo ci occupiamo di un personaggio campigliese dimenticato: il “capitano” Pietro Pelamatti, uno dei massimi protagonisti locali della rivoluzione fascista. Marciò su Roma, a capo della seconda legione maremmana, in quel fatidico ottobre del 1922. Fu in prima linea durante la repressione della rivolta contadina del “biennio rosso”, culminato con il triste episodio della morte del giovane Libero Turchi. La parabola di Pietro Pelamatti è particolarmente significativa perché nasce da una convinta adesione al nuovo regime – scelta comune a molti altri ufficiali reduci della grande guerra – e si conclude, inaspettatamente, con un “cambio di campo”, dovuto alle drammatiche vicende seguite all’8 settembre 1943, che lo porterà ad essere internato in un campo di concentramento nazista.
Nel terzo contributo vi presentiamo un documento d’archivio inedito che ci racconta di quando, nel 1684, al Comune di Campiglia fu ordinato dal governo toscano di ristrutturare la Rocca del paese, ormai in stato di abbandono. I Campigliesi avevano rubato tutto quello che c’era da rubare, anche le assi di legno del pavimento, e la vegetazione aveva invaso ogni cosa. I soldi per realizzare l’intervento però, nelle casse comunali, come al solito, non c’erano.
Laura Peruzzi, nel quarto articolo, ci parla di una delle tante chiese delle quali si sono perse le tracce nel corso dei secoli: quella che si trovava sul Poggio San Leonardo, non lontana dal porto di Baratti e della quale, forse, abbiamo individuato alcuni resti.
Enrico Zanini ci mette a conoscenza di un’anomalia riscontrata nel sito romano di Vignale, una insolita disposizione per le terme di allora rispetto ai punti cardinali.
Nella rubrica “Cibo&Memoria”, l’amico Alberto Benedetti ci presenta un compaesano, la cui famiglia ha nutrito generazioni di venturinesi: il fornaio Luigi Franceschini. A seguire, tante altre interessanti notizie, informazioni e curiosità, nelle rubriche curate dai nostri preziosissimi collaboratori.
Buona lettura a tutti.
Nel primo articolo di questo numero vi raccontiamo la vita dell’uomo Guarnieri, legata indissolubilmente al suo percorso artistico e alle vicende storiche della sua epoca, soprattutto quelle della giovinezza, segnata dalla guerra e dal fascismo.
Una vita per certi versi bohémienne ma, al tempo stesso molto parca. Un uomo che seppe rimanere umile, nonostante le frequentazioni illustri e la notorietà raggiunta.
Nel secondo articolo ci occupiamo di un personaggio campigliese dimenticato: il “capitano” Pietro Pelamatti, uno dei massimi protagonisti locali della rivoluzione fascista. Marciò su Roma, a capo della seconda legione maremmana, in quel fatidico ottobre del 1922. Fu in prima linea durante la repressione della rivolta contadina del “biennio rosso”, culminato con il triste episodio della morte del giovane Libero Turchi. La parabola di Pietro Pelamatti è particolarmente significativa perché nasce da una convinta adesione al nuovo regime – scelta comune a molti altri ufficiali reduci della grande guerra – e si conclude, inaspettatamente, con un “cambio di campo”, dovuto alle drammatiche vicende seguite all’8 settembre 1943, che lo porterà ad essere internato in un campo di concentramento nazista.
Nel terzo contributo vi presentiamo un documento d’archivio inedito che ci racconta di quando, nel 1684, al Comune di Campiglia fu ordinato dal governo toscano di ristrutturare la Rocca del paese, ormai in stato di abbandono. I Campigliesi avevano rubato tutto quello che c’era da rubare, anche le assi di legno del pavimento, e la vegetazione aveva invaso ogni cosa. I soldi per realizzare l’intervento però, nelle casse comunali, come al solito, non c’erano.
Laura Peruzzi, nel quarto articolo, ci parla di una delle tante chiese delle quali si sono perse le tracce nel corso dei secoli: quella che si trovava sul Poggio San Leonardo, non lontana dal porto di Baratti e della quale, forse, abbiamo individuato alcuni resti.
Enrico Zanini ci mette a conoscenza di un’anomalia riscontrata nel sito romano di Vignale, una insolita disposizione per le terme di allora rispetto ai punti cardinali.
Nella rubrica “Cibo&Memoria”, l’amico Alberto Benedetti ci presenta un compaesano, la cui famiglia ha nutrito generazioni di venturinesi: il fornaio Luigi Franceschini. A seguire, tante altre interessanti notizie, informazioni e curiosità, nelle rubriche curate dai nostri preziosissimi collaboratori.
Buona lettura a tutti.
n. 28 (gennaio/febbraio 2019)
Cari amici lettori, l’articolo di apertura e la copertina di questo ventottesimo numero della nostra rivista sono dedicati ad un edificio storico molto antico, del quale, fino ad ora, si sapeva poco o nulla: il cosiddetto Palazzaccio, un misterioso e pittoresco “castello” situato sulla strada che da Campiglia porta al Cafaggio.
Pensavamo si trattasse di una residenza signorile costruita dal nulla alla fine dell’Ottocento o agli inizi del Novecento, un falso in stile neogotico come ce ne sono tanti altri, e invece ci sbagliavamo.
La ricerca storica ci ha fatto riscoprire un passato remoto. Sotto al posticcio involucro novecentesco giacciono infatti i resti di un edificio medievale che rivestì un ruolo fondamentale nella storia del nostro territorio. Basti dire che il nome stesso di Campiglia si originò proprio in quel contesto.
Nel secondo articolo, vi proponiamo una testimonianza del periodo fascista, un “poster” contenente le foto e i nomi dei 285 venturinesi iscritti al sindacato coloni. Ci è sembrato doveroso salvare la memoria delle persone ritratte. Divertitevi a cercare il volto di qualche vostro parente.
Il terzo contributo racconta un evento svoltosi a Campiglia nel 1791, una grande festa in onore del nuovo granduca Ferdinando III. In quell’occasione i Campigliesi ebbero modo di distrarsi dalle fatiche del duro lavoro quotidiano e concedersi un po’ di svago. Vi diciamo come.
Nel quarto articolo Laura Peruzzi ci porta alla scoperta di uno dei siti archeologici medievali più importanti del nostro territorio: il monastero benedettino di San Quirico di Populonia.
A seguire, Alessandro Viesti, Helga Maiorana e Caterina Rocchi, ci regalano in anteprima interessanti particolari sulla Populonia etrusca e romana, rivelandoci le loro nuove scoperte archeologiche sul Poggio della Porcareccia.
E poi, come sempre, Alberto Benedetti, nella sua rubrica “Cibo&Memoria” ricorda un nostro amatissimo concittadino, Iede Donati, storico fornaio ed edicolante della Venturina che fu. Alessandro Gori invece ci presenta sua nonna, la bella Artemisia Agostini.
Nella rubrica sulle novità editoriali si parla dell’ultimo libro al quale ho lavorato insieme all’amico Stefano Parlanti. Dopo quello su Campiglia, non potevamo certo esimerci dal pubblicarne uno anche su Venturina, e così è stato. Chissà che non ne arrivino altri.
Poi, parliamo della storica e benestante famiglia Fedi di Campiglia, prendendo spunto da una pietra incisa che si trova sulla loro abitazione. Dopodiché ci occupiamo della diserzione scolastica nella Venturina di un secolo fa, quando i ragazzi preferivano il lavoro nei campi alle sovraffollate aule elementari.
In un libro pubblicato di recente, si parla della Pulledraia di Caldana, vi proponiamo alcune interessanti novità.
Per finire, Piero Cavicchi ci spiega l’origine del toponimo Campiglia e poi ci parla di due giovani innamorati campigliesi dell’Ottocento. Buona lettura a tutti.
Pensavamo si trattasse di una residenza signorile costruita dal nulla alla fine dell’Ottocento o agli inizi del Novecento, un falso in stile neogotico come ce ne sono tanti altri, e invece ci sbagliavamo.
La ricerca storica ci ha fatto riscoprire un passato remoto. Sotto al posticcio involucro novecentesco giacciono infatti i resti di un edificio medievale che rivestì un ruolo fondamentale nella storia del nostro territorio. Basti dire che il nome stesso di Campiglia si originò proprio in quel contesto.
Nel secondo articolo, vi proponiamo una testimonianza del periodo fascista, un “poster” contenente le foto e i nomi dei 285 venturinesi iscritti al sindacato coloni. Ci è sembrato doveroso salvare la memoria delle persone ritratte. Divertitevi a cercare il volto di qualche vostro parente.
Il terzo contributo racconta un evento svoltosi a Campiglia nel 1791, una grande festa in onore del nuovo granduca Ferdinando III. In quell’occasione i Campigliesi ebbero modo di distrarsi dalle fatiche del duro lavoro quotidiano e concedersi un po’ di svago. Vi diciamo come.
Nel quarto articolo Laura Peruzzi ci porta alla scoperta di uno dei siti archeologici medievali più importanti del nostro territorio: il monastero benedettino di San Quirico di Populonia.
A seguire, Alessandro Viesti, Helga Maiorana e Caterina Rocchi, ci regalano in anteprima interessanti particolari sulla Populonia etrusca e romana, rivelandoci le loro nuove scoperte archeologiche sul Poggio della Porcareccia.
E poi, come sempre, Alberto Benedetti, nella sua rubrica “Cibo&Memoria” ricorda un nostro amatissimo concittadino, Iede Donati, storico fornaio ed edicolante della Venturina che fu. Alessandro Gori invece ci presenta sua nonna, la bella Artemisia Agostini.
Nella rubrica sulle novità editoriali si parla dell’ultimo libro al quale ho lavorato insieme all’amico Stefano Parlanti. Dopo quello su Campiglia, non potevamo certo esimerci dal pubblicarne uno anche su Venturina, e così è stato. Chissà che non ne arrivino altri.
Poi, parliamo della storica e benestante famiglia Fedi di Campiglia, prendendo spunto da una pietra incisa che si trova sulla loro abitazione. Dopodiché ci occupiamo della diserzione scolastica nella Venturina di un secolo fa, quando i ragazzi preferivano il lavoro nei campi alle sovraffollate aule elementari.
In un libro pubblicato di recente, si parla della Pulledraia di Caldana, vi proponiamo alcune interessanti novità.
Per finire, Piero Cavicchi ci spiega l’origine del toponimo Campiglia e poi ci parla di due giovani innamorati campigliesi dell’Ottocento. Buona lettura a tutti.
n. 29 (marzo/aprile 2019)
Cari amici lettori, questo ventinovesimo è un numero molto “novecentesco”. Quasi tutti gli articoli riguardano infatti il XX secolo. Si tratta di una circostanza per noi non usuale. Di solito infatti ci occupiamo soprattutto di avvenimenti più antichi, ma questa volta facciamo volentieri uno strappo alla regola.
Recentemente abbiamo avuto modo di riprodurre un’intera collezione privata di immagini e documenti campigliesi, appartenenti al cecinese Sabatino Ulivieri, e questo materiale ci ha offerto diversi spunti di ricerca.
L’idea del primo articolo nasce proprio da uno straordinario ritrovamento avvenuto casualmente tra le carte di Sabatino. Partendo da un’inedita veduta di Venturina, abbiamo fatto un salto indietro di cent’anni per ripercorrere insieme le vicende storiche di alcuni personaggi che legarono il loro nome al primo sviluppo demografico del paese. Li abbiamo definiti pionieri e crediamo di non essere andati lontani dal vero.
Il secondo articolo è basato sulla grande quantità di documenti presenti nella collezione Ulivieri riguardanti Piero Ginori Conti, un deputato che, oltre un secolo fa, si dette molto da fare per la nostra terra e per i suoi abitanti, aiutando e “raccomandando” in moltissime occasioni le autorità, gli imprenditori e i cittadini.
Nel terzo contributo vi raccontiamo chi era Enrico Burci. I Venturinesi doc ne avranno senz’altro sentito parlare dai loro genitori o dai loro nonni. Era il proprietario della fattoria della Pulledraia e quindi anche delle terme, o “Bagnetti”, come si diceva allora, con il relativo albergo. Pochi sanno però che il Burci fu un vero e proprio luminare nel campo della medicina, scopriremo insieme la sua biografia.
L’Etruscan Mines, il complesso industriale minerario attivo nelle nostre colline ai primi del Novecento, è l’oggetto del quarto contributo e anche questo lo dobbiamo ad un documento ritrovato tra le carte dell’Ulivieri: più precisamente un volantino pubblicitario che descrive quello che allora era definito, forse con un pizzico di esagerazione, “il più colossale impianto minerario d’Europa e forse del mondo”!
Dopodiché, Littoriano Nencini, ci racconta un ricordo d’infanzia: l’arrivo a Venturina di un personaggio che allora girava per i paesi e le campagne, il seggiolaio, che costruiva, ma soprattutto riparava, le sedie di allora, fatte rigorosamente di legno e paglia, perché all’epoca non si poteva e non si doveva buttare via nulla fino a quando non era del tutto inutilizzabile.
Per le nostre rubriche, Alberto Benedetti ci parla di Ottavio Socci e della sua passione per la pasta fatta in casa condita con il galletto “scappato”. Matteo Biagi ricorda con affetto suo nonno Tommaso; e poi ancora parliamo dell’ultimo libro dedicato alle vecchie carte intestate locali, della perduta e ritrovata lapide di Umberto I, di un vecchio articolo sulle condizioni disumane degli operai della fabbrica piombinese nel 1897, della nascita della stazione ferroviaria di Campiglia, del toponimo Caldana e, per finire, di una datata foto di classe delle scuole Marconi.
Buona lettura a tutti.
Recentemente abbiamo avuto modo di riprodurre un’intera collezione privata di immagini e documenti campigliesi, appartenenti al cecinese Sabatino Ulivieri, e questo materiale ci ha offerto diversi spunti di ricerca.
L’idea del primo articolo nasce proprio da uno straordinario ritrovamento avvenuto casualmente tra le carte di Sabatino. Partendo da un’inedita veduta di Venturina, abbiamo fatto un salto indietro di cent’anni per ripercorrere insieme le vicende storiche di alcuni personaggi che legarono il loro nome al primo sviluppo demografico del paese. Li abbiamo definiti pionieri e crediamo di non essere andati lontani dal vero.
Il secondo articolo è basato sulla grande quantità di documenti presenti nella collezione Ulivieri riguardanti Piero Ginori Conti, un deputato che, oltre un secolo fa, si dette molto da fare per la nostra terra e per i suoi abitanti, aiutando e “raccomandando” in moltissime occasioni le autorità, gli imprenditori e i cittadini.
Nel terzo contributo vi raccontiamo chi era Enrico Burci. I Venturinesi doc ne avranno senz’altro sentito parlare dai loro genitori o dai loro nonni. Era il proprietario della fattoria della Pulledraia e quindi anche delle terme, o “Bagnetti”, come si diceva allora, con il relativo albergo. Pochi sanno però che il Burci fu un vero e proprio luminare nel campo della medicina, scopriremo insieme la sua biografia.
L’Etruscan Mines, il complesso industriale minerario attivo nelle nostre colline ai primi del Novecento, è l’oggetto del quarto contributo e anche questo lo dobbiamo ad un documento ritrovato tra le carte dell’Ulivieri: più precisamente un volantino pubblicitario che descrive quello che allora era definito, forse con un pizzico di esagerazione, “il più colossale impianto minerario d’Europa e forse del mondo”!
Dopodiché, Littoriano Nencini, ci racconta un ricordo d’infanzia: l’arrivo a Venturina di un personaggio che allora girava per i paesi e le campagne, il seggiolaio, che costruiva, ma soprattutto riparava, le sedie di allora, fatte rigorosamente di legno e paglia, perché all’epoca non si poteva e non si doveva buttare via nulla fino a quando non era del tutto inutilizzabile.
Per le nostre rubriche, Alberto Benedetti ci parla di Ottavio Socci e della sua passione per la pasta fatta in casa condita con il galletto “scappato”. Matteo Biagi ricorda con affetto suo nonno Tommaso; e poi ancora parliamo dell’ultimo libro dedicato alle vecchie carte intestate locali, della perduta e ritrovata lapide di Umberto I, di un vecchio articolo sulle condizioni disumane degli operai della fabbrica piombinese nel 1897, della nascita della stazione ferroviaria di Campiglia, del toponimo Caldana e, per finire, di una datata foto di classe delle scuole Marconi.
Buona lettura a tutti.
n. 30 (maggio/giugno 2019)
Cari amici lettori, con questo trentesimo numero termina il quinto anno della nostra rivista e, come di consueto, cogliamo l’occasione per ringraziarvi tutti dell’affetto dimostratoci.
Nel primo articolo, Gianfranco Benedettini, il più grande esperto di storia politica del nostro territorio e non solo, snocciola, uno dopo l’altro, tutti i sindaci del comune di Campiglia Marittima dall’Unità d’Italia ad oggi, contestualizzando con grande abilità il resoconto del loro mandato ai diversi periodi storici.
L’articolo di copertina parla invece della scoperta dei forni etruschi di Fucinaia, avvenuta nel 1934. Fu un rinvenimento che, allora, ebbe una vasta eco. Furono mobilitati fior di studiosi per cercare di capire che cosa fossero esattamente quei forni. Gli studi andarono avanti fino allo scoppio della guerra, dopodiché lo scavo fu interrotto. Negli anni Ottanta i forni di Fucinaia ebbero una nuova fiammata di popolarità, ma poi, nei decenni successivi, finirono nel dimenticatoio. Speriamo che questo articolo possa servire a risvegliare l’interesse da parte di tutti nei confronti di questo importante patrimonio culturale.
Nel terzo articolo, vi presentiamo la storia di un progetto pensato nel 1892 e mai concretizzatosi: un campo da tiro a segno che avrebbe dovuto essere costruito al Temperino. A Campiglia, in quegli anni, era nata una “associazione sportiva” ante litteram che avrebbe dovuto gestire l’impianto ma, come spesso accade, non si trovarono mai i soldi e così il progetto è rimasto chiuso dentro ad un faldone nell’archivio storico comunale, fino a quando non lo abbiamo ritirato fuori noi per farvi conoscere questa storia.
Nel quarto contributo, l’archeologa e guida turistica Laura Peruzzi, come suo solito, ci fa fare un giro alla scoperta delle bellezze locali, questa volta subacquee, portandoci alla scoperta del relitto del Pozzino, una nave romana affondata più di duemila anni fa, con il suo insolito carico: un gran numero di fiale contenenti probabilmente un collirio del quale il medico romano che si trovava a bordo si serviva per curare i suoi pazienti.
Il quinto articolo ci riporta indietro di 95 anni, facendoci conoscere, uno ad uno, i contribuenti del nostro Comune e le loro dichiarazioni dei redditi, dalle quali si evince, oltre al mestiere esercitato, anche la ricchezza di ognuno o almeno quella ammessa ufficialmente.
La sezione dedicata alle nostre rubriche inizia con Tania Cristiani che ci parla di sua nonna Lila Gerini. Poi, per la rubrica dedicata ai libri in uscita, vi presentiamo la ristampa di un libretto degli anni Trenta che riporta dettagliatamente le relazioni relative allo scavo dei forni di Fucinaia di cui abbiamo già parlato prima. Un’interessante e recente scoperta, fatta in archivio, fa luce sulla storia della colonna di Palazzo Pretorio. Piero Cavicchi prima ci racconta un triste fatto accaduto nel 1904 a Piombino: il naufragio di un’imbarcazione còrsa che vide coinvolta la popolazione nel disperato tentativo di salvare passeggeri ed equipaggio, e poi ci spiega l’origine del toponimo Fucinaia. A seguire, un documento commentato da Littoriano Nencini e una vecchia foto di classe del 1955.
Buona lettura a tutti.
Nel primo articolo, Gianfranco Benedettini, il più grande esperto di storia politica del nostro territorio e non solo, snocciola, uno dopo l’altro, tutti i sindaci del comune di Campiglia Marittima dall’Unità d’Italia ad oggi, contestualizzando con grande abilità il resoconto del loro mandato ai diversi periodi storici.
L’articolo di copertina parla invece della scoperta dei forni etruschi di Fucinaia, avvenuta nel 1934. Fu un rinvenimento che, allora, ebbe una vasta eco. Furono mobilitati fior di studiosi per cercare di capire che cosa fossero esattamente quei forni. Gli studi andarono avanti fino allo scoppio della guerra, dopodiché lo scavo fu interrotto. Negli anni Ottanta i forni di Fucinaia ebbero una nuova fiammata di popolarità, ma poi, nei decenni successivi, finirono nel dimenticatoio. Speriamo che questo articolo possa servire a risvegliare l’interesse da parte di tutti nei confronti di questo importante patrimonio culturale.
Nel terzo articolo, vi presentiamo la storia di un progetto pensato nel 1892 e mai concretizzatosi: un campo da tiro a segno che avrebbe dovuto essere costruito al Temperino. A Campiglia, in quegli anni, era nata una “associazione sportiva” ante litteram che avrebbe dovuto gestire l’impianto ma, come spesso accade, non si trovarono mai i soldi e così il progetto è rimasto chiuso dentro ad un faldone nell’archivio storico comunale, fino a quando non lo abbiamo ritirato fuori noi per farvi conoscere questa storia.
Nel quarto contributo, l’archeologa e guida turistica Laura Peruzzi, come suo solito, ci fa fare un giro alla scoperta delle bellezze locali, questa volta subacquee, portandoci alla scoperta del relitto del Pozzino, una nave romana affondata più di duemila anni fa, con il suo insolito carico: un gran numero di fiale contenenti probabilmente un collirio del quale il medico romano che si trovava a bordo si serviva per curare i suoi pazienti.
Il quinto articolo ci riporta indietro di 95 anni, facendoci conoscere, uno ad uno, i contribuenti del nostro Comune e le loro dichiarazioni dei redditi, dalle quali si evince, oltre al mestiere esercitato, anche la ricchezza di ognuno o almeno quella ammessa ufficialmente.
La sezione dedicata alle nostre rubriche inizia con Tania Cristiani che ci parla di sua nonna Lila Gerini. Poi, per la rubrica dedicata ai libri in uscita, vi presentiamo la ristampa di un libretto degli anni Trenta che riporta dettagliatamente le relazioni relative allo scavo dei forni di Fucinaia di cui abbiamo già parlato prima. Un’interessante e recente scoperta, fatta in archivio, fa luce sulla storia della colonna di Palazzo Pretorio. Piero Cavicchi prima ci racconta un triste fatto accaduto nel 1904 a Piombino: il naufragio di un’imbarcazione còrsa che vide coinvolta la popolazione nel disperato tentativo di salvare passeggeri ed equipaggio, e poi ci spiega l’origine del toponimo Fucinaia. A seguire, un documento commentato da Littoriano Nencini e una vecchia foto di classe del 1955.
Buona lettura a tutti.
n. 31 (luglio/agosto 2019)
Cari amici lettori, la copertina del trentunesimo numero della nostra rivista è dedicata alla “Sacra Famiglia”.
Piero Cavicchi, attingendo dalla documentazione pubblicata nel 1985 da Gianfranco Benedettini e don Gianfranco Cirilli nel loro bel libro Un paese, un parroco, una chiesa, ha ricostruito per noi la storia della chiesa parrocchiale di Venturina. Dalle richieste di costruire un edificio di culto giunte al vescovo da parte dei cattolici venturinesi nell’Ottocento, alla posa della prima pietra avvenuta nel 1922, alla solenne consacrazione dell’altare con conseguente apertura al culto nel 1934, all’arrivo del primo parroco, don Enrico Sardi, alla costruzione del campanile nel 1939, fino all’ampliamento della chiesa, ormai troppo piccola, negli anni Sessanta: una cronaca puntuale dei principali avvenimenti che hanno segnato la storia della nostra parrocchia nei suoi primi decenni di vita. Si tratta di un lavoro di sintesi davvero utile, del quale c’era davvero bisogno.
Nel secondo articolo, pubblichiamo la biografia di uno dei personaggi campigliesi più illustri del XX secolo: il generale Amos Del Mancino. Un uomo che, fin da giovanissimo, aveva un unico sogno, quello di diventare un soldato per poter servire la patria, valore nel quale, al pari di molti suoi contemporanei, credeva fino in fondo, tanto da preferire la dura vita militare agli agi che il suo ceto sociale gli avrebbe garantito. Fu un comandante molto amato dai suo uomini e questo la dice lunga sulle qualità umane e morali.
Il terzo contributo è una sorta di prosecuzione dell’articolo precedente. Si parla infatti della storia della famiglia Del Mancino, che abbiamo definito per l’appunto “una illustre stirpe di militari campigliesi”. Il nostro Amos infatti non fu certo l’unico ad intraprendere la strada delle armi, avendo alle spalle nell’albero genealogico, una lunga schiera di antenati guerrieri.
Nel quarto articolo, Andrea Camilli, Stefano Camporeale, Cynthia Mascione, Silvia Guideri e Marta Coccoluto ci portano alla scoperta delle Terme di Populonia, uno straordinario edificio emerso sull’acropoli, che può essere senz’altro considerato uno degli esempi più belli e meglio conservati di tutta l’Etruria romana.
Nello spazio dedicato alle nostre rubriche, Anna Paola Bertucci ci racconta chi era suo nonno Pietro. Piero Cavicchi ci svela le origini storiche del toponimo Casal Volpi, recentemente emerse grazie ad una ricerca da lui condotta negli archivi locali.
Vi parliamo poi di un libro che abbiamo ripubblicato sull’invasione di cavallette che colpì Campiglia e la Val di Cornia nel 1716. E poi, è ancora Piero Cavicchi a occuparsi di due lapidi: quella della chiesa di Venturina, che si ricollega all’articolo di apertura, e quella inaugurata nel 1915 a Piombino in onore di Guglielmo Oberdan.
Dopodiché ci interroghiamo sulle origini e sul significato del cane rampante del nostro gonfalone comunale, per continuare con la scoperta di due antichi forni in casa Mari-Del Mancino a Campiglia. Un documento storico ci proietta indietro nel tempo di oltre cinque secoli, nella Caldana del Quattrocento e, finalmente, chiudiamo con una foto ricordo di una scolaresca del 1946.
Buona lettura a tutti.
Piero Cavicchi, attingendo dalla documentazione pubblicata nel 1985 da Gianfranco Benedettini e don Gianfranco Cirilli nel loro bel libro Un paese, un parroco, una chiesa, ha ricostruito per noi la storia della chiesa parrocchiale di Venturina. Dalle richieste di costruire un edificio di culto giunte al vescovo da parte dei cattolici venturinesi nell’Ottocento, alla posa della prima pietra avvenuta nel 1922, alla solenne consacrazione dell’altare con conseguente apertura al culto nel 1934, all’arrivo del primo parroco, don Enrico Sardi, alla costruzione del campanile nel 1939, fino all’ampliamento della chiesa, ormai troppo piccola, negli anni Sessanta: una cronaca puntuale dei principali avvenimenti che hanno segnato la storia della nostra parrocchia nei suoi primi decenni di vita. Si tratta di un lavoro di sintesi davvero utile, del quale c’era davvero bisogno.
Nel secondo articolo, pubblichiamo la biografia di uno dei personaggi campigliesi più illustri del XX secolo: il generale Amos Del Mancino. Un uomo che, fin da giovanissimo, aveva un unico sogno, quello di diventare un soldato per poter servire la patria, valore nel quale, al pari di molti suoi contemporanei, credeva fino in fondo, tanto da preferire la dura vita militare agli agi che il suo ceto sociale gli avrebbe garantito. Fu un comandante molto amato dai suo uomini e questo la dice lunga sulle qualità umane e morali.
Il terzo contributo è una sorta di prosecuzione dell’articolo precedente. Si parla infatti della storia della famiglia Del Mancino, che abbiamo definito per l’appunto “una illustre stirpe di militari campigliesi”. Il nostro Amos infatti non fu certo l’unico ad intraprendere la strada delle armi, avendo alle spalle nell’albero genealogico, una lunga schiera di antenati guerrieri.
Nel quarto articolo, Andrea Camilli, Stefano Camporeale, Cynthia Mascione, Silvia Guideri e Marta Coccoluto ci portano alla scoperta delle Terme di Populonia, uno straordinario edificio emerso sull’acropoli, che può essere senz’altro considerato uno degli esempi più belli e meglio conservati di tutta l’Etruria romana.
Nello spazio dedicato alle nostre rubriche, Anna Paola Bertucci ci racconta chi era suo nonno Pietro. Piero Cavicchi ci svela le origini storiche del toponimo Casal Volpi, recentemente emerse grazie ad una ricerca da lui condotta negli archivi locali.
Vi parliamo poi di un libro che abbiamo ripubblicato sull’invasione di cavallette che colpì Campiglia e la Val di Cornia nel 1716. E poi, è ancora Piero Cavicchi a occuparsi di due lapidi: quella della chiesa di Venturina, che si ricollega all’articolo di apertura, e quella inaugurata nel 1915 a Piombino in onore di Guglielmo Oberdan.
Dopodiché ci interroghiamo sulle origini e sul significato del cane rampante del nostro gonfalone comunale, per continuare con la scoperta di due antichi forni in casa Mari-Del Mancino a Campiglia. Un documento storico ci proietta indietro nel tempo di oltre cinque secoli, nella Caldana del Quattrocento e, finalmente, chiudiamo con una foto ricordo di una scolaresca del 1946.
Buona lettura a tutti.
n. 32 (settembre/ottobre 2019)
Cari amici lettori, la copertina di questo trentaduesimo numero è dedicata ad un avvenimento, accaduto un millennio e mezzo fa, che ha segnato profondamente la storia del nostro territorio. Stiamo parlando della conquista longobarda di Populonia, che segnò la fine dell’era antica, periodo in cui la nostra vallata aveva visto splendere le due grandi civiltà etrusca e romana, dando inizio al medioevo. L’età di mezzo è un’epoca controversa, nella quale si delinea il nuovo assetto territoriale, caratterizzato da una novità, i castelli, che porterà alla nascita di inediti centri urbani, come la stessa Campiglia. In realtà si sa molto poco di quella remota invasione di quindici secoli fa, ma quel poco che si sa vale la pena di essere raccontato.
Nel secondo articolo, vi proponiamo una delle tante e interessantissime “storie criminali” contenute nei registri del tribunale di Campiglia. Il fondo giudiziario dei Capitani prima e dei Vicari poi, che si trovava custodito nell’Archivio di Stato di Livorno, non è al momento consultabile, essendo stato scelleratamente depositato, anni fa, in un magazzino della Sovrintendenza in Umbria, per “motivi di spazio”! Uno di questi registri però si trova ancora fortunatamente conservato nell’Archivio Comunale di Campiglia ed è proprio da questo prezioso documento che abbiamo tratto la vicenda che vi raccontiamo, ambientata nel 1765.
Nel terzo articolo andiamo alla riscoperta delle mappe del Catasto Toscano del 1821, relative alla sezione B di Campiglia, ovvero a “Montecalvi e Campiglia Vecchia”, e dei numerosi toponimi presenti sulle carte, oggi in parte scomparsi.
Il quarto contributo riguarda una misteriosa lastra ritrovata dagli archeologi dell’Università di Siena, negli anni Novanta del secolo scorso, in una discarica medievale, durante la campagna di scavi condotta alla Rocca di Campiglia; pietra che oggi si trova esposta in una teca all’interno del museo della Rocca. Si tratta di un pezzo di ardesia, il materiale utilizzato in passato per coprire i tetti, sulla quale una mano sconosciuta, nel Trecento, incise una serie di disegni, simboli e lettere: due scene “belliche”, delle quali non è del tutto chiaro il soggetto ed il significato. Vi presentiamo le ipotesi più accreditate.
Nel quinto articolo, parliamo di una delle famiglie locali più importanti negli ultimi secoli: i Mari. Originari di Sestri Levante, dove già possedevano un discreto patrimonio, fecero ulteriormente fortuna spostandosi a Campiglia e aprendo un grosso emporio.
Nel consueto spazio dedicato alle rubriche, Fausto Bianchi ricorda, con una commovente storiella, sua nonna Primizia Bettini. Piero Cavicchi ci svela il significato di alcuni nomi di luogo nostrani di origine germanica. Francesca Peccianti, presenta “Un paese che lavora”, il libro fotografico da poco uscito, dedicato alle attività Venturinesi. Poi facciamo un salto indietro nel tempo, al 1835, quando a Campiglia si svolsero i festeggiamenti per la nascita di Ferdinando IV, l’erede al trono di Toscana. E per finire, chiudiamo con le ignote origini della schiaccia campigliese, con la lapide sepolcrale di Antonia Mari e con la foto di classe di una seconda elementare maschile del 1960.
Buona lettura a tutti.
Nel secondo articolo, vi proponiamo una delle tante e interessantissime “storie criminali” contenute nei registri del tribunale di Campiglia. Il fondo giudiziario dei Capitani prima e dei Vicari poi, che si trovava custodito nell’Archivio di Stato di Livorno, non è al momento consultabile, essendo stato scelleratamente depositato, anni fa, in un magazzino della Sovrintendenza in Umbria, per “motivi di spazio”! Uno di questi registri però si trova ancora fortunatamente conservato nell’Archivio Comunale di Campiglia ed è proprio da questo prezioso documento che abbiamo tratto la vicenda che vi raccontiamo, ambientata nel 1765.
Nel terzo articolo andiamo alla riscoperta delle mappe del Catasto Toscano del 1821, relative alla sezione B di Campiglia, ovvero a “Montecalvi e Campiglia Vecchia”, e dei numerosi toponimi presenti sulle carte, oggi in parte scomparsi.
Il quarto contributo riguarda una misteriosa lastra ritrovata dagli archeologi dell’Università di Siena, negli anni Novanta del secolo scorso, in una discarica medievale, durante la campagna di scavi condotta alla Rocca di Campiglia; pietra che oggi si trova esposta in una teca all’interno del museo della Rocca. Si tratta di un pezzo di ardesia, il materiale utilizzato in passato per coprire i tetti, sulla quale una mano sconosciuta, nel Trecento, incise una serie di disegni, simboli e lettere: due scene “belliche”, delle quali non è del tutto chiaro il soggetto ed il significato. Vi presentiamo le ipotesi più accreditate.
Nel quinto articolo, parliamo di una delle famiglie locali più importanti negli ultimi secoli: i Mari. Originari di Sestri Levante, dove già possedevano un discreto patrimonio, fecero ulteriormente fortuna spostandosi a Campiglia e aprendo un grosso emporio.
Nel consueto spazio dedicato alle rubriche, Fausto Bianchi ricorda, con una commovente storiella, sua nonna Primizia Bettini. Piero Cavicchi ci svela il significato di alcuni nomi di luogo nostrani di origine germanica. Francesca Peccianti, presenta “Un paese che lavora”, il libro fotografico da poco uscito, dedicato alle attività Venturinesi. Poi facciamo un salto indietro nel tempo, al 1835, quando a Campiglia si svolsero i festeggiamenti per la nascita di Ferdinando IV, l’erede al trono di Toscana. E per finire, chiudiamo con le ignote origini della schiaccia campigliese, con la lapide sepolcrale di Antonia Mari e con la foto di classe di una seconda elementare maschile del 1960.
Buona lettura a tutti.
n. 33 (novembre/dicembre 2019)
Cari amici lettori, con questo trentatreesimo numero chiudiamo il 2019, finisce un altro anno passato insieme e quindi cogliamo l’occasione per fare a tutti voi i migliori auguri di un meraviglioso 2020.
Nel primo articolo si parla di un antico edificio religioso che si trovava in Caldana.
A due passi da via Vivaldi, lungo via del Bottaccio, a Venturina Terme, un po’ nascosti allo sguardo, giacciono i resti di quella che fu una chiesa romanica costruita più di mille anni fa. In pochi li conoscono, ma vale senz’altro la pena di andare a fare una bella passeggiata da quelle parti per riscoprire un luogo sacro del passato, del quale vi raccontiamo la storia.
Nel secondo articolo ci spostiamo nella Campiglia del 1765. è notte, un gruppo di uomini sta giocando a carte, ovviamente d’azzardo, in una bottega nella piazza del paese, quando, ad un certo punto, scoppia una rissa. Uno di loro è vittima di un agguato e viene accoltellato in modo piuttosto grave. Si teme per la sua vita, ma alla fine se la caverà. Lui si chiamava Lorenzo e, nel prossimo numero, vi racconteremo una storia incredibile della quale fu protagonista dopo essere scampato alla morte in quella movimentata notte d’estate di 255 anni fa.
Con il terzo contributo ci tuffiamo nuovamente nelle mappe del Catasto del 1821, alla scoperta dei luoghi compresi nelle carte di Montesolaio, Rivellino e Montepitti, per capire come fossero organizzati quei territori all’epoca di cui si parla. Lo faremo alla nostra maniera, con la precisione che ci contraddistingue: particella per particella, edificio per edificio.
Il quarto è un articolo molto interessante che ci racconta di come i quattro principali monumenti funebri presenti a Campiglia − quelli del re Vittorio Emanuele II, del generale Giuseppe Garibaldi e dei due illustri ed amati cittadini campigliesi Lorenzo Nelli e Pietro Paolo Portelli − siano stati realizzati ed inaugurati in un’unica occasione, nell’ottobre del 1886, non senza qualche difficoltà economica ed organizzativa.
Riagganciandosi in parte all’articolo precedente, la consueta ricerca genealogica riguarda proprio la famiglia Nelli, una delle più importanti dell’Ottocento campigliese, grazie all’onorevole avvocato citato in precedenza, ma anche ad altri membri di quella casata che si distinsero per il loro patriottismo e per le loro capacità umane e professionali.
Nello spazio dedicato alle nostre rubriche, Bruno Barsotti ci parla di suo nonno Stefano, mentre Piero Cavicchi ci svela l’origine dei toponimi presenti nella mappe trattate nel terzo articolo. Nella rubrica dedicata ai documenti, facciamo la conoscenza di un altro dei Nelli campigliesi, Francesco, uno dei coraggiosi protagonisti locali della prima guerra d’Indipendenza. A seguire, Piero Cavicchi ripropone un “ritaglio” di giornale uscito nel 1879, nel quale si parla di quattro giovani ragazzi campigliesi che si distinsero per il loro ingegno e per la loro bravura, nonostante le umili condizioni delle rispettive famiglie d’origine. Una nuova rubrica, intitolata “Anagrafe storica” ci farà conoscere i nomi dei giovani che si sposarono nel 1899 e 1900 nella chiesa di Campiglia. Giovanna Panicucci ricorda i “bei tempi”, quando a Venturina si recitava per il piacere di stare insieme. Chiude il numero un’altra foto di classe presentataci da Francesca Peccianti.
Buona lettura a tutti.
Nel primo articolo si parla di un antico edificio religioso che si trovava in Caldana.
A due passi da via Vivaldi, lungo via del Bottaccio, a Venturina Terme, un po’ nascosti allo sguardo, giacciono i resti di quella che fu una chiesa romanica costruita più di mille anni fa. In pochi li conoscono, ma vale senz’altro la pena di andare a fare una bella passeggiata da quelle parti per riscoprire un luogo sacro del passato, del quale vi raccontiamo la storia.
Nel secondo articolo ci spostiamo nella Campiglia del 1765. è notte, un gruppo di uomini sta giocando a carte, ovviamente d’azzardo, in una bottega nella piazza del paese, quando, ad un certo punto, scoppia una rissa. Uno di loro è vittima di un agguato e viene accoltellato in modo piuttosto grave. Si teme per la sua vita, ma alla fine se la caverà. Lui si chiamava Lorenzo e, nel prossimo numero, vi racconteremo una storia incredibile della quale fu protagonista dopo essere scampato alla morte in quella movimentata notte d’estate di 255 anni fa.
Con il terzo contributo ci tuffiamo nuovamente nelle mappe del Catasto del 1821, alla scoperta dei luoghi compresi nelle carte di Montesolaio, Rivellino e Montepitti, per capire come fossero organizzati quei territori all’epoca di cui si parla. Lo faremo alla nostra maniera, con la precisione che ci contraddistingue: particella per particella, edificio per edificio.
Il quarto è un articolo molto interessante che ci racconta di come i quattro principali monumenti funebri presenti a Campiglia − quelli del re Vittorio Emanuele II, del generale Giuseppe Garibaldi e dei due illustri ed amati cittadini campigliesi Lorenzo Nelli e Pietro Paolo Portelli − siano stati realizzati ed inaugurati in un’unica occasione, nell’ottobre del 1886, non senza qualche difficoltà economica ed organizzativa.
Riagganciandosi in parte all’articolo precedente, la consueta ricerca genealogica riguarda proprio la famiglia Nelli, una delle più importanti dell’Ottocento campigliese, grazie all’onorevole avvocato citato in precedenza, ma anche ad altri membri di quella casata che si distinsero per il loro patriottismo e per le loro capacità umane e professionali.
Nello spazio dedicato alle nostre rubriche, Bruno Barsotti ci parla di suo nonno Stefano, mentre Piero Cavicchi ci svela l’origine dei toponimi presenti nella mappe trattate nel terzo articolo. Nella rubrica dedicata ai documenti, facciamo la conoscenza di un altro dei Nelli campigliesi, Francesco, uno dei coraggiosi protagonisti locali della prima guerra d’Indipendenza. A seguire, Piero Cavicchi ripropone un “ritaglio” di giornale uscito nel 1879, nel quale si parla di quattro giovani ragazzi campigliesi che si distinsero per il loro ingegno e per la loro bravura, nonostante le umili condizioni delle rispettive famiglie d’origine. Una nuova rubrica, intitolata “Anagrafe storica” ci farà conoscere i nomi dei giovani che si sposarono nel 1899 e 1900 nella chiesa di Campiglia. Giovanna Panicucci ricorda i “bei tempi”, quando a Venturina si recitava per il piacere di stare insieme. Chiude il numero un’altra foto di classe presentataci da Francesca Peccianti.
Buona lettura a tutti.
n. 34 (gennaio/febbraio 2020)
Cari amici lettori, l’articolo di copertina e di apertura di questo trentaquattresimo numero della nostra rivista è dedicato ad uno dei luoghi simbolo di Campiglia: la piazza principale del paese, la più grande tra quelle che si trovano all’interno delle mura. La piazza di Campiglia non è nata nel medioevo, come quelle di molti altri paesi storici, ma è il frutto di due interventi realizzati dalle autorità comunali in epoche diverse − nel Cinquecento e nell’Ottocento − demolendo una parte degli edifici che si affollavano in quel punto, ritenuto dai cittadini e dagli amministratori campigliesi strategico per la sua centralità. Vi raccontiamo come andarono le cose.
Nel secondo articolo, riportiamo alla luce un altro fatto criminale, avvenuto a Campiglia nel 1766, tratto dall’ormai famoso registro di cause sopravvissuto nell’archivio storico comunale. Questa volta, i protagonisti del fattaccio sono Angelo Moggia e Antonio Dini. L’oggetto della contesa − sfociata alla fine nella solita “cultellata” − fu una ricotta addentata a tradimento dal Moggia, nonostante il Dini glielo avesse proibito, dovendola consegnare al suo padrone. Riviviamo l’accaduto, nelle parole dei diretti interessati.
Il terzo contributo riguarda il consueto appuntamento con le carte del Catasto Toscano del 1821. Questa volta esploriamo i due fogli mappali relativi a “La Monaca e Ulceratico”, zone storicamente molto interessanti.
Nell’articolo che segue, ci occupiamo di una vicenda che, all’epoca, suscitò enorme scalpore in tutta Europa e che, incredibilmente, ha un legame con la nostra terra. Nello scorso numero della rivista, abbiamo raccontato la rissa scoppiata in una bettola della piazza di Campiglia, nel 1765, per colpa di una partita a carte. L’articolo si chiudeva con una promessa: “nel prossimo numero vi racconteremo chi era veramente Lorenzo Chiappini”, ovvero il doganiere campigliese accoltellato nel prosieguo della colluttazione scoppiata al tavolo da gioco. Abbiamo indagato e ne è uscita fuori una vicenda davvero incredibile: la storia di “Re Chiappini”.
Nel quinto articolo di questo numero, facciamo la conoscenza dei Bigi, una famiglia campigliese molto stimata nel secolo scorso, i cui componenti seppero distinguersi per l’onestà e la generosità del loro operato svolto in favore della collettività.
Passando al consueto appuntamento con le nostre rubriche, iniziamo con il ritratto di Clelia Citrigno, una ragazza di montagna che seppe entrare nel cuore rude dei maremmani, grazie alle sue grandi doti umane e alla sua estrema disponibilità nel momento del bisogno. Piero Cavicchi ci svela poi l’origine dei più interessanti toponimi presenti nelle mappe di cui abbiamo parlato in precedenza, per La Monaca e Ulceratico. A seguire, un importante documento che abbiamo scoperto recentemente nell’archivio comunale. Si tratta della concessione della cittadinanza campigliese fatta a Venturino da Populonia nel 1562, anno in cui, evidentemente, il “padre della patria” venturinese, si trasferì a Campiglia, lasciando il paese nel quale era nato e cresciuto. Ancora Piero Cavicchi, ci propone un ritaglio di giornale del 1900, relativo all’inaugurazione della bandiera dell’associazione monarchica campigliese. In chiusura, la storia del podere Santa Lucia e una stupenda foto di una classe venturinese del 1954, restaurata e ricolorata.
Buona lettura a tutti.
Nel secondo articolo, riportiamo alla luce un altro fatto criminale, avvenuto a Campiglia nel 1766, tratto dall’ormai famoso registro di cause sopravvissuto nell’archivio storico comunale. Questa volta, i protagonisti del fattaccio sono Angelo Moggia e Antonio Dini. L’oggetto della contesa − sfociata alla fine nella solita “cultellata” − fu una ricotta addentata a tradimento dal Moggia, nonostante il Dini glielo avesse proibito, dovendola consegnare al suo padrone. Riviviamo l’accaduto, nelle parole dei diretti interessati.
Il terzo contributo riguarda il consueto appuntamento con le carte del Catasto Toscano del 1821. Questa volta esploriamo i due fogli mappali relativi a “La Monaca e Ulceratico”, zone storicamente molto interessanti.
Nell’articolo che segue, ci occupiamo di una vicenda che, all’epoca, suscitò enorme scalpore in tutta Europa e che, incredibilmente, ha un legame con la nostra terra. Nello scorso numero della rivista, abbiamo raccontato la rissa scoppiata in una bettola della piazza di Campiglia, nel 1765, per colpa di una partita a carte. L’articolo si chiudeva con una promessa: “nel prossimo numero vi racconteremo chi era veramente Lorenzo Chiappini”, ovvero il doganiere campigliese accoltellato nel prosieguo della colluttazione scoppiata al tavolo da gioco. Abbiamo indagato e ne è uscita fuori una vicenda davvero incredibile: la storia di “Re Chiappini”.
Nel quinto articolo di questo numero, facciamo la conoscenza dei Bigi, una famiglia campigliese molto stimata nel secolo scorso, i cui componenti seppero distinguersi per l’onestà e la generosità del loro operato svolto in favore della collettività.
Passando al consueto appuntamento con le nostre rubriche, iniziamo con il ritratto di Clelia Citrigno, una ragazza di montagna che seppe entrare nel cuore rude dei maremmani, grazie alle sue grandi doti umane e alla sua estrema disponibilità nel momento del bisogno. Piero Cavicchi ci svela poi l’origine dei più interessanti toponimi presenti nelle mappe di cui abbiamo parlato in precedenza, per La Monaca e Ulceratico. A seguire, un importante documento che abbiamo scoperto recentemente nell’archivio comunale. Si tratta della concessione della cittadinanza campigliese fatta a Venturino da Populonia nel 1562, anno in cui, evidentemente, il “padre della patria” venturinese, si trasferì a Campiglia, lasciando il paese nel quale era nato e cresciuto. Ancora Piero Cavicchi, ci propone un ritaglio di giornale del 1900, relativo all’inaugurazione della bandiera dell’associazione monarchica campigliese. In chiusura, la storia del podere Santa Lucia e una stupenda foto di una classe venturinese del 1954, restaurata e ricolorata.
Buona lettura a tutti.
n. 35 (marzo/aprile 2020)
Cari amici lettori, questo trentacinquesimo numero della nostra rivista è dedicato in gran parte a fatti e immagini riguardanti le vicende del partito politico che, più di ogni altro, ha segnato la storia del nostro territorio nella seconda metà del Novecento: il Partito Comunista Italiano.
Nel primo articolo vi raccontiamo alcuni aneddoti della vita di quello che in molti definiscono il sindaco campigliese più amato di sempre: Aldo Montomoli. Il filo del racconto è tratto dal libro che il figlio Stelio scrisse nel 2002, in memoria del compianto padre, facendoci conoscere alcuni aspetti della sua vita privata che, se da un lato contribuiscono a mitizzarne ulteriormente la figura, dall’altro ne mettono a nudo la dimensione più umana e più autentica.
Il secondo articolo racconta la storia di due fratelli caldanesi, Enos ed Eros Cerrini, le cui vite vengono travolte dal ciclone della seconda guerra mondiale. Dopo lo sbando seguito all’armistizio e all’occupazione tedesca, i due ragazzi sono costretti a servire nell’esercito repubblichino. Enos però non ci sta e scappa. Si nasconde nel padule di Fucecchio che, di lì a poco, diventerà il teatro di una delle più atroci carneficine naziste, durante la quale perderà la vita anche il nostro giovane concittadino, al quale è intitolata una delle strade principali di Venturina Terme.
Nel terzo contributo, Gianfranco Benedettini, ricorda l’imponente manifestazione che ebbe luogo per le vie del paese il primo maggio del 1950. Quello non fu un primo maggio qualsiasi e nell’articolo si spiega il perché.
A seguire, una carrellata di vecchie foto, restaurate e ricolorate digitalmente, che ci mostrano la Festa dell’Unità del 1956, svoltasi in Caldana, dove oggi si trova la Gelateria Govi. Quel servizio fotografico, in gran parte inedito, ci restituisce uno spaccato di vita sociale e politica del nostro paese che altrimenti sarebbe andato perso.
Il quinto articolo è firmato da Gianfranco Benedettini e Luciano Nannini, che ci riportano agli anni d’oro della Venturina dei bar, dove i nostri giovani si ritrovavano quotidianamente a fare quattro chiacchiere, trascorrendo qualche ora di autentica spensieratezza. Gianfranco e Luciano frequentavano il Bar Sport e di quello ci parlano, rievocando storielle e aneddoti che oggi ci sembrano scene da film, ma che allora erano straordinariamente normali.
Poi, abbiamo il consueto spazio di genealogia. Questa volta, ricollegandoci al secondo articolo, ricostruiamo la storia dei Cerrini, una famiglia di antifascisti.
Per la rubrica dedicata alle persone, Neva Salvestrini ricorda suo nonno Eletto Bocelli, proprietario di uno storico caffè di Caldana.
Tocca ancora all’amico Gianfranco, che questa volta ci parla di una testata campigliese di inizio Novecento: La Riscossa, giornale dei socialisti locali, dal quale è tratto l’articolo riproposto da Piero Cavicchi, in cui si descrive una gita turistica a Campiglia nel 1910. Un documento storico ci riporta al 1564, quando i Campigliesi misero una donna a capo del loro ospedale, prendendosi una ramanzina dal vescovo.
E ancora, gli scontri tra fascisti e socialisti il primo maggio 1921 e la fuga della famiglia Benedettini durante il passaggio del fronte. Per finire, il consueto ricordo fotografico di Francesca Peccianti: un gruppo di caldanesi durante la nevicata del 1940.
Buona lettura a tutti.
Nel primo articolo vi raccontiamo alcuni aneddoti della vita di quello che in molti definiscono il sindaco campigliese più amato di sempre: Aldo Montomoli. Il filo del racconto è tratto dal libro che il figlio Stelio scrisse nel 2002, in memoria del compianto padre, facendoci conoscere alcuni aspetti della sua vita privata che, se da un lato contribuiscono a mitizzarne ulteriormente la figura, dall’altro ne mettono a nudo la dimensione più umana e più autentica.
Il secondo articolo racconta la storia di due fratelli caldanesi, Enos ed Eros Cerrini, le cui vite vengono travolte dal ciclone della seconda guerra mondiale. Dopo lo sbando seguito all’armistizio e all’occupazione tedesca, i due ragazzi sono costretti a servire nell’esercito repubblichino. Enos però non ci sta e scappa. Si nasconde nel padule di Fucecchio che, di lì a poco, diventerà il teatro di una delle più atroci carneficine naziste, durante la quale perderà la vita anche il nostro giovane concittadino, al quale è intitolata una delle strade principali di Venturina Terme.
Nel terzo contributo, Gianfranco Benedettini, ricorda l’imponente manifestazione che ebbe luogo per le vie del paese il primo maggio del 1950. Quello non fu un primo maggio qualsiasi e nell’articolo si spiega il perché.
A seguire, una carrellata di vecchie foto, restaurate e ricolorate digitalmente, che ci mostrano la Festa dell’Unità del 1956, svoltasi in Caldana, dove oggi si trova la Gelateria Govi. Quel servizio fotografico, in gran parte inedito, ci restituisce uno spaccato di vita sociale e politica del nostro paese che altrimenti sarebbe andato perso.
Il quinto articolo è firmato da Gianfranco Benedettini e Luciano Nannini, che ci riportano agli anni d’oro della Venturina dei bar, dove i nostri giovani si ritrovavano quotidianamente a fare quattro chiacchiere, trascorrendo qualche ora di autentica spensieratezza. Gianfranco e Luciano frequentavano il Bar Sport e di quello ci parlano, rievocando storielle e aneddoti che oggi ci sembrano scene da film, ma che allora erano straordinariamente normali.
Poi, abbiamo il consueto spazio di genealogia. Questa volta, ricollegandoci al secondo articolo, ricostruiamo la storia dei Cerrini, una famiglia di antifascisti.
Per la rubrica dedicata alle persone, Neva Salvestrini ricorda suo nonno Eletto Bocelli, proprietario di uno storico caffè di Caldana.
Tocca ancora all’amico Gianfranco, che questa volta ci parla di una testata campigliese di inizio Novecento: La Riscossa, giornale dei socialisti locali, dal quale è tratto l’articolo riproposto da Piero Cavicchi, in cui si descrive una gita turistica a Campiglia nel 1910. Un documento storico ci riporta al 1564, quando i Campigliesi misero una donna a capo del loro ospedale, prendendosi una ramanzina dal vescovo.
E ancora, gli scontri tra fascisti e socialisti il primo maggio 1921 e la fuga della famiglia Benedettini durante il passaggio del fronte. Per finire, il consueto ricordo fotografico di Francesca Peccianti: un gruppo di caldanesi durante la nevicata del 1940.
Buona lettura a tutti.
n. 36 (maggio/giugno 2020)
Cari amici lettori, questo trentaseiesimo numero rappresenta un altro piccolo traguardo per la nostra rivista, concludendo il sesto ciclo annuale di uscite bimestrali. Vi ringraziamo per averci accompagnati fin qui.Nel primo articolo parliamo di un argomento poco conosciuto: il vecchio ospedale che si trovava nel paese di Campiglia. Eretto nel medioevo, subito fuori dall’allora cinta muraria, fu più tardi inglobato all’interno delle mura e, nel 1790, rinnovato e trasferito pochi metri più in là. Nel 1850 fu realizzato un progetto per ampliare l’edificio, in modo da poter accogliere un numero maggiore di malati ma, alla fine, non se ne fece di nulla e si optò per una scelta più radicale e sicuramente migliore. Vi raccontiamo come andarono le cose.
Il secondo articolo riguarda, come di consueto, le mappe campigliesi del Catasto Toscano del 1821. Questa volta andiamo alla scoperta delle bellissime campagne intorno a Casalappi e Casalpiano.
Nel terzo contributo, affrontiamo un argomento che ci incuriosisce da sempre: la strada che passava sopra le sorgenti termali della Pulledraia è antica − e quindi romana − oppure si tratta di una deviazione medievale realizzata per aggirare un’area impaludatasi nei secoli bui? La domanda, per il momento, è destinata a rimanere senza una risposta definitiva, ma un paio di documenti ottocenteschi, che abbiamo recentemente rintracciato nell’archivio storico comunale e che vi presentiamo, ci aiutano a capire alcune cose.
L’articolo successivo ci riporta al tempo di papa Pio X, un periodo di tensioni e lotte sociali che coinvolsero, più o meno direttamente, anche la Chiesa. Campiglia, all’epoca, era una roccaforte anarco-socialista e il numero dei fedeli praticanti si era ridotto sensibilmente rispetto al passato. Il vescovo di allora si recò a visitare la parrocchia per constatare di persona la situazione. Di quei giorni è rimasto un diario puntuale che riportiamo fedelmente.
Come sempre poi ci occupiamo delle vicende genealogiche e storiche di una famiglia campigliese. Questa volta tocca ai Magnolfi, originari della provincia di Prato e arrivati a Campiglia sul finire degli anni Venti dell’Ottocento.
Il consueto spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con Iacopo Petrini che ci regala un ricordo di sua nonna Liana Bettini.
Tocca poi a Piero Cavicchi illustrarci l’origine storico-linguistica dei toponimi presenti nelle zone di Casalappi e Casalpiano.
Nella rubrica dedicata ai vecchi ritagli di giornale, rispolveriamo un paio di trafiletti pubblicati nel 1910 sul giornale campigliese La Riscossa, nei quali alcuni contribuenti locali si lamentano per la scarsa attenzione dimostrata dall’amministrazione comunale su certe questioni.
Gianfranco Benedettini ci fa conoscere poi un interessante documento colonico riguardante la famiglia Campigli, guarnendolo come al solito con un gustoso e delizioso contorno.
Il numero si chiude con una foto ricordo tirata fuori dal cassetto, rispolverata ma, soprattutto, ricolorata come piace a noi.
Buona lettura a tutti.
Il secondo articolo riguarda, come di consueto, le mappe campigliesi del Catasto Toscano del 1821. Questa volta andiamo alla scoperta delle bellissime campagne intorno a Casalappi e Casalpiano.
Nel terzo contributo, affrontiamo un argomento che ci incuriosisce da sempre: la strada che passava sopra le sorgenti termali della Pulledraia è antica − e quindi romana − oppure si tratta di una deviazione medievale realizzata per aggirare un’area impaludatasi nei secoli bui? La domanda, per il momento, è destinata a rimanere senza una risposta definitiva, ma un paio di documenti ottocenteschi, che abbiamo recentemente rintracciato nell’archivio storico comunale e che vi presentiamo, ci aiutano a capire alcune cose.
L’articolo successivo ci riporta al tempo di papa Pio X, un periodo di tensioni e lotte sociali che coinvolsero, più o meno direttamente, anche la Chiesa. Campiglia, all’epoca, era una roccaforte anarco-socialista e il numero dei fedeli praticanti si era ridotto sensibilmente rispetto al passato. Il vescovo di allora si recò a visitare la parrocchia per constatare di persona la situazione. Di quei giorni è rimasto un diario puntuale che riportiamo fedelmente.
Come sempre poi ci occupiamo delle vicende genealogiche e storiche di una famiglia campigliese. Questa volta tocca ai Magnolfi, originari della provincia di Prato e arrivati a Campiglia sul finire degli anni Venti dell’Ottocento.
Il consueto spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con Iacopo Petrini che ci regala un ricordo di sua nonna Liana Bettini.
Tocca poi a Piero Cavicchi illustrarci l’origine storico-linguistica dei toponimi presenti nelle zone di Casalappi e Casalpiano.
Nella rubrica dedicata ai vecchi ritagli di giornale, rispolveriamo un paio di trafiletti pubblicati nel 1910 sul giornale campigliese La Riscossa, nei quali alcuni contribuenti locali si lamentano per la scarsa attenzione dimostrata dall’amministrazione comunale su certe questioni.
Gianfranco Benedettini ci fa conoscere poi un interessante documento colonico riguardante la famiglia Campigli, guarnendolo come al solito con un gustoso e delizioso contorno.
Il numero si chiude con una foto ricordo tirata fuori dal cassetto, rispolverata ma, soprattutto, ricolorata come piace a noi.
Buona lettura a tutti.
n. 37 (luglio/agosto 2020)
Cari amici lettori, l’articolo di copertina di questa trentasettesima uscita della nostra rivista − che segna l’inizio del settimo anno insieme − è il frutto di un impegnativo lavoro di traduzione compiuto da Piero Cavicchi. Abbiamo rintracciato un preziosissimo testo del 1808, pubblicato da un certo Frisac, funzionario francese operante a Livorno, che parla del viaggio da lui compiuto nel territorio campigliese per visitare l’industria mineraria che all’epoca era posseduta dal “signor Ch.” e diretta dal suocero di quest’ultimo: il “signor A.” Grazie ad una ricerca incrociata, abbiamo scoperto che le due sigle, utilizzate da Frisac per questioni di privacy, corrispondono a Gaspero Chifenti, un parvenu livornese, e al còrso Bartolomeo Arena, la cui inimicizia con Napoleone Bonaparte costerà la vita al genero.
Nel secondo articolo, torna il consueto appuntamento con il Catasto Toscano del 1821. Questa volta ci occupiamo delle mappe delle campagne di Bandita e Acquaviva.
Il terzo contributo ci porta alla scoperta di tre edifici venturinesi risalenti agli anni Trenta, dei quali abbiamo ricostruito le origini andando a cercare le vecchie pratiche edilizie dell’epoca.
A seguire, un’interessante memoria scritta da Rinaldo Barani, che ci racconta la storia e i segreti del mulino della Pulledraia, che la sua famiglia ha gestito per molti anni, prima di cessare l’attività e trasformare l’immobile nel residence che ancora oggi porta il nome dell’antica fattoria.
Nel quinto articolo, ricostruiamo le vicende genealogiche della famiglia campigliese dei Venturi, pubblicando le foto di guerra di uno di loro, Costantino, impegnato, come molti altri nostri concittadini, prima nella guerra di Libia e poi nel conflitto mondiale. L’inedito materiale ci fu messo gentilmente a disposizione, qualche anno fa, dal nipote Bruno Venturi, recentemente scomparso e, per questo, ringraziamo la famiglia.
Nella prima delle nostre rubriche, Sara Berrighi, ricorda suo nonno Mario, stimato impresario edile venturinese degli anni d’oro del mattone. Poi, Piero Cavicchi, come sempre, ci spiega l’origine dei tanti nomi di luogo presenti nelle mappe del Catasto Toscano del 1821 di cui ci siamo occupati in questo numero. Per il consueto spazio dedicato agli storici ritagli di giornale, riproponiamo un articolo uscito su La Riscossa − l’ormai celebre periodico campigliese di inizio Novecento − il 16 ottobre 1910, che racconta la manifestazione tenutasi a Campiglia il 13 ottobre di quell’anno, in occasione del primo anniversario della morte dell’anarchico e pedagogista spagnolo Francisco Ferrer. Nello spazio delle “memorie”, Luciano Nannini e Gianfranco Benedettini, ci fanno rivivere l’atmosfera spensierata che si respirava durante la fiera del 26 agosto negli anni della loro gioventù.
Come al solito, chiudiamo con una foto ricordo − ripescata dall’archivio di Francesca Peccianti − di un’altra scolaresca venturinese, più recente di quelle a cui eravamo abituati ultimamente, ma altrettanto evocatrice; e questa volta ci siamo risparmiati la fatica di ricolorarla artificialmente.
Buona lettura a tutti.
Nel secondo articolo, torna il consueto appuntamento con il Catasto Toscano del 1821. Questa volta ci occupiamo delle mappe delle campagne di Bandita e Acquaviva.
Il terzo contributo ci porta alla scoperta di tre edifici venturinesi risalenti agli anni Trenta, dei quali abbiamo ricostruito le origini andando a cercare le vecchie pratiche edilizie dell’epoca.
A seguire, un’interessante memoria scritta da Rinaldo Barani, che ci racconta la storia e i segreti del mulino della Pulledraia, che la sua famiglia ha gestito per molti anni, prima di cessare l’attività e trasformare l’immobile nel residence che ancora oggi porta il nome dell’antica fattoria.
Nel quinto articolo, ricostruiamo le vicende genealogiche della famiglia campigliese dei Venturi, pubblicando le foto di guerra di uno di loro, Costantino, impegnato, come molti altri nostri concittadini, prima nella guerra di Libia e poi nel conflitto mondiale. L’inedito materiale ci fu messo gentilmente a disposizione, qualche anno fa, dal nipote Bruno Venturi, recentemente scomparso e, per questo, ringraziamo la famiglia.
Nella prima delle nostre rubriche, Sara Berrighi, ricorda suo nonno Mario, stimato impresario edile venturinese degli anni d’oro del mattone. Poi, Piero Cavicchi, come sempre, ci spiega l’origine dei tanti nomi di luogo presenti nelle mappe del Catasto Toscano del 1821 di cui ci siamo occupati in questo numero. Per il consueto spazio dedicato agli storici ritagli di giornale, riproponiamo un articolo uscito su La Riscossa − l’ormai celebre periodico campigliese di inizio Novecento − il 16 ottobre 1910, che racconta la manifestazione tenutasi a Campiglia il 13 ottobre di quell’anno, in occasione del primo anniversario della morte dell’anarchico e pedagogista spagnolo Francisco Ferrer. Nello spazio delle “memorie”, Luciano Nannini e Gianfranco Benedettini, ci fanno rivivere l’atmosfera spensierata che si respirava durante la fiera del 26 agosto negli anni della loro gioventù.
Come al solito, chiudiamo con una foto ricordo − ripescata dall’archivio di Francesca Peccianti − di un’altra scolaresca venturinese, più recente di quelle a cui eravamo abituati ultimamente, ma altrettanto evocatrice; e questa volta ci siamo risparmiati la fatica di ricolorarla artificialmente.
Buona lettura a tutti.
n. 38 (settembre/ottobre 2020)
Cari amici lettori, il trentottesimo numero della nostra rivista è dedicato in gran parte ad una ricerca inedita che abbiamo svolto di recente nell’archivio storico comunale. Si tratta di un’approfondita indagine sulla storia del territorio campigliese nel periodo napoleonico, durante il quale Campiglia fece parte dell’Impero francese.
Il numeroso materiale reperito durante le ricerche è stato raccolto in un libro curato da me e da Piero Cavicchi. Abbiamo voluto però dedicare un ampio spazio all’argomento anche sulla rivista, con un vero e proprio “speciale”, per far conoscere al pubblico gli avvenimenti che hanno segnato il passaggio tra la fine di un’epoca ormai lontana e l’inizio del mondo contemporaneo.
Nel secondo articolo, intraprenderemo il consueto viaggio tra le ingiallite mappe del Catasto di Campiglia del 1821, per andare alla scoperta della zona degli Affitti.
Il terzo contributo è un regalo che ci ha fatto l’amico Andrea Baldocchi, che ringraziamo di cuore. Il noto e stimato critico d’arte ci ha omaggiato di uno scritto che ripercorre le dolorose vicende di guerra di suo padre, il sergente maggiore Valentino Baldocchi, recentemente scomparso: un campigliese coraggioso, che ha saputo mantenere, anche nelle più terribili circostanze, l’umanità che lo ha sempre contraddistinto durante tutto il corso della sua lunga vita.
Passando poi alle rubriche, Paola Salvestrini ci descrive sua nonna, un’elegante ragazza caldanese: Marfisa Bocelli.
Nello spazio dedicato alla spiegazione degli antichi nomi di luogo del nostro comune, Piero Cavicchi si occupa di quelli presenti agli Affitti e dintorni.
Ritiriamo poi fuori dal cassetto un ritaglio di giornale, vecchio quasi duecento anni, che ci fa la cronaca della celebrazione svoltasi a Campiglia nel 1824 per ricordare lo scomparso granduca Ferdinando III.
A seguire, il nostro carissimo amico e attento lettore Littoriano Nencini ci delizia con un’autentica chicca conservata nel suo personale e prezioso “archivio della memoria”, raccontandoci di come − con una sensibilità davvero eccezionale − sia riuscito a salvare un pezzo di storia della nostra comunità, mettendo in pratica una delle sue geniali trovate.
Un altra “memoria” ce la regala Luciano Nannini, che ritorna indietro con i ricordi agli anni della sua fanciullezza, quando la vendemmia aveva ancora un sapore familiare e, tra i filari, risuonava il vocìo dei bambini intenti ad aiutare i grandi.
Vi presentiamo poi un documento molto interessante e attualissimo, nel quale il sindaco della Campiglia di due secoli fa invita i genitori a vaccinare i propri figli contro una terribile malattia, il vaiolo, facendoci riflettere sull’importanza di certe scelte e sulle conseguenze che ne possono derivare per le vite dei nostri cari.
Concludiamo con la consueta foto ricordo che, questa volta, riguarda una classe che conosco molto bene. Un grazie alla compagna Angela Lorenzini per averla condivisa e alla maestra Rosi Butelli che ci ha aiutato a riconoscere i nomi dei suoi ex alunni.
Buona lettura a tutti.
Il numeroso materiale reperito durante le ricerche è stato raccolto in un libro curato da me e da Piero Cavicchi. Abbiamo voluto però dedicare un ampio spazio all’argomento anche sulla rivista, con un vero e proprio “speciale”, per far conoscere al pubblico gli avvenimenti che hanno segnato il passaggio tra la fine di un’epoca ormai lontana e l’inizio del mondo contemporaneo.
Nel secondo articolo, intraprenderemo il consueto viaggio tra le ingiallite mappe del Catasto di Campiglia del 1821, per andare alla scoperta della zona degli Affitti.
Il terzo contributo è un regalo che ci ha fatto l’amico Andrea Baldocchi, che ringraziamo di cuore. Il noto e stimato critico d’arte ci ha omaggiato di uno scritto che ripercorre le dolorose vicende di guerra di suo padre, il sergente maggiore Valentino Baldocchi, recentemente scomparso: un campigliese coraggioso, che ha saputo mantenere, anche nelle più terribili circostanze, l’umanità che lo ha sempre contraddistinto durante tutto il corso della sua lunga vita.
Passando poi alle rubriche, Paola Salvestrini ci descrive sua nonna, un’elegante ragazza caldanese: Marfisa Bocelli.
Nello spazio dedicato alla spiegazione degli antichi nomi di luogo del nostro comune, Piero Cavicchi si occupa di quelli presenti agli Affitti e dintorni.
Ritiriamo poi fuori dal cassetto un ritaglio di giornale, vecchio quasi duecento anni, che ci fa la cronaca della celebrazione svoltasi a Campiglia nel 1824 per ricordare lo scomparso granduca Ferdinando III.
A seguire, il nostro carissimo amico e attento lettore Littoriano Nencini ci delizia con un’autentica chicca conservata nel suo personale e prezioso “archivio della memoria”, raccontandoci di come − con una sensibilità davvero eccezionale − sia riuscito a salvare un pezzo di storia della nostra comunità, mettendo in pratica una delle sue geniali trovate.
Un altra “memoria” ce la regala Luciano Nannini, che ritorna indietro con i ricordi agli anni della sua fanciullezza, quando la vendemmia aveva ancora un sapore familiare e, tra i filari, risuonava il vocìo dei bambini intenti ad aiutare i grandi.
Vi presentiamo poi un documento molto interessante e attualissimo, nel quale il sindaco della Campiglia di due secoli fa invita i genitori a vaccinare i propri figli contro una terribile malattia, il vaiolo, facendoci riflettere sull’importanza di certe scelte e sulle conseguenze che ne possono derivare per le vite dei nostri cari.
Concludiamo con la consueta foto ricordo che, questa volta, riguarda una classe che conosco molto bene. Un grazie alla compagna Angela Lorenzini per averla condivisa e alla maestra Rosi Butelli che ci ha aiutato a riconoscere i nomi dei suoi ex alunni.
Buona lettura a tutti.
n. 39 (NOVembre/DICEMbre 2020)
Cari amici lettori, il trentanovesimo numero della nostra rivista si apre con la seconda parte dell’inchiesta sulla Campiglia napoleonica.
Le nuove norme introdotte dal governo imperiale in molti ambiti della vita economica e sociale provocarono forme di resistenza passiva, soprattutto da parte dei commercianti del paese, che non volevano saperne di uniformarsi al nuovo sistema dei pesi e delle misure e si rifiutavano testardamente di applicare i prezzi imposti dal Comune e le norme igienico-sanitarie previste dalla legge. In questo scenario di tensioni sociali, si svolge la tragica vicenda di “Guerrino”, il bandito “della Venturina”, braccato e, alla fine, ucciso dagli scagnozzi dell’intransigente Giudice di Pace campigliese, il quale tenterà con ogni mezzo di far scagionare le sue guardie dall’accusa di omicidio.
Il secondo articolo racconta un fatto criminoso accaduto nell’estate del 1766. Alcuni uomini di Sassetta, mentre si trovano a lavorare in territorio campigliese, decidono di andare a pescare nella “pescina” dei Pratacci, uno stagno stretto e lungo situato di fronte alla Torraccia, tra il Lago di Rimigliano e la spiaggia. Un altro sassetano però li tiene d’occhio e, non appena gli incauti compaesani si allontanano, ne approfitta per prendere tutti i pesci, lasciandoli a mani vuote. La vendetta dei buggerati non si farà attendere e, per un pelo, non ci scapperà il morto.
Nel terzo contributo proseguiamo il nostro consueto viaggio tra le mappe del Catasto di Campiglia del 1821, questa volta andando a visitare le zone delle Lavoriere e delle Coltie.
Nel quarto articolo, la giovane archeologa Brunella Berzellini analizza il testo di una lapide ritrovata per caso una decina di anni fa nei pressi di un’abitazione privata al Cafaggio. L’epigrafe in questione parla di una chiesa e, probabilmente, ha a che fare con l’antica e misteriosa pieve che esisteva da quelle parti e che servì da fonte battesimale prima che venisse costruita la chiesa di San Giovanni a Campiglia.
La famiglia che vi presentiamo in questo numero è quella dei Guidi di Campiglia, dei quali ci eravamo già occupati in un precedente numero. Ci torniamo sopra perché, nel frattempo, sono emerse alcune importanti novità riguardo alle origini di questo casato, uno dei più antichi del paese, tra quelli ancora esistenti.
Fausto Pettinelli, nella rubrica dedicata alle persone, ci parla di sua nonna Maria Luigia Crecchi. Piero Cavicchi invece, come al solito, ci spiega l’origine dei toponimi menzionati nelle mappe storiche del Catasto di cui ci siamo occupati in questo numero.
Littoriano Nencini rinnova l’epopea dei cipressi della Canala, con un’altra favola romantica ed una creazione artistica realizzata con le sue mani ma, soprattutto, con il cuore.
Vi parliamo poi di una recentissima scoperta, avvenuta per caso all’interno del palazzo comunale: una maschera mostruosa della quale, forse, abbiamo capito la provenienza. Chiude questo numero la foto ricordo ripescata da Francesca Peccianti che, questa volta, riguarda una prima elementare venturinese dell’anno scolastico 1978/79.
Buona lettura a tutti.
Le nuove norme introdotte dal governo imperiale in molti ambiti della vita economica e sociale provocarono forme di resistenza passiva, soprattutto da parte dei commercianti del paese, che non volevano saperne di uniformarsi al nuovo sistema dei pesi e delle misure e si rifiutavano testardamente di applicare i prezzi imposti dal Comune e le norme igienico-sanitarie previste dalla legge. In questo scenario di tensioni sociali, si svolge la tragica vicenda di “Guerrino”, il bandito “della Venturina”, braccato e, alla fine, ucciso dagli scagnozzi dell’intransigente Giudice di Pace campigliese, il quale tenterà con ogni mezzo di far scagionare le sue guardie dall’accusa di omicidio.
Il secondo articolo racconta un fatto criminoso accaduto nell’estate del 1766. Alcuni uomini di Sassetta, mentre si trovano a lavorare in territorio campigliese, decidono di andare a pescare nella “pescina” dei Pratacci, uno stagno stretto e lungo situato di fronte alla Torraccia, tra il Lago di Rimigliano e la spiaggia. Un altro sassetano però li tiene d’occhio e, non appena gli incauti compaesani si allontanano, ne approfitta per prendere tutti i pesci, lasciandoli a mani vuote. La vendetta dei buggerati non si farà attendere e, per un pelo, non ci scapperà il morto.
Nel terzo contributo proseguiamo il nostro consueto viaggio tra le mappe del Catasto di Campiglia del 1821, questa volta andando a visitare le zone delle Lavoriere e delle Coltie.
Nel quarto articolo, la giovane archeologa Brunella Berzellini analizza il testo di una lapide ritrovata per caso una decina di anni fa nei pressi di un’abitazione privata al Cafaggio. L’epigrafe in questione parla di una chiesa e, probabilmente, ha a che fare con l’antica e misteriosa pieve che esisteva da quelle parti e che servì da fonte battesimale prima che venisse costruita la chiesa di San Giovanni a Campiglia.
La famiglia che vi presentiamo in questo numero è quella dei Guidi di Campiglia, dei quali ci eravamo già occupati in un precedente numero. Ci torniamo sopra perché, nel frattempo, sono emerse alcune importanti novità riguardo alle origini di questo casato, uno dei più antichi del paese, tra quelli ancora esistenti.
Fausto Pettinelli, nella rubrica dedicata alle persone, ci parla di sua nonna Maria Luigia Crecchi. Piero Cavicchi invece, come al solito, ci spiega l’origine dei toponimi menzionati nelle mappe storiche del Catasto di cui ci siamo occupati in questo numero.
Littoriano Nencini rinnova l’epopea dei cipressi della Canala, con un’altra favola romantica ed una creazione artistica realizzata con le sue mani ma, soprattutto, con il cuore.
Vi parliamo poi di una recentissima scoperta, avvenuta per caso all’interno del palazzo comunale: una maschera mostruosa della quale, forse, abbiamo capito la provenienza. Chiude questo numero la foto ricordo ripescata da Francesca Peccianti che, questa volta, riguarda una prima elementare venturinese dell’anno scolastico 1978/79.
Buona lettura a tutti.
n. 40 (gennaio/febbraio 2021)
Cari amici lettori, un altro importante traguardo è stato raggiunto: la nostra rivista tocca quota 40, un numero bello tondo che ci inorgoglisce e ci spinge a proseguire questo viaggio con rinnovato entusiasmo.
Nel primo articolo, quello al quale abbiamo dedicato la copertina, vi raccontiamo la storia dei “lanzi” di Campiglia, appellativo usato dai nostri antenati per indicare gli stranieri di lingua tedesca. In questo caso non si parla dei feroci lanzichenecchi di manzoniana memoria, ma dei migliori minatori in circolazione nell’Europa dell’epoca. Alla metà del Cinquecento, Il duca di Firenze, Cosimo I de’ Medici − che proprio in quegli anni, in un colpo solo, raddoppierà il suo Stato, insignorendosi della tanto bramata Repubblica di Siena, al termine di una guerra sanguinosa e fratricida − ingaggiò una squadra selezionatissima di cavatori germanici per riaprire le miniere di Campiglia, dopo due secoli di oblio. Alla fine, i risultati non furono all’altezza delle aspettative, ma questa avventura fu talmente entusiasmante che il nome dei mitici “lanzi” è rimasto legato per sempre a quei luoghi e alla nostra storia.
Il secondo articolo ci parla di un ragazzo suveretano, di nome Lido Micaelli, che fin da bambino coltivava un sogno: “realizzarsi” e diventare un commerciante di successo. Grazie ad una straordinaria forza di volontà e all’eccezionale spirito di sacrificio, Lido riuscirà a superare, uno dopo l’altro, con coraggio e una sana dose di incoscienza, gli ostacoli che gli si presenteranno davanti.
Nel terzo contributo, continuiamo il nostro tour tra le antiche mappe del Catasto Toscano del 1821, sconfinando, questa volta, nel comune di San Vincenzo, per esplorare la zona del Lago di Rimigliano e degli Scopicci.
Il quarto articolo ricostruisce le principali vicende storiche e genealogiche della famiglia Bacci di Campiglia, con un particolare riferimento alla graziosa cappella gentilizia fatta costruire nel 1915, dall’avvocato Giovanni Bacci, ex sindaco di Campiglia, per servire da eterna dimora ai suoi cari.
Nello spazio dedicato alle nostre rubriche, Marilena Teglia tratteggia, con amore, la figura di suo nonno, Umberto Ciompi.
A seguire, l’interessantissima e illuminante spiegazione sull’origine dei toponimi ottocenteschi nostrani alla quale Piero Cavicchi ci ha abituati. Vi presentiamo poi il contenuto di un documento che ci restituisce la cronaca dell’arresto, avvenuto nelle campagne del Cafaggio, da parte di due guardie dai modi tutt’altro che gentili, ai danni di un settecentesco cacciatore sprovvisto di porto d’armi.
In un ritaglio di giornale del 1915, i contadini di Venturina delineano un per niente lusinghiero ritratto del loro nemico numero uno: l’odiatissimo fattore, diabolico aguzzino del padrone. Dedichiamo poi la rubrica delle “scoperte” al ritrovamento, nell’archivio comunale, di un importante documento che testimonia l’esistenza del toponimo “la Venturina” già nel 1605, a pochi anni dalla morte di Venturino da Populonia.
Chiudiamo con la solita foto ricordo, ripescata nei nostri archivi da Francesca Peccianti che, questa volta, ci propone una quinta elementare del 1976, ricolorata per l’occasione, nella quale alcuni di voi si riconosceranno.
Buona lettura a tutti.
Nel primo articolo, quello al quale abbiamo dedicato la copertina, vi raccontiamo la storia dei “lanzi” di Campiglia, appellativo usato dai nostri antenati per indicare gli stranieri di lingua tedesca. In questo caso non si parla dei feroci lanzichenecchi di manzoniana memoria, ma dei migliori minatori in circolazione nell’Europa dell’epoca. Alla metà del Cinquecento, Il duca di Firenze, Cosimo I de’ Medici − che proprio in quegli anni, in un colpo solo, raddoppierà il suo Stato, insignorendosi della tanto bramata Repubblica di Siena, al termine di una guerra sanguinosa e fratricida − ingaggiò una squadra selezionatissima di cavatori germanici per riaprire le miniere di Campiglia, dopo due secoli di oblio. Alla fine, i risultati non furono all’altezza delle aspettative, ma questa avventura fu talmente entusiasmante che il nome dei mitici “lanzi” è rimasto legato per sempre a quei luoghi e alla nostra storia.
Il secondo articolo ci parla di un ragazzo suveretano, di nome Lido Micaelli, che fin da bambino coltivava un sogno: “realizzarsi” e diventare un commerciante di successo. Grazie ad una straordinaria forza di volontà e all’eccezionale spirito di sacrificio, Lido riuscirà a superare, uno dopo l’altro, con coraggio e una sana dose di incoscienza, gli ostacoli che gli si presenteranno davanti.
Nel terzo contributo, continuiamo il nostro tour tra le antiche mappe del Catasto Toscano del 1821, sconfinando, questa volta, nel comune di San Vincenzo, per esplorare la zona del Lago di Rimigliano e degli Scopicci.
Il quarto articolo ricostruisce le principali vicende storiche e genealogiche della famiglia Bacci di Campiglia, con un particolare riferimento alla graziosa cappella gentilizia fatta costruire nel 1915, dall’avvocato Giovanni Bacci, ex sindaco di Campiglia, per servire da eterna dimora ai suoi cari.
Nello spazio dedicato alle nostre rubriche, Marilena Teglia tratteggia, con amore, la figura di suo nonno, Umberto Ciompi.
A seguire, l’interessantissima e illuminante spiegazione sull’origine dei toponimi ottocenteschi nostrani alla quale Piero Cavicchi ci ha abituati. Vi presentiamo poi il contenuto di un documento che ci restituisce la cronaca dell’arresto, avvenuto nelle campagne del Cafaggio, da parte di due guardie dai modi tutt’altro che gentili, ai danni di un settecentesco cacciatore sprovvisto di porto d’armi.
In un ritaglio di giornale del 1915, i contadini di Venturina delineano un per niente lusinghiero ritratto del loro nemico numero uno: l’odiatissimo fattore, diabolico aguzzino del padrone. Dedichiamo poi la rubrica delle “scoperte” al ritrovamento, nell’archivio comunale, di un importante documento che testimonia l’esistenza del toponimo “la Venturina” già nel 1605, a pochi anni dalla morte di Venturino da Populonia.
Chiudiamo con la solita foto ricordo, ripescata nei nostri archivi da Francesca Peccianti che, questa volta, ci propone una quinta elementare del 1976, ricolorata per l’occasione, nella quale alcuni di voi si riconosceranno.
Buona lettura a tutti.
n. 41 (marzo/aprile 2021)
Cari amici lettori, in apertura di questo quarantunesimo numero della nostra rivista, vi presentiamo il frutto di una straordinaria scoperta.
Per secoli gli storici e gli archeologi hanno cercato invano le Aquae Populoniae, le antiche Terme di Populonia, la cui esistenza è testimoniata dalla Tabula Peutingeriana, una specie di mappa turistica di epoca romana tramandataci, con qualche errore di copiatura, dagli amanuensi medievali.
In molti hanno trattato l’argomento, senza mai arrivare a conclusioni certe sull’esatta localizzazione del sito. Mancava una prova concreta che andasse al di là del semplice ragionamento deduttivo.
In passato, anche a me è capitato di occuparmi della questione, facendo ricerche sulle fonti storiche e sulle mappe antiche e moderne. Nelle ultime settimane, c’è stata una svolta improvvisa che mi ha portato ad individuare, su un’immagine satellitare, dei segni in un terreno che non sembrano lasciare dubbi riguardo alla loro antichità.
Solo il tempo ci dirà se davvero, là sotto, si nascondono i resti delle antiche Aquae Populoniae. Noi crediamo di sì.
Nel secondo articolo, vi raccontiamo la storia di un personaggio, quasi del tutto sconosciuto, la cui sfortunata vicenda personale si intreccia con quella del nostro territorio. Antonio Magrini, soprannominato “Basilocco”, era un ragazzo di Monticiano che aveva trovato lavoro come operaio all’Etruscan Mines, la società inglese che, agli inizi del Novecento, aveva riaperto le miniere di Campiglia. Sullo sfondo delle aspre lotte sindacali dell’epoca, il giovane si rese protagonista di un delitto che lo costrinse a nascondersi nei boschi per evitare la galera. Non gli rimase altro da fare che improvvisarsi brigante e, per campare, rapinare i ricchi padroni.
Nel terzo contributo, scopriamo come va a finire l’avventura del mercante di ferro, Lido Micaelli, l’intraprendente suveretano che, dopo essersi trasferito a Venturina, riuscì a fare fortuna grazie alle sue straordinarie intuizioni e al grande fiuto per gli affari.
Nel consueto articolo dedicato al Catasto Toscano del 1821, questa volta ci occupiamo della sezione K, riguardante le zone della Pulledraia e del Mulinaccio, un’area molto interessante.
A seguire, l’articolo genealogico che, in questo numero, analizza le principali linee di discendenza della famiglia Guasconi di Campiglia.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con il ricordo di Irma Bertuzzi, tratteggiato dalla nipote Anna Paola Bertucci. Dopodiché, Piero Cavicchi ci spiega l’origine dei toponimi presenti nelle mappe del Catasto Toscano di cui abbiamo parlato.
Un documento conservato nell’archivio storico comunale ci parla della richiesta di due trasportatori campigliesi che, nell’Ottocento, si proposero di migliorare il servizio passeggeri dal paese alla Stazione di Campiglia, che ancora si chiamava “di Cornia”. Passiamo poi ad occuparci di un edificio del Cafaggio fatto costruire, alla fine degli anni ‘20, dal fabbro locale, l’antenato dei Martini di Venturina. Ripeschiamo poi un ritaglio di giornale dell’epoca che descrive la solenne inaugurazione dell’Etruscan Mines, avvenuta il 27 maggio 1903. Come al solito, chiudiamo con una foto ricordo, di una classe del 1947, riproposta da Francesca Peccianti, in versione ricolorata.
Buona lettura a tutti.
Per secoli gli storici e gli archeologi hanno cercato invano le Aquae Populoniae, le antiche Terme di Populonia, la cui esistenza è testimoniata dalla Tabula Peutingeriana, una specie di mappa turistica di epoca romana tramandataci, con qualche errore di copiatura, dagli amanuensi medievali.
In molti hanno trattato l’argomento, senza mai arrivare a conclusioni certe sull’esatta localizzazione del sito. Mancava una prova concreta che andasse al di là del semplice ragionamento deduttivo.
In passato, anche a me è capitato di occuparmi della questione, facendo ricerche sulle fonti storiche e sulle mappe antiche e moderne. Nelle ultime settimane, c’è stata una svolta improvvisa che mi ha portato ad individuare, su un’immagine satellitare, dei segni in un terreno che non sembrano lasciare dubbi riguardo alla loro antichità.
Solo il tempo ci dirà se davvero, là sotto, si nascondono i resti delle antiche Aquae Populoniae. Noi crediamo di sì.
Nel secondo articolo, vi raccontiamo la storia di un personaggio, quasi del tutto sconosciuto, la cui sfortunata vicenda personale si intreccia con quella del nostro territorio. Antonio Magrini, soprannominato “Basilocco”, era un ragazzo di Monticiano che aveva trovato lavoro come operaio all’Etruscan Mines, la società inglese che, agli inizi del Novecento, aveva riaperto le miniere di Campiglia. Sullo sfondo delle aspre lotte sindacali dell’epoca, il giovane si rese protagonista di un delitto che lo costrinse a nascondersi nei boschi per evitare la galera. Non gli rimase altro da fare che improvvisarsi brigante e, per campare, rapinare i ricchi padroni.
Nel terzo contributo, scopriamo come va a finire l’avventura del mercante di ferro, Lido Micaelli, l’intraprendente suveretano che, dopo essersi trasferito a Venturina, riuscì a fare fortuna grazie alle sue straordinarie intuizioni e al grande fiuto per gli affari.
Nel consueto articolo dedicato al Catasto Toscano del 1821, questa volta ci occupiamo della sezione K, riguardante le zone della Pulledraia e del Mulinaccio, un’area molto interessante.
A seguire, l’articolo genealogico che, in questo numero, analizza le principali linee di discendenza della famiglia Guasconi di Campiglia.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con il ricordo di Irma Bertuzzi, tratteggiato dalla nipote Anna Paola Bertucci. Dopodiché, Piero Cavicchi ci spiega l’origine dei toponimi presenti nelle mappe del Catasto Toscano di cui abbiamo parlato.
Un documento conservato nell’archivio storico comunale ci parla della richiesta di due trasportatori campigliesi che, nell’Ottocento, si proposero di migliorare il servizio passeggeri dal paese alla Stazione di Campiglia, che ancora si chiamava “di Cornia”. Passiamo poi ad occuparci di un edificio del Cafaggio fatto costruire, alla fine degli anni ‘20, dal fabbro locale, l’antenato dei Martini di Venturina. Ripeschiamo poi un ritaglio di giornale dell’epoca che descrive la solenne inaugurazione dell’Etruscan Mines, avvenuta il 27 maggio 1903. Come al solito, chiudiamo con una foto ricordo, di una classe del 1947, riproposta da Francesca Peccianti, in versione ricolorata.
Buona lettura a tutti.
n. 42 (maggio/giugno 2021)
Cari amici lettori, con il quarantaduesimo numero della nostra rivista si conclude il settimo ciclo annuale di uscite, un altro importante traguardo.Nel primo articolo vi presentiamo il frutto di una ricerca d’archivio che ci ha permesso di fare finalmente luce sulla storia, fino ad ora sconosciuta, di un suggestivo tassello del nostro paesaggio. Stiamo parlando delle imponenti e romantiche arcate dell’acquedotto che da Capattoli arriva alle porte del paese di Campiglia. Sul web si trovano informazioni fuorvianti ed errate: c’è chi lo definisce “acquedotto lorenese” − per analogia con altre strutture apparentemente simili risalenti al periodo granducale − e chi, addirittura, lo spaccia per un’opera realizzata dagli antichi romani! La realtà è un’altra e ve la raccontiamo noi.
Il secondo contributo è la cronaca di un processo tenutosi, nel 1805, nel tribunale di Palazzo pretorio. Siamo in tempo di vendemmia e un gruppo di donne campigliesi, dopo aver trascorso la giornata a lavorare nelle vigne del Cafaggio, sta rientrando a piedi in paese a tarda sera. Tutto sembra tranquillo ma, all’improvviso, una di loro, per futili motivi, si ritrova coinvolta in un litigio con tre giovani uomini. In pochi istanti, il corpo della povera Caterina giacerà privo di vita sul bordo della strada. Cercheremo di far luce sulla dinamica di questo misterioso giallo.
Nel terzo articolo ci occupiamo, come di consueto, del Catasto Toscano del 1821 e, in particolare, della zona di Caldana. Si tratta di una mappa davvero molto interessante che ci offre la possibilità di tratteggiare con precisione l’aspetto di quella parte di campagna per come doveva apparire due secoli fa.
A seguire, un articolo estremamente toccante di Piero Cavicchi ci farà conoscere la straziante storia del partigiano venturinese Elio Pietrelli, un ragazzo bello e pieno di vita, che non si piegò alla prepotenza nazifascista e decise di combattere i nemici della libertà. La memoria di Elio Pietrelli, nome di battaglia “Wolmer”, oltre che col nome di una via, è stata eternata da una canzone che suo padre Fiore, annientato dal dolore, volle dedicare a quel figlio tanto amato che ebbe il coraggio di sacrificare la propria esistenza per il bene di tutti.
Vi presentiamo poi un articolo dedicato al maestro elementare Carlo Ricci, un distinto uomo di Cultura che, subito dopo l’Unità d’Italia, si dedicò con grande passione e bravura all’istruzione del popolo, insegnando a grandi e piccini e ponendo le basi per la nascita di una biblioteca comunale a Campiglia.
Nella rubrica dedicata alle persone, Lucia Favilli condivide con noi il ricordo di suo nonno Angiolo Corsi, conosciuto da tutti come “Ruffo”. Piero Cavicchi ci spiega, come al solito, l’origine dei nomi dei nostri luoghi, soffermandosi sui toponimi di Caldana.
La piazzetta del Teatro Concordi è l’oggetto dello spazio riservato ai più curiosi documenti d’archivio. A seguire, Littoriano Nencini ci regala una delle sue preziose memorie, rievocando il passaggio della Mille Miglia a Venturina nel lontano 1947. Concludiamo con due fotografie: la prima ritrae un gruppo di reduci garibaldini campigliesi che ora, grazie ad Anna Maria Scaramuzzino, hanno finalmente un nome; l’altra è una seconda elementare maschile venturinese, del 1958, restaurata e ricolorata per l’occasione.
Buona lettura a tutti.
Il secondo contributo è la cronaca di un processo tenutosi, nel 1805, nel tribunale di Palazzo pretorio. Siamo in tempo di vendemmia e un gruppo di donne campigliesi, dopo aver trascorso la giornata a lavorare nelle vigne del Cafaggio, sta rientrando a piedi in paese a tarda sera. Tutto sembra tranquillo ma, all’improvviso, una di loro, per futili motivi, si ritrova coinvolta in un litigio con tre giovani uomini. In pochi istanti, il corpo della povera Caterina giacerà privo di vita sul bordo della strada. Cercheremo di far luce sulla dinamica di questo misterioso giallo.
Nel terzo articolo ci occupiamo, come di consueto, del Catasto Toscano del 1821 e, in particolare, della zona di Caldana. Si tratta di una mappa davvero molto interessante che ci offre la possibilità di tratteggiare con precisione l’aspetto di quella parte di campagna per come doveva apparire due secoli fa.
A seguire, un articolo estremamente toccante di Piero Cavicchi ci farà conoscere la straziante storia del partigiano venturinese Elio Pietrelli, un ragazzo bello e pieno di vita, che non si piegò alla prepotenza nazifascista e decise di combattere i nemici della libertà. La memoria di Elio Pietrelli, nome di battaglia “Wolmer”, oltre che col nome di una via, è stata eternata da una canzone che suo padre Fiore, annientato dal dolore, volle dedicare a quel figlio tanto amato che ebbe il coraggio di sacrificare la propria esistenza per il bene di tutti.
Vi presentiamo poi un articolo dedicato al maestro elementare Carlo Ricci, un distinto uomo di Cultura che, subito dopo l’Unità d’Italia, si dedicò con grande passione e bravura all’istruzione del popolo, insegnando a grandi e piccini e ponendo le basi per la nascita di una biblioteca comunale a Campiglia.
Nella rubrica dedicata alle persone, Lucia Favilli condivide con noi il ricordo di suo nonno Angiolo Corsi, conosciuto da tutti come “Ruffo”. Piero Cavicchi ci spiega, come al solito, l’origine dei nomi dei nostri luoghi, soffermandosi sui toponimi di Caldana.
La piazzetta del Teatro Concordi è l’oggetto dello spazio riservato ai più curiosi documenti d’archivio. A seguire, Littoriano Nencini ci regala una delle sue preziose memorie, rievocando il passaggio della Mille Miglia a Venturina nel lontano 1947. Concludiamo con due fotografie: la prima ritrae un gruppo di reduci garibaldini campigliesi che ora, grazie ad Anna Maria Scaramuzzino, hanno finalmente un nome; l’altra è una seconda elementare maschile venturinese, del 1958, restaurata e ricolorata per l’occasione.
Buona lettura a tutti.
n. 43 (luglio/agosto 2021)
Cari amici lettori, con questo 43° numero della nostra rivista, si apre l’ottava stagione insieme. Per festeggiare l’occasione, abbiamo rinnovato la grafica e l’impaginazione, sperando che sia di vostro gradimento.
Nel primo articolo vi presentiamo un’incredibile vicenda accaduta a Campiglia nel 1890 e assurta agli onori delle cronache nazionali. Una casa stregata dove accadono fenomeni molto strani, che il proprietario è convinto celino un qualche tipo di arcano messaggio da parte dell’inquieto fantasma della defunta moglie.
La seconda storia che vi raccontiamo riguarda un furto avvenuto a Sassetta nel 1800. Uno dei due proprietari del cacio si rivolge al giudice del tribunale di Campiglia nella speranza di recuperare il prezioso maltolto e vedere punito il colpevole.
A seguire, l’ultimo appuntamento con le mappe del Catasto Toscano del 1821. Questa volta vi portiamo alla scoperta di Monte Valerio e Acqua Viva.
Il quarto articolo ci fa conoscere uno dei più apprezzati medici di Campiglia: il conte marchigiano Giuseppe Marsili. Proveniva da una famiglia di nobili caduti in disgrazia, morì contraendo una malattia incurabile durante il suo servizio.
Nel consueto articolo riservato alla storia genealogica delle famiglie campigliesi, questa volta ci occupiamo di una genìa campigliese originaria della provincia di Lucca: i Finucci.
Si rinnova anche lo spazio dedicato alle rubriche, che si apre con Piero Cavicchi che ci spiega l’origine dei toponimi presenti nelle mappe catastali di cui ci siamo occupati nel terzo articolo.
Simona Tosi ricorda con amore la figura della nonna: Bussottina Bussotti, regalandoci un aneddoto legato all’infanzia di lei.
Gianpiero Vaccaro ci riporta indietro al 1943, per farci conoscere lo stato d’animo di un gruppo di giovani soldati, in marcia da Venturina a Piombino, che assaporavano la fine della guerra, mentre invece i Tedeschi già cercavano vendetta. Era il 10 settembre, giorno della celebre Battaglia di Piombino.
Continua poi Arrigo Gori, che ci fa l’elenco di tutti i battezzati nella chiesa di Campiglia nell’anno 1921.
Il Ferragosto del 1950 è invece l’oggetto della memoria di Gianfranco Benedettini, che è anche uno dei giovanissimi scolari immortalati nella foto di classe riproposta, in chiusura, da Francesca Peccianti.
Buona lettura a tutti.
Nel primo articolo vi presentiamo un’incredibile vicenda accaduta a Campiglia nel 1890 e assurta agli onori delle cronache nazionali. Una casa stregata dove accadono fenomeni molto strani, che il proprietario è convinto celino un qualche tipo di arcano messaggio da parte dell’inquieto fantasma della defunta moglie.
La seconda storia che vi raccontiamo riguarda un furto avvenuto a Sassetta nel 1800. Uno dei due proprietari del cacio si rivolge al giudice del tribunale di Campiglia nella speranza di recuperare il prezioso maltolto e vedere punito il colpevole.
A seguire, l’ultimo appuntamento con le mappe del Catasto Toscano del 1821. Questa volta vi portiamo alla scoperta di Monte Valerio e Acqua Viva.
Il quarto articolo ci fa conoscere uno dei più apprezzati medici di Campiglia: il conte marchigiano Giuseppe Marsili. Proveniva da una famiglia di nobili caduti in disgrazia, morì contraendo una malattia incurabile durante il suo servizio.
Nel consueto articolo riservato alla storia genealogica delle famiglie campigliesi, questa volta ci occupiamo di una genìa campigliese originaria della provincia di Lucca: i Finucci.
Si rinnova anche lo spazio dedicato alle rubriche, che si apre con Piero Cavicchi che ci spiega l’origine dei toponimi presenti nelle mappe catastali di cui ci siamo occupati nel terzo articolo.
Simona Tosi ricorda con amore la figura della nonna: Bussottina Bussotti, regalandoci un aneddoto legato all’infanzia di lei.
Gianpiero Vaccaro ci riporta indietro al 1943, per farci conoscere lo stato d’animo di un gruppo di giovani soldati, in marcia da Venturina a Piombino, che assaporavano la fine della guerra, mentre invece i Tedeschi già cercavano vendetta. Era il 10 settembre, giorno della celebre Battaglia di Piombino.
Continua poi Arrigo Gori, che ci fa l’elenco di tutti i battezzati nella chiesa di Campiglia nell’anno 1921.
Il Ferragosto del 1950 è invece l’oggetto della memoria di Gianfranco Benedettini, che è anche uno dei giovanissimi scolari immortalati nella foto di classe riproposta, in chiusura, da Francesca Peccianti.
Buona lettura a tutti.
n. 44 (settembre/ottobre 2021)
Cari amici lettori, l’articolo di copertina di questo numero ci riporta indietro nel tempo fino all’epoca in cui, anche dalle nostre parti, si credeva fermamente che esistessero donne in grado di compiere malefìci grazie ai loro diabolici poteri magici. Vi raccontiamo chi erano veramente le streghe di Campiglia.Nel secondo articolo, rispolveriamo le carte di un processo criminale riguardante una rissa scoppiata tra due braccianti campigliesi nel 1780, per motivi apparentemente futili, e finita nel peggiore dei modi.
Il terzo contributo ci fa “volare” sopra alla Venturina della fine degli anni ‘20. Abbiamo analizzato una vecchia foto aerea per farci un’idea visiva di quale fosse la struttura urbanistica del paese nel 1929.
A seguire, un articolo biografico su Michele Andreoni, storico maestro della banda di Campiglia il quale, pur non avendo fatto studi di conservatorio, riuscì a comporre un numero incredibile di brani e a musicare una graziosa operetta, andata in scena nel 1907, che riscosse un grande successo di pubblico.
Il consueto articolo sulla storia genealogica delle famiglie locali, questa volta parla dei Berrighi, un prolificissimo “casato” originario di Sant’Ermo che, facendo tappa a Bibbona, raggiunse infine Campiglia.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre questa volta con un articolo dedicato alla storia della Cappella dello Spirito Santo e, in particolare, ad un’antica casa di Campiglia che faceva parte del patrimonio di quell’ente ecclesiastico.
Piero Cavicchi ci parla invece della recente scoperta di un documento d’archivio che fa luce definitivamente sull’origine del toponimo locale Terre di Napoli.
Ci occupiamo poi di due diverse suppliche umiliate da altrettanti padri campigliesi al governo fascista per chiedere la concessione di una grazia in favore dei propri figli.
Laura Anzuini ci racconta del nonno, mai conosciuto, Gino Rossi, dinamico commerciante, tradito da quella stessa strada che aveva dato così tanto alla sua famiglia.
Arrigo Gori continua a presentarci nomi e cognomi dei battezzati nella chiesa di Campiglia, questa volta quelli dell’anno 1920.
Chiudiamo, come al solito, con Francesca Peccianti, che ci propone la foto ricordo di una prima elementare venturinese del 1968, che è stata da noi ricolorata per l’occasione.
Buona lettura a tutti.
Il terzo contributo ci fa “volare” sopra alla Venturina della fine degli anni ‘20. Abbiamo analizzato una vecchia foto aerea per farci un’idea visiva di quale fosse la struttura urbanistica del paese nel 1929.
A seguire, un articolo biografico su Michele Andreoni, storico maestro della banda di Campiglia il quale, pur non avendo fatto studi di conservatorio, riuscì a comporre un numero incredibile di brani e a musicare una graziosa operetta, andata in scena nel 1907, che riscosse un grande successo di pubblico.
Il consueto articolo sulla storia genealogica delle famiglie locali, questa volta parla dei Berrighi, un prolificissimo “casato” originario di Sant’Ermo che, facendo tappa a Bibbona, raggiunse infine Campiglia.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre questa volta con un articolo dedicato alla storia della Cappella dello Spirito Santo e, in particolare, ad un’antica casa di Campiglia che faceva parte del patrimonio di quell’ente ecclesiastico.
Piero Cavicchi ci parla invece della recente scoperta di un documento d’archivio che fa luce definitivamente sull’origine del toponimo locale Terre di Napoli.
Ci occupiamo poi di due diverse suppliche umiliate da altrettanti padri campigliesi al governo fascista per chiedere la concessione di una grazia in favore dei propri figli.
Laura Anzuini ci racconta del nonno, mai conosciuto, Gino Rossi, dinamico commerciante, tradito da quella stessa strada che aveva dato così tanto alla sua famiglia.
Arrigo Gori continua a presentarci nomi e cognomi dei battezzati nella chiesa di Campiglia, questa volta quelli dell’anno 1920.
Chiudiamo, come al solito, con Francesca Peccianti, che ci propone la foto ricordo di una prima elementare venturinese del 1968, che è stata da noi ricolorata per l’occasione.
Buona lettura a tutti.
n. 45 (novembre/dicembre 2021)
Cari amici lettori, nell’articolo di apertura di questo numero, vi presentiamo un bellissimo e inedito reportage fotografico realizzato nel 1940 dal noto fotografo piombinese Lando Civilini. Siamo venuti a conoscenza dell’esistenza di questo album grazie alla segnalazione del proprietario, il nostro caro amico dott. Giorgio Bardocci, che ringraziamo davvero di cuore. Si tratta di una serie di 28 scatti che raccontano l’inaugurazione delle tre scuole elementari di Venturina, Cafaggio e Casalappi, tenutasi negli ultimi anni del governo fascista, pochi giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia.
Nel secondo articolo riportiamo il contenuto del processo criminale relativo ad un incredibile caso di omicidio avvenuto a Campiglia nel 1784, per un motivo assurdo: un’insalata.
Nel consueto contributo sullo studio della cartografia del passato, questa volta analizziamo la carta geografica del Vicariato di Campiglia, risalente agli anni ‘70 del Settecento, e realizzata dal celebre cartografo Ferdinando Morozzi.
L’articolo sulla storia genealogica delle casate campigliesi si occupa invece dei Baldocchi: una famiglia, originaria della pianura pisana, la cui capacità di resilienza di fronte alle infinite difficoltà della vita ci è apparsa oggettivamente superiore alla media.
Nella parte dedicata alle nostre rubriche, ci occupiamo invece della storia di palazzo Malfatti, uno degli edifici campigliesi di maggior pregio, situato in angolo tra la via principale e la piazza più grande del borgo. Piero Cavicchi, nello spazio riservato allo studio dei nomi di luogo, spiega in chiave toponomastica il motivo per cui, per secoli, l’antica città etrusca perduta di Vetulonia è stata collocata sulle mappe da queste parti. Vi presentiamo poi un libro di prossima uscita e la nuova interessantissima collana di storia locale di cui fa parte. La persona che commemoriamo è invece Marino Nannini, ricordato con grande affetto dai suoi nipoti, i fratelli Nencini. Chiudiamo il numero con l’indice dei battezzati a Campiglia nel 1919, curato da Arrigo Gori e con due foto ricordo, rispolverate da Francesca Peccianti.
Buona lettura a tutti.
Nel secondo articolo riportiamo il contenuto del processo criminale relativo ad un incredibile caso di omicidio avvenuto a Campiglia nel 1784, per un motivo assurdo: un’insalata.
Nel consueto contributo sullo studio della cartografia del passato, questa volta analizziamo la carta geografica del Vicariato di Campiglia, risalente agli anni ‘70 del Settecento, e realizzata dal celebre cartografo Ferdinando Morozzi.
L’articolo sulla storia genealogica delle casate campigliesi si occupa invece dei Baldocchi: una famiglia, originaria della pianura pisana, la cui capacità di resilienza di fronte alle infinite difficoltà della vita ci è apparsa oggettivamente superiore alla media.
Nella parte dedicata alle nostre rubriche, ci occupiamo invece della storia di palazzo Malfatti, uno degli edifici campigliesi di maggior pregio, situato in angolo tra la via principale e la piazza più grande del borgo. Piero Cavicchi, nello spazio riservato allo studio dei nomi di luogo, spiega in chiave toponomastica il motivo per cui, per secoli, l’antica città etrusca perduta di Vetulonia è stata collocata sulle mappe da queste parti. Vi presentiamo poi un libro di prossima uscita e la nuova interessantissima collana di storia locale di cui fa parte. La persona che commemoriamo è invece Marino Nannini, ricordato con grande affetto dai suoi nipoti, i fratelli Nencini. Chiudiamo il numero con l’indice dei battezzati a Campiglia nel 1919, curato da Arrigo Gori e con due foto ricordo, rispolverate da Francesca Peccianti.
Buona lettura a tutti.
n. 46 (gennaio/febbraio 2022)
Cari amici lettori, abbiamo dedicato l’articolo di apertura e di copertina di questo numero ad un argomento che ci sta particolarmente a cuore: la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico fotografico della nostra comunità. Grazie alle ultimissime tecnologie di grafica computerizzata, abbiamo messo a punto una tecnica che ci permette di “ravvivare” i vecchi ritratti di famiglia, riuscendo in molti casi a trasformare le foto in qualcosa di molto simile ai moderni scatti digitali a colori. Vi spieghiamo di cosa si tratta.
Nel secondo articolo, vi raccontiamo due diverse vicende giudiziarie campigliesi, svoltesi negli anni ‘80 del Settecento, che ruotano intorno alla figura di un violento uomo di origini napoletane e del suo “tesoro” perduto.
Nel terzo contributo, ci occupiamo del patrimonio Boldrini nel 1821, facendo l’elenco puntuale dei tanti beni immobili all’epoca posseduti dalla ricca famiglia, nel perimetro urbano di Campiglia.
L’articolo genealogico che pubblichiamo questa volta, riguarda i Bucciantini: non un’unica famiglia, ma due rami distinti, arrivati a Campiglia da luoghi diversi e in epoche differenti.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con Roberto Tesi che ricorda la figura di sua nonna: Mazzina Gori.
Gianfranco Benedettini ci regala poi due brevi memorie sul rione venturinese di Pantalla e sui personaggi che lo animavano nei tempi andati.
Un nuovo collaboratore, Piero Bussotti, ci parla di una delle risorse agricole più importanti del nostro territorio: i carciofi, rispolverando una vecchia ricetta di mamma.
Piero Cavicchi pesca dalla nostra emeroteca virtuale un “ritaglio” del 1886, nel quale si tessono le lodi dei vini locali che, già allora, si distinguevano per le loro ottime qualità.
Nella rubrica dedicata ai personaggi locali, si parla del bravissimo fotografo venturinese Guido Guidi, del quale il figlio Aldo ci ha raccontato i primi passi compiuti nel mondo dell’arte.
Nell’ormai consueto spazio storico-anagrafico, Arrigo Gori ci elenca tutti i nomi dei battezzati a Campiglia nel 1918.
Chiude il numero, Francesca Peccianti che, questa volta, tira fuori dalla sua collezione la foto di classe di una quinta elementare venturinese del 1951.
Buona lettura a tutti.
Nel secondo articolo, vi raccontiamo due diverse vicende giudiziarie campigliesi, svoltesi negli anni ‘80 del Settecento, che ruotano intorno alla figura di un violento uomo di origini napoletane e del suo “tesoro” perduto.
Nel terzo contributo, ci occupiamo del patrimonio Boldrini nel 1821, facendo l’elenco puntuale dei tanti beni immobili all’epoca posseduti dalla ricca famiglia, nel perimetro urbano di Campiglia.
L’articolo genealogico che pubblichiamo questa volta, riguarda i Bucciantini: non un’unica famiglia, ma due rami distinti, arrivati a Campiglia da luoghi diversi e in epoche differenti.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con Roberto Tesi che ricorda la figura di sua nonna: Mazzina Gori.
Gianfranco Benedettini ci regala poi due brevi memorie sul rione venturinese di Pantalla e sui personaggi che lo animavano nei tempi andati.
Un nuovo collaboratore, Piero Bussotti, ci parla di una delle risorse agricole più importanti del nostro territorio: i carciofi, rispolverando una vecchia ricetta di mamma.
Piero Cavicchi pesca dalla nostra emeroteca virtuale un “ritaglio” del 1886, nel quale si tessono le lodi dei vini locali che, già allora, si distinguevano per le loro ottime qualità.
Nella rubrica dedicata ai personaggi locali, si parla del bravissimo fotografo venturinese Guido Guidi, del quale il figlio Aldo ci ha raccontato i primi passi compiuti nel mondo dell’arte.
Nell’ormai consueto spazio storico-anagrafico, Arrigo Gori ci elenca tutti i nomi dei battezzati a Campiglia nel 1918.
Chiude il numero, Francesca Peccianti che, questa volta, tira fuori dalla sua collezione la foto di classe di una quinta elementare venturinese del 1951.
Buona lettura a tutti.
n. 47 (marzo/aprile 2022)
Cari amici lettori, nell’articolo di copertina di questo numero, vi presentiamo in anteprima i dati scientifici emersi dagli scavi iniziati nel 2020 nel parco termale e ancora in corso. Si tratta della più importante indagine archeologica mai condotta nell’area di Venturina, paese che finalmente riesce a dimostrare l’antichità della sua storia, legata indissolubilmente alla presenza delle acque termali e dell’importante strada che, da millenni, la attraversa. Ed è proprio un’antica via quella riemersa alla Pulledraia, contornata da numerose tombe romane e strutture antiche, la cui funzione rimane ancora in parte da decifrare.
Nel secondo articolo, Piero Bussotti ha intervistato per noi Leonardo Bucci, grande appassionato e uno degli ultimi portavoce della cultura contadina, per farsi raccontare la tradizione del Maggio e dei maggerini.
Il terzo contributo è il frutto di un lavoro di ricerca sugli antichi estimi e catasti toscani per censire tutti gli immobili posseduti dalla facoltosa famiglia campigliese dei Poli, proprietari di diversi edifici all’interno delle mura paesane.
L’articolo genealogico riguarda invece i Dell’Agnello, casato di probabile origine pisana, arrivati da queste parti nell’Ottocento da Colognole, con qualche tappa intermedia.
Nella rubrica dedicata alle persone, Barbara Poli ricorda la figura di suo nonno Mambrino, uomo sagace e dalla battuta pronta, caratteristica ereditata da buona parte dei suoi discendenti.
A completamento di quanto scritto sui Dell’Agnello, una di loro, Angela, condivide con noi una cara memoria di suo padre Azzare, legata al tempo di guerra.
Don Marcello Boldrini ci informa di un’importante scoperta avvenuta nel Duomo di Massa Marittima: un frammento di affresco medievale che potrebbe rappresentare la più antica immagine conosciuta del nostro santo patrono Fiorenzo.
Per finire, Piero Cavicchi ci presenta un interessante documento sul Bottaccio, Littoriano Nencini un gustoso aneddoto motoristico, Arrigo Gori la lista dei bimbi battezzati nel 1917 e Francesca Peccianti la foto di classe di una seconda elementare dell’ormai lontano 1973.
Buona lettura a tutti.
Nel secondo articolo, Piero Bussotti ha intervistato per noi Leonardo Bucci, grande appassionato e uno degli ultimi portavoce della cultura contadina, per farsi raccontare la tradizione del Maggio e dei maggerini.
Il terzo contributo è il frutto di un lavoro di ricerca sugli antichi estimi e catasti toscani per censire tutti gli immobili posseduti dalla facoltosa famiglia campigliese dei Poli, proprietari di diversi edifici all’interno delle mura paesane.
L’articolo genealogico riguarda invece i Dell’Agnello, casato di probabile origine pisana, arrivati da queste parti nell’Ottocento da Colognole, con qualche tappa intermedia.
Nella rubrica dedicata alle persone, Barbara Poli ricorda la figura di suo nonno Mambrino, uomo sagace e dalla battuta pronta, caratteristica ereditata da buona parte dei suoi discendenti.
A completamento di quanto scritto sui Dell’Agnello, una di loro, Angela, condivide con noi una cara memoria di suo padre Azzare, legata al tempo di guerra.
Don Marcello Boldrini ci informa di un’importante scoperta avvenuta nel Duomo di Massa Marittima: un frammento di affresco medievale che potrebbe rappresentare la più antica immagine conosciuta del nostro santo patrono Fiorenzo.
Per finire, Piero Cavicchi ci presenta un interessante documento sul Bottaccio, Littoriano Nencini un gustoso aneddoto motoristico, Arrigo Gori la lista dei bimbi battezzati nel 1917 e Francesca Peccianti la foto di classe di una seconda elementare dell’ormai lontano 1973.
Buona lettura a tutti.
n. 48 (maGGIo/GIUGNO 2022)
Cari amici lettori, l’articolo di copertina di questo numero, che segna la fine dell’ottavo anno insieme, è dedicato alla liberazione del nostro Comune dal nazifascismo. Il 25 giugno 1944, le truppe Alleate ebbero la meglio sui pochi tedeschi rimasti. La guerra a Campiglia era terminata.
Abbiamo scelto di raccontare gli ultimi mesi del conflitto, e in particolare il periodo nero vissuto a cavallo tra il settembre 1943 e la fine di giugno del 1944, attraverso i ricordi dei nostri concittadini che ebbero la sventura di vivere sulla loro pelle quei giorni così difficili e dolorosi.
Nel secondo articolo, Piero Bussotti ci riporta indietro ai tempi in cui la trebbiatura rappresentava il momento più importante e atteso dell’anno, in un mondo in cui la solidarietà e l’aiuto reciproco erano ancora valori fondamentali.
Nel terzo contributo, vi presentiamo gli atti di un processo criminale tenutosi a Campiglia nel 1843: una vicenda ai limiti dell’incredibile nella quale l’imputato, un bracciante abruzzese, è accusato di aver abusato sessualmente di una cavalla nella stalla della locanda della Venturina.
L’articolo di storia familiare questa volta è dedicato ai Forasassi di Campiglia, dei quali abbiamo ricostruito l’albero genealogico prendendo spunto dal ritrovamento di un vecchio album fotografico.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con un ricordo di Bruno Barsotti della nonna Veronica Castellani. A seguire, Piero Cavicchi, ritornando sul tema della Liberazione, ci racconta una divertente storiella accaduta ad un suveretano dopo l’arrivo degli Americani.
La ”scoperta” di cui vi parliamo riguarda invece un’antica chiesa medievale campigliese, quella di Santo Stagio, della quale si sono perse le tracce secoli fa. L’abbiamo ritrovata?
Torniamo poi a parlare del nostro santo patrono, san Fiorenzo, presentandovi un documento che ci fa capire quando e da chi fu raccolta la leggenda sul ritrovamento delle sue reliquie.
Arrigo Gori fa l’appello dei battezzati a Campiglia nel 1916, mentre Francesca Peccianti, come sempre, ci mostra una vecchia foto di classe delle elementari.
Buona lettura a tutti.
Abbiamo scelto di raccontare gli ultimi mesi del conflitto, e in particolare il periodo nero vissuto a cavallo tra il settembre 1943 e la fine di giugno del 1944, attraverso i ricordi dei nostri concittadini che ebbero la sventura di vivere sulla loro pelle quei giorni così difficili e dolorosi.
Nel secondo articolo, Piero Bussotti ci riporta indietro ai tempi in cui la trebbiatura rappresentava il momento più importante e atteso dell’anno, in un mondo in cui la solidarietà e l’aiuto reciproco erano ancora valori fondamentali.
Nel terzo contributo, vi presentiamo gli atti di un processo criminale tenutosi a Campiglia nel 1843: una vicenda ai limiti dell’incredibile nella quale l’imputato, un bracciante abruzzese, è accusato di aver abusato sessualmente di una cavalla nella stalla della locanda della Venturina.
L’articolo di storia familiare questa volta è dedicato ai Forasassi di Campiglia, dei quali abbiamo ricostruito l’albero genealogico prendendo spunto dal ritrovamento di un vecchio album fotografico.
Lo spazio dedicato alle nostre rubriche si apre con un ricordo di Bruno Barsotti della nonna Veronica Castellani. A seguire, Piero Cavicchi, ritornando sul tema della Liberazione, ci racconta una divertente storiella accaduta ad un suveretano dopo l’arrivo degli Americani.
La ”scoperta” di cui vi parliamo riguarda invece un’antica chiesa medievale campigliese, quella di Santo Stagio, della quale si sono perse le tracce secoli fa. L’abbiamo ritrovata?
Torniamo poi a parlare del nostro santo patrono, san Fiorenzo, presentandovi un documento che ci fa capire quando e da chi fu raccolta la leggenda sul ritrovamento delle sue reliquie.
Arrigo Gori fa l’appello dei battezzati a Campiglia nel 1916, mentre Francesca Peccianti, come sempre, ci mostra una vecchia foto di classe delle elementari.
Buona lettura a tutti.